Rete unica Dossier

‘I dubbi dell’Europa tra NextGenerationEU e Rete Unica. Ultima chiamata per TIM’. Intervista a F. De Leo

a cura di Raffaele Barberio |

Attesa per il cda di TIM sui conti della trimestrale che si preannunciano critici. Intanto va avanti il tema della rete unica, ma in una direzione che allarma l’Europa, toglie valore al mercato e rischia di creare un esercito di Zombie Company, tra aziende che hanno contribuito a costruire la storia delle telecomunicazioni italiane.

Nuova intervista a Francesco De Leo, Executive Chairman di Kauffman & Partners, alla vigilia del CdA di TIM dedicato ai conti del terzo trimestre 2020. Un’intervista nella quale cerchiamo di fare il punto sulla situazione, alla luce degli ultimi accadimenti, ma attraverso la quale cerchiamo di capire cosa potrà accadere nei prossimi mesi a TIM, al progetto di Rete Unica, al comparto nazionale delle telecomunicazioni, alle relazioni tra Italia e Commissione Europea in vista dell’assegnazione delle ingenti risorse destinate all’Italia dal Next Generation EU.

Key4Biz. Il mese scorso nella sua ultima intervista su queste pagine, aveva ipotizzato che il titolo TIM sarebbe sceso sotto la soglia psicologica dei 30 centesimi di euro. Domani 10 Novembre è in programma il nuovo CdA di TIM sui conti della trimestrale. Quali sono le sue previsioni?

Francesco De Leo. In merito al profilo economico-finanziario non emergeranno grandi novità e non ci sarà un’inversione di tendenza, come peraltro sarebbe stato auspicabile. È prevedibile una progressiva erosione dei ricavi, dei margini e dei flussi di cassa. È possibile che si registri un ulteriore deterioramento dei principali indicatori, in una certa misura più ampio del previsto e comunque destinato ad un più marcato deterioramento nella prima metà del 2021. È una valutazione diffusa fra gli investitori. Quindi, ci si dovrebbe attendere una correzione in negativo del titolo TIM fra qui e fine anno, avendo come riferimento il valore di “galleggiamento” attuale che è intorno ai 30 centesimi di euro.

Key4Biz. Eppure, si direbbe che TIM stia cercando in tutti i modi di proiettare un’immagine positiva all’esterno. Perché questa raffica di buone intenzioni non riesce a fare breccia?

Francesco De Leo. Premetto che tutti vorrebbero rivedere TIM capace di riprendersi in mano il proprio destino. Come diceva Jack Welch, lo storico amministratore delegato di GE (General Electric): “Control your destiny or someone else will”. Purtroppo, gli investitori e gli analisti ora sono via via più preoccupati che il valore di TIM dipenda ormai da fattori esterni, anche di macro-scenario, più che sull’effettiva capacità del management di incidere sulla performance del titolo. E le più recenti dichiarazioni del management hanno contribuito a consolidare questa sensazione.

Key4Biz. In che senso? Quali sono i dubbi irrisolti che tormentano i mercati?

Francesco De Leo. Dopo due anni di attesa, TIM rimane agli occhi degli investitori un’incompiuta e non ha risolto il dilemma di fondo della propria identità. Innanzitutto, non è “investment grade” e non tornerà ad esserlo per molto tempo, almeno per tutto il 2021. Secondariamente, non può essere considerata un “value stock” per dirla con Graham/Buffett. Infine, non è di certo un “growth stock”. Inizialmente l’AD di TIM aveva puntato al ritorno ad “investment grade”, ma non è stato cosi. Quindi i mercati sono in attesa della guidance del management per riparametrare il valore del titolo.

Key4Biz. In che senso parte della valorizzazione di TIM, non è direttamente sotto il controllo del management, come ha suggerito poco fa?

Francesco De Leo. Molto dipende dal favore che, tutte insieme, le grandi telco europee, come Telefonica, BT, Orange e Deutsche Telekom, riusciranno a riconquistare agli occhi degli investitori. Occorre tenere presente che è in atto una “market rotation” che ha spostato l’asse di equilibrio a favore di operatori che appartengono a nuove “asset class”, come le torri di telefonia mobile o i “pure play” nel campo delle infrastrutture e della fibra ottica, come Open Fiber in Italia. I modelli “ibridi” o “spuri” scontano un’eredità negativa in termini di costi e di debito che difficilmente saranno superabili. Per questo i mercati per il 5G puntano ai nuovi operatori, come Cellnex in Europa (o Inwit in Italia), e dubitano che le telco europee abbiano margine per aggiungere ulteriore debito a bilanci, ma anche che scontano un livello di leverage che è destinato ad aumentare. Quindi, per TIM, il problema è che insieme ai propri pari a livello europeo dovrebbe cercare di trovare un consenso per affrontare in chiave comunitaria la ristrutturazione del debito: in parte come è stato fatto per le banche con il ruolo svolto dalla Banca Centrale Europea. E sappiamo quali siano stati gli ostacoli che ancora oggi non hanno consentito di risolvere il problema della crescita degli NPL (Non Performing Loans).

Key4Biz. Ma c’è una consapevolezza dello stato di crisi generalizzato delle telecom europee, a livello di Commissione Europea?

Francesco De Leo. Senza dubbio, la risposta è si. In particolare, TIM è sotto stretta osservazione per le implicazioni che le decisioni che la riguardano avranno come ripercussione su tutto il settore a livello continentale. E questo sta creando molto nervosismo. A Bruxelles non è sfuggito, come d’altronde neppure a Francoforte, che Telefonica, Deutsche Telekom, Orange e Telecom Italia, nell’ordine, sono state fra i principali beneficiari degli acquisti di corporate bonds nell’ambito del programma CSSP della BCE (Corporate Bond Purchasing Programme). In altre parole, c’è un consenso generalizzato che i titoli del debito legati alle telco europee siano, almeno in parte, titoli “tossici”. Personalmente, non avrei timori sulla tenuta del debito di TIM, anche perché in queste condizioni i tassi continueranno ad essere prossimi allo zero o comunque negativi, ancora per molto tempo. Sarei più preoccupato della effettiva capacità di TIM di conquistare la fiducia dei mercati per nuovi investimenti che implichino un aumento del leverage di bilancio, in assenza di una strategia precisa.

Key4Biz. Perché questo focus su TIM più che su altri operatori?

Francesco De Leo. Perché TIM è stata colta di sorpresa dalla prima ondata della pandemia legata al COVID-19 e ha atteso fino allo scorso mese di agosto per indirizzare le preoccupazioni degli investitori. Purtroppo, si è fatta trovare impreparata anche da questa seconda ondata e dalle misure di lockdown selettivo che colpiscono, qualificandole come zona Rossa, regioni come la Lombardia e il Piemonte, da cui dipende in misura più che proporzionale la generazione dei propri margini e dell’EBIDTA di Gruppo. Se nelle prossime due settimane dovesse verificarsi la necessità per il Governo, di riportare in zona Rossa Veneto ed Emilia-Romagna, occorrerà tenere presente l’effetto di trascinamento negativo sui conti di TIM che presumibilmente tenderà a protrarsi almeno fino alla fine del primo trimestre del 2021, e in parte anche fino alla metà del secondo quarter (aprile/maggio 2021), con un impatto non trascurabile sulla tenuta dell’EBIDTA, che difficilmente si manterrà sui livelli attuali. In una battuta, TIM sembra come la Ferrari in Formula 1: la macchina è sbagliata, viaggia più lenta dell’anno passato, e con i regolamenti attuali le modifiche che si possono apportare sono del tutto marginali. Quindi bisogna puntare al 2022. Ma un conto è la Formula 1, dove si vince o si perde, ma sempre è e rimane uno sport, mentre con TIM ne va della competitività del sistema Paese: e da qui al 2022 si parla di un tempo molto lungo, troppo lungo per percepire i primi segnali di un effettivo “turnaround”.

Key4Biz. Ci spieghi meglio perché TIM dovrebbe “subire” in modo negativo questa seconda ondata pandemica e il conseguente lockdown, peraltro selettivo?

Francesco De Leo. Sono in molti coloro i quali tendono a sottovalutare quanto importante sia l’ultimo trimestre dell’anno per i conti delle telco, e in particolare la presenza distributiva nei centri commerciali. Molta parte degli abbonamenti consumer tendono a perfezionarsi nel corso del weekend (perché nessuno ha tempo di passare durante la settimana) nelle strutture distributive dei grandi centri commerciali, che sono determinanti per acquisire nuovi clienti o rinnovare gli abbonamenti di quelli attualmente in portafoglio. Con la chiusura generalizzata dei centri commerciali nel weekend, ci sarà una significativa contrazione delle “net additions”. È difficile ora stimarne la proporzione, ma non è da escludere che ci saranno sorprese in negativo e queste si paleseranno nei conti di TIM agli inizi del 2021: e tutto questo è destinato ad impattare ulteriormente in modo negativo sulla performance del titolo. È bene non trascurare che la concentrazione della clientela business, small-medium size, nelle Regioni in Zona Rossa costituisce un ulteriore elemento di vulnerabilità, per l’impatto della pandemia sul tessuto industriale del Nord/Nord Est. Questo è un mercato di particolare valore per TIM per la tenuta di margini e ricavi, che potrebbe uscire irreversibilmente ridimensionato, anche in termini numerici, dall’impatto della seconda ondata, attualmente in corso.

Key4Biz. Ma il rollout del 5G non potrebbe attutire l’impatto negativo della seconda ondata?

Francesco De Leo. Sarebbe bello che fosse cosi, e chi non vorrebbe rivedere TIM alla ribalta delle cronache per essere all’avanguardia nel 5G in Europa. Ma stando ai fatti, non sarà cosi. TIM ha accumulato un ritardo importante in termini di rollout del 5G anche per l’attenzione che ha dovuto dedicare al tema della Rete Unica. Parlando con i principali supplier di apparati di rete a livello europeo emerge una comune considerazione, almeno in questo contesto, sul fatto che TIM e l’Italia siano già in ritardo. In Spagna, entro fine 2021 ci saranno quattro operatori con quattro reti 5G in competizione fra loro. In Italia, ciò avverrà molto difficilmente. Il quadro è molto incerto. Vorrei che fosse chiara una cosa: TIM è un asset fondamentale per il Paese, ma occorre essere realistici, in quanto l’accesso ai fondi del Next Generation EU potrebbe slittare di uno o due trimestri, con un ritardo ulteriore che si verrebbe ad accumulare e che ci porterebbe direttamente a fine 2021. E quindi, occorrerà rivedere al ribasso i ricavi futuri da servizi sviluppati in ambito 5G, perché non si materializzeranno prima del 2022.

Key4Biz. Ma è per questi motivi che Luigi Gubitosi AD di TIM ha affermato a più riprese che si muove sotto “l’egida del Governo”?

Francesco De Leo. Come le ho già detto ho lavorato con lui e conosco Luigi Gubitosi. Si è trovato ad affrontare una “missione impossibile”. Non ho dubbi che questo malinteso non fosse nelle sue intenzioni. È solo che, quando ci si trova “isolati”, con pochi alleati e sotto pressione (e con ogni probabilità non si ha a disposizione una squadra manageriale di livello) è possibile che, nella fretta, si cerchi di andare per le “vie brevi”, e con le parole si cerchi di esprimere posizioni che alla prova dei fatti sono sicuramente più articolate.

Comunque, c’è da dire che, a tutti gli effetti, è stata un’uscita infelice, che si è ripetuta in più occasioni, mettendo in allarme la Commissione Europea, gli investitori ed i mercati. TIM è una società quotata in Borsa con azionisti privati: sono molti gli osservatori esteri che si sono chiesti se le decisioni sul futuro dell’assetto di TIM si prendano in CdA o siano in qualche misura “eterodirette” dalla politica. Tutto questo non fa bene alla reputazione del Paese nei confronti degli investitori internazionali anche in ottica di attivazione del Next Generation EU, e mette sotto stretta osservazione, ancora una volta, la governance di TIM. A livello di Commissione Europea, la circostanza ha acceso i riflettori anche sul tema del programma di investimenti Next Generation EU, di cui il nostro Paese ha bisogno per superare una transizione che si presenta già di per sé difficile e non scontata nei risultati. Forse sarebbe il caso di seguire un antico proverbio veneziano che il Prof. Bruno Coppi era solito esporre alla lavagna nelle sue lezioni di Fisica al MIT: “prima de parlar, tase”. È auspicabile una correzione di rotta fra tutte le parti interessate e ritornare a concentrare l’attenzione su come costruire un rapporto meno conflittuale con la Commissione Europea, in particolare sul tema così delicato e controverso della Rete Unica.

Key4Biz. E quindi il Governo come dovrebbe agire?

Francesco De Leo. In primo luogo, occorre non dimenticare che in Europa siamo saldamente in una fase di transizione che si presenta complessa e non necessariamente scontata come percorso. Muoversi fuori o “contro” il consensus europeo sul tema delle grandi infrastrutture condannerebbe il nostro Paese ad un progressivo isolamento. E sono convinto che il Governo farà tutto il possibile affinché questo non avvenga.

In secondo luogo, il Governo deve prendere atto della crisi strutturale del comparto delle telecomunicazioni in Italia, che riflette una crisi più ampia a livello di settore in Europa. Non c’è solo il problema di TIM sul tavolo, ma anche il progressivo, inesorabile declino del comparto dei fornitori dei sistemi ed apparati di rete in Italia. Nell’assordante silenzio dei media e della politica nazionale (fatta salva qualche eccezione in Parlamento, come quella rappresentata da Alessio Butti di Fratelli d’Italia), la contrazione degli investimenti che dura da venti anni e la riduzione irreversibile dei margini hanno innescato una crisi senza precedenti, che ha portato il settore ad avere una presenza fuori controllo di “zombie companies”, ovvero imprese che non hanno un modello di business sostenibile e che non saranno in grado di ripagare il debito. È un quadro che minaccia la competitività del nostro Paese. E la crisi di questi player genera una crisi che sta affossando l’intero comparto, portandoci a un ritardo strutturale che non può essere risolto con interventi estemporanei. Fra le “zombie companies” figurano aziende che hanno fatto la storia delle telecomunicazioni del nostro Paese, quando ancora il mondo guardava a TIM e all’Italia come un esempio da seguire. Non è troppo tardi, ma occorre affrontare la sfida con determinazione: il programma Next Generation EU può servire ad innescare un percorso virtuoso di cambiamento. È per questo che le energie migliori e i talenti di punta del nostro Paese devono essere mobilitati per questa missione. Ecco perché è ancor più necessario andare nella direzione giusta, una direzione che corrisponda all’interesse del Paese.