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Facebook, perché Zuckerberg prende ‘schiaffi’ a destra e a manca

Il 2018 si conferma sempre più l’anno della resa dei conti per Facebook. L’ultimo schiaffo per Mark Zuckerberg è arrivato da un tribunale di Berlino che, dopo le richieste di un’associazione di consumatori (Vzbv), con una sentenza ha stabilito che sarà possibile iscriversi al social anche con un nickname, per cui non sarà più automatico il consenso per la cessione dei dati personali a terzi. Pratica scorretta che, invece, avviene nel momento in cui ci si iscrive con nome e cognome, infatti secondo la policy di Facebook in questo modo di esprime automaticamente anche il consenso a fornire i propri dati personali e l’immagine del profilo ad aziende esterne.
Anche questa clausola è stata considerata non valida dal giudice tedesco, che in totale ha dichiarato illegittimi otto punti delle condizioni generali e cinque impostazioni predefinite. Questo è solo il primo atto dell’iter processuale, la società ha annunciato di ricorrere in appello contro la sentenza e ha, inoltre, dichiarato “il massimo impegno a rispettare le regole europee, anche in virtù dell’arrivo del Gdpr”, il Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali in vigore dal 25 maggio prossimo in tutti i Paesi dell’Ue. Proprio per allinearsi meglio alla normativa Facebook, per esempio, ha annunciato che sarà possibile iscriversi alla piattaforma solo se si sono compiuti 16 anni. Ma poi come farà ad accertare l’età degli iscritti? In Germania potrebbe diventare impossibile qualora il giudice di secondo grado dovesse confermare la possibilità di registrazione con un nomignolo.

Perché Mark Zuckerberg è raffigurato malconcio sulla copertina di Wired?

Nel numero di marzo Wired ha raffigurato in copertina Mark Zuckerberg con il viso tumefatto per simboleggiare i due anni appena trascorsi (da fine febbraio 2016) come i più difficili per Facebook, che, evidentemente, dal duello n’è uscito malconcio. La rivista ha intervistato, in forma anonima, 51 persone, tra ex e tuttora dipendenti, che hanno raccontato, con storie diverse, la stessa trama: “… Una società e un Ceo, il cui tecno-ottimismo è stato schiacciato quando ha appreso la miriade di modi in cui la piattaforma può essere utilizzata in modo dannoso”. E ancora una compagnia scioccata dall’elezione del presidente Trump, avvenuta anche per ‘colpa’ di Facebook incapace di gestire le fake news russe, anzi ne ha “tratto solo profitto”, come denunciato dall’attore canadese Jim Carrey, che per protesta si è cancellato dal social e ha venduto tutte le azioni della società in suo possesso. Infatti solo nel mese di settembre 2017 Facebook ha rivelato che un account russo ha pagato 100mila dollari per circa 3mila post sponsorizzati destinati agli elettori statunitensi, si legge nell’articolo di Wired. Il mese successivo il ricercatore Jonathan Albright ha scoperto che i post di sei account di propaganda russi sono stati condivisi 340 milioni di volte. In più i dipendenti hanno svelato che Facebook “regolarmente, durante la campagna elettorale Usa, ha deliberatamente soppresso dal News Feed le notizie pubblicate dai giornali conservatori”.

Infine, negli ultimi capitoli della lunga inchiesta di Wired, emerge il tentativo della compagnia di “riscattarsi”, di “redimersi”. Anche perché se non lo fa il prima possibile diventa sempre più difficile frenare la fuga dal social network. Infatti prima delle recenti novità dell’algoritmo, negli Usa e in Canada 700mila persone si sono cancellate da Facebook negli ultimi tre mesi del 2017 e nello stesso periodo in tutto il mondo le ore trascorse sul social sono crollate di 50 milioni al giorno. Un ennesimo schiaffo a Zuckerberg.

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