la sentenza

Facebook colpevole: spia anche chi non ha un profilo. E ora rischia effetto a catena

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250 mila dollari al giorno di multa se Facebook non la smetterà entro 48 ore di raccogliere informazioni – interessi, preferenze, siti visitati – di tutte le persone che navigano in rete, anche di coloro i quali non hanno un profilo sul social network. Zuckerberg annuncia ricorso.

Certo, per un sito che nel 2014 ha guadagnato 12,5 miliardi di dollari (più o meno 9 dollari per ciascuno dei suoi utenti), una multa da 250 mila dollari al giorno farà il solletico. Ma quello che dovrebbe preoccupare Facebook dopo la sentenza di un tribunale belga che gli impone di porre fine al tracciamento indiscriminato degli utenti, non è tanto l’aspetto economico, quanto il possibile effetto a catena del verdetto.

In sostanza, secondo il giudice, Facebook ha lo strano vizietto di raccogliere informazioni – interessi, preferenze, siti visitati – di tutte le persone che navigano in rete, anche di coloro i quali non hanno un profilo sul social network: basta capitare su un sito che dispone delle ormai onnipresenti icone che permettono di condividere la notizia et voila, il gioco è fatto.

Ora, il tribunale ha ordinato a Facebook di bloccare questo tipo di ‘tracciamento’ entro 48 ore, pena una multa di 250 mila euro al giorno.

Il gruppo di Mark Zuckerberg ha fatto sapere che ricorrerà contro la decisione, scaturita da una denuncia del Garante privacy belga sulla base di un rapporto pubblicato a marzo e realizzato dai ricercatori dell’Università di Leuven e della Vrije Universiteit di Bruxelles.

La tecnologia di tracking sotto accusa è il cosiddetto DATR cookie che, secondo Facebook serve in realtà a proteggere gli utenti da spam, malware e altri attacchi.

Secondo i maligni, invece, il famigerato cookie serve solo a spiare indiscriminatamente anche chi si è disconnesso dal proprio profilo o chi un profilo neanche ce l’ha.

Chi non ha un profilo, scagli la prima pietra!

Multa a parte, sta di fatto che ormai Facebook, che conta tra i suoi utenti circa un quinto della popolazione del pianeta, di noi sa tutto (non solo i nostri dati personali, ma le nostre preferenze musicali, cinematografiche, sessuali, i nostri hobby e le nostre malattie, le nostre abitudini e le nostre amicizie – e su questo tutto guadagna un sacco di soldi. Sembra che tornare indietro sia ormai impossibile: la nostra esposizione, consapevole o meno che sia, può solo crescere visto che gran parte della nostra vita si svolge online (per capirci: chi consulta più un’enciclopedia o una cartina stradale cartacea, se c’è il web?) e come sempre se la privacy è morta…W la privacy!