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eDemocracy, più ombre che luci nella Ue. La cybersecurity pesa sul voto elettronico

Secondo gli ultimi dati Eurostat, otto cittadini europei su dieci hanno usato Internet almeno una volta a settimana l’anno scorso, ma la cosiddetta eDemocracy stenta ancora a decollare. La rete che è diventata una parte importante della vita quotidiana delle persone, non è ancora riuscita a dare una svolta in chiave di sviluppo del rapporto democratico fra cittadini e istituzioni. E’ per questo che l’Europarlamento si interroga su come promuovere nuove forme di comunicazione fra giovani e decision makers, in chiave digitale. Ma la tecnologia è abbastanza sicura per evitare la minaccia degli hacker? Rischi ed opportunità su nuove forme di “democrazia digitale” sono al vaglio dell’Europarlamento, che in primo luogo sta passando al vaglio le diverse forme che l’eDemocracy ha preso nei singoli Stati dell’Unione.

Olanda, dietrofront sull’eVoting

 

Un primo esempio concreto arriva dall’Olanda, dove i voti dei cittadini alle politiche sono stati conteggiati manualmente, rinunciando così al conteggio automatico che fino al 2007 era stato in vigore nel paese dei tulipani. Il dietrofront digitale è arrivato a causa della semplicità con cui possono essere manipolate le macchine e per questo l’eVoting è stato messo in soffitta.

Francia allarme cybersecuirty

Anche la Francia ha seguito lo stesso percorso a ritroso dell’Olanda. E dire che nel 2012 Parigi aveva utilizzato il voto elettronico alle elezioni per i suoi cittadini residenti all’estero, ma alle prossime elezioni che si terranno a giugno il voto digitale non sarà possibile. A frenare l’innovazione i timori di brogli e attacchi hacker che potrebbero inquinare le elezioni.

Estonia

In Estonia, al contrario, non ci sono state retromarce. Dal 2005 si sono già tenute otto tornate elettorali – locali e nazionali – utilizzando il voto elettronico da remoto. Ad oggi non si è registrato nessun fenomeno di hackeraggio.

Il Parlamento europeo ha preso in esame il caso di successo dell’Estonia, che servirà quindi come benchmark, per stilare un report in cui si afferma che per garantire lo sviluppo dell’eVoting a livello Ue sarà necessario in primo luogo verificare se possa essere garantita la partecipazione al voto elettronico di tutta la popolazione.

Secondo il report dell’Europarlamento, è inoltre necessario garantire connessioni ultrabroadband a livello nazionale e un sistema sicuro di identità digitale, condizioni necessarie per garantire il successo del voto elettronico.

Si tratta di precondizioni non banali, che chiamano in causa la capacità dei diversi Stati di diffondere nella popolazione il senso di utilità democratica del digitale. In casa nostra, lo Spid (Sistema pubblico di identità digitale) ha appena compiuto un anno di vita e per ora non si è registrato quel salto di qualità in termini di diffusione atteso nei piani del Governo.

Italia e Spid

Ad oggi, sono 1.282.070 le credenziali Spid (Sistema pubblico di identità digitale) distribuite nel nostro paese, un risultato lontano dai 6 milioni di credenziali fissate come obiettivo entro il 2016. Il numero di Spid distribuite è comunque cresciuto in maniera esponenziale grazie al Bonus Cultura e al Bonus Docenti ed entro l’anno è previsto un nuovo canale, quello delle tabaccherie, per la sua distribuzione capillare sul territorio.

Le banche decideranno di diventare Identity Provider?

Lo vedremo, intanto, un’idea (forse azzardata) potrebbe essere quella di legare lo Spid al voto elettronico alle prossime elezioni, battezzando la rete come canale complementare alle urne.

Perché non tentare?

Tanto più che la definizione stessa di eDemocracy, secondo il report dell’Europarlamento, riguarda appunto l’utilizzo dell’Ict per creare canali digitali di consultazione e partecipazione pubblica, in caso di elezioni, consultazioni e referendum.

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