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E’ davvero arrivata la fine dei centri commerciali?

Ritorna il nostro approfondimento sul ruolo dei millennial nella crisi di alcuni settori commerciali. Oggi tratteremo il caso della “Retail Apocalypse” e, nello specifico, dei centri commerciali.

In America, nel 1999 i Mall avevano guadagni per 230 miliardi di dollari; nel 2016 questa cifra è scesa a 155,5 miliardi. Gli esperti prevedono che entro il 2023 chiuderanno 1000 centri commerciali e la loro quota nella vendita di abbigliamento precipiterà del 66%.

Anche in Europa, è mediaticamente nota la situazione dei grandi magazzini Macy, un tempo punto fermo del panorama americano; nel 2016 Macy ha annunciato la chiusura di 100 negozi.

In Italia

In Italia la situazione sta cambiando, ma, sebbene ci siano già alcuni indicatori, oggi non si può parlare di una vera e propria crisi del settore.

I motivi? Alcuni affermano che questo sia dovuto al ritardo italiano nell’uso del digitale per fare acquisti. Sebbene gli eCommerce siano in crescita, oggi questi non hanno ancora minacciato le fondamenta del settore dei centri commerciali.

Tornando al caso americano, che secondo molti influenzerà il nostro quadro economico futuro, la situazione è indubbiamente drammatica. Le motivazioni della crisi, secondo gli esperti, sono dovute a un cambio nel comportamento d’acquisto della generazione Y.

Questi non spenderebbero più i propri guadagni nei negozi fisici, soprattutto se concentrati negli stessi spazi, ma nelle piattaforme di e-commerce, dove possono trovare una scelta di prodotti più vasta senza doversi muovere da casa e a minor costo.

Ma è veramente così?

Secondo uno studio di Deloitte, i millennial hanno il 6,4% in meno di probabilità, rispetto ad altre generazioni, di fare acquisti nei centri commerciali. Tuttavia il 50% di loro afferma di preferire il negozio fisico rispetto all’e-commerce. Infatti non tutti i retailer hanno perso il favore dei millennial.

Il 70% afferma di acquistare presso rivenditori al dettaglio come TJ Maxx e Marshalls, ovvero catene per la vendita di prodotti a prezzo di outlet. Dal 2006 al 2015 le loro vendite sono passate da 18 a 35 miliardi di dollari. Sempre i millennial preferiscono le catene di fast fashion come H&M e Zara, anche se sono state messe sotto accusa dagli stessi membri della generazione Y per le conseguenze negative determinate dalla produzione e distribuzione del fast fashion.

Infine, gli attori che stanno guadagnando una quota sempre più considerevole del mercato sono i grossisti generici, ovvero Amazon, Walmart e Target, il tutto grazie alla loro sensibilità al prezzo e alla disponibilità illimitata di prodotti.

Quello che però spinge i millennial a preferire queste soluzioni sono la comodità e il prezzo, ma bisogna contestualizzare il fenomeno alla luce di altri dati: i giovani, ad oggi, guadagnano il 19% in meno dei loro genitori quando avevano la loro età. Allo stesso tempo, dispongono di meno tempo libero, e quando hanno un momento preferiscono spenderlo facendo qualcosa che valga veramente, non in giro per negozi.

Da questo punto di vista, è cruciale l’offerta di servizi che i negozi online propongono. Un esempio abbastanza banale a riguardo è quello dei resi. Se noi acquistiamo qualcosa in negozio, e decidiamo di cambiarlo, non potremo riavere indietro i soldi, ma saremo obbligati a comprare qualcos’altro fra la selezione disponibile. Questa è una grande limitazione, soprattutto se messa a confronto con quello che avviene online.

Il servizio fa la differenza

Allo stesso tempo, come si ripete ormai da tempo, il customer care di molte realtà online, per esempio Amazon, ha alzato di molto l’asticella dell’aspettativa del cliente. A parità di prodotto e di prezzo, è il servizio che fa la differenza.

Infine è importante considerare il bisogno di unicità dei millennial. Questo li fa sentire a disagio, e ignorati, quando entrano nell’enorme meccanismo del centro commerciale.

Ma, come abbiamo sottolineato in precedenza, a prescindere da tutti questi fattori che sembrano dare per spacciato il negozio fisico, e in particolare il centro commerciale, ci sono ancora molti millennial che preferiscono spendere in negozio.

Come mai? Perché il contatto fisico con il prodotto e il venditore rimane unico e imprescindibile per molti.

Come sopravvivere alla rivoluzione

Quindi i centri commerciali come possono sperare di sopravvivere alla rivoluzione che sta avvenendo? In primis, offrendo un servizio migliore e personalizzato, trasformandosi da luogo anonimizzante a “negozio di negozi” in cui l’esperienza diviene centrale e sempre nuova.

Oltre a ciò, bisogna considerare l’integrazione con le stesse piattaforme di e-commerce, per dare continuità al cliente quando si muove dall’online all’offline.

Infine diminuire i costi per gli stessi commercianti all’interno delle strutture, così che possano offrire un prezzo più competitivo al cliente.

In Italia, anche se la crisi del settore sembra distante, i centri commerciali presto o tardi dovranno affrontare le stesse problematiche delle realtà d’oltre-oceano.

Perché non muoversi in anticipo, imparando dagli errori americani, per cercare di prevenire i risultati più drammatici? Questa è la sfida dei prossimi anni, da affrontare non cercando un capro espiatorio nei millennial, ma aprendosi al cambiamento.

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