il caso

Digital Education. Privacy e Facebook, siamo ancora al sicuro?

di Rachele Zinzocchi, Digital Strategy R&D - laboratorio Digital Education |

Il social di Zuckerberg sembra aver acquistato patenti e brevetti per tutto. Esempi di progetti? Prendi questi 7: predirti amore e futuro, classificarti la personalità, ascoltare l’ambiente in cui ti trovi, tracciarti le abitudini e dedurti le scelte.

Digital Education è una rubrica settimanale promossa da Key4biz dedicata all’educazione civica digitale a cura di @Rachelezinzocchi Formatrice e public speaker, autrice del libro Telegram perché. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

«Mi ascolta o non mi ascolta?»… Ecco la nuova frontiera tra le sfide della privacy: non più solo scrivere, non più solo leggere, ma ascoltare. Da parte degli smartphone, e del «loro», «nostro» Grande Fratello Facebook; ma anche, e con non meno forza d’impatto su mercato e consumatori oggi, degli assistenti vocali. Come quelli di Google e Amazon: Google Home e Amazon Alexa.

Quanto a smartphone e Facebook, ne parlavo qualche giorno fa. Il social di Zuckerberg sembra essersi, infatti, acquistato patenti e brevetti per tutto. Esempi di progetti? Prendi questi 7: predirti amore e futuro, classificarti la personalità, ascoltare l’ambiente in cui ti trovi, tracciarti le abitudini e dedurti le scelte. Può già anche però – aldilà delle ammissioni ufficiali – trasformare te e gli oggetti intorno a te in microfoni capaci di inviarti messaggi subliminali e regolarsi così di conseguenza, conformemente alle esigenze pubblicitarie delle aziende, rispetto ai tuoi comportamenti, giungendo alla fine a modificarli e manipolarti?

Proprio questo è stato oggetto del dibattito negli ultimi giorni: che Facebook cioè abbia già le carte in regola per poter controllarti tanto bene da trasformare i tuoi smartphone in microfoni, inviandoti segretamente messaggi adv che registrino l’audio e soprattutto le tue reazioni alla pubblicità TV, così da tracciarti e inviarti poi advertising più mirata sulle tue preferenze.

Un’ipotesi apparentemente confermata quasi ovunque sulla stampa anglosassone. Si passa da titoli come «Facebook vuole nascondere negli spot tv messaggi pubblicitari segreti, che forzino il tuo smartphone a registrare l’audio intorno a te», a «il brevetto di Facebook accende il microfono del tuo telefono quando un segnale nascosto parte in tv», passando per «La patente di Facebook accende i microfoni dello smartphone per registrare le tue reazioni ai messaggi pubblicitari televisivi» e concludendo con «Il nuovo brevetto di Facebook può accendere registratori per riprenderti segretamente».

A fare da contraltare però ecco The Verge: «No, Facebook non acquisirà nessuna patente per accendere segretamente i microfoni dello smartphone quando sente la tua tv». Perché è possibile affermarlo con tanta certezza? «Basta guardare le richieste», sostiene la testata. Se andiamo, infatti, a leggere il testo originale del brevetto, il n. 376.515, «i claims non contengono mai in alcun modo la parola telefono o microfono. E i claims, le richieste, sono la sola parte che davvero conti».

In pratica, spiegano da The Verge, «si tratta del presupposto che sta anche alla base di Shazam per la programmatic ads. Alcune parti descrivono l’accendersi dei microfoni con un rumore silenzioso per gli esseri umani, ma una volta ancora i termini telefono o microfono non compaiono».

Che significa tutto questo, in poche parole? Che «un device può catturare audio nelle vicinanze da un altro device». Ciò però non si applica necessariamente a Facebook, smartphone e tv intorno a te. Basti pensare, segnalano non a caso, ad «altri tipi di device in grado di ascoltare, di accender microfoni e inviare dati audio al cloud». Quali? I cosiddetti Smart Speakers: gli assistenti vocali. Proprio  «come quello», certo, che già mesi fa «molte voci indicarono come la prossima creatura made in Facebook». Soprattutto però come gli ormai più che noti assistenti vocali di Google e Amazon: Home e Alexa.

Il che non depone poi così bene per gli utenti, specie ora che questi «nuovi mondi» stanno arrivando anche da noi e consapevolezza, attenzione devono essere doppie.

Il problema, comunque, è noto da tempo. Già un anno e mezzo fa si metteva in guardia dai rischi di una condivisione eccessiva delle proprie confidenze, dunque di dati e informazioni personali, con amici virtuali che tanto amici non sono. Il problema riguarda tutto l’Internet Of Things, l’Internet Delle Cose, soprattutto quelle che abbiamo dentro casa e che ci riguardano più da vicino, con cui più è facile che facciamo «amicizia». Vale per noi – che possiamo tendere a sovrapporli sempre più agli «amichetti immaginari» del nostro immaginario collettivo infantile – quanto a maggior ragione per i nostri figli. Qui però, se il processo di confidenza va oltre un certo limite, anche il potenziale pericolo di quelli che solo in apparenza sono giocattoli aumenta.

Non si parla dunque solo di Alexa e Home, che già possono tradire grandi e piccini quando meno ci se lo aspetta, proprio a causa dell’abbattimento delle barriere emotive e razionali che si crea con loro, ma ad esempio degli Smart Toys, «il futuro dello spionaggio domestico»: come dimostra il caso di Hello Barbie. «Cosa potete sentire? E che ci fate con le registrazioni?». Questa è la domanda che torna sotto i riflettori. Ancora una volta la nostra privacy è mezzo di scambio.

Conclusione? Dal punto di vista «patenti e brevetti», Facebook non trasformerebbe, oggi, il tuo smartphone in un microfono capace di guidarti e manipolarti dentro casa a tua insaputa. Semplicemente, si sarebbe messo una carta in tasca per giocarsi la chances un domani. Una politica, d’altronde, seguita da tanti Big altri della rete: a partire appunto da Amazon e Google. «Il brevetto è stato preso per prevenire la politica aggressiva delle altre compagnie», spiega lo stesso Allen Lo, Facebook VP e Deputy General Counsel, «e si basa sull’idea di un domani dominato da una tecnologia futuristica, abbastanza speculativa. Questa non è stata inclusa in nessuno dei prodotti di Facebook, né lo sarà mai».

Il fatto di poter fare qualcosa non significa, del resto, farla già adesso. Nello specifico, vuol dire soltanto che «gli avvocati di Facebook sono molto impegnati a metter le mani avanti e procurarsi prima degli altri ogni parte della tecnologia degli smart speaker che possa loro venir in mente. Esattamente come per Amazon, Apple e Google».