Francia al voto

Democrazia Futura. Macron vs Le Pen, duello all’ultimo voto per il secondo turno

di Bruno Somalvico, direttore editoriale di Democrazia futura |

Verso probabili triangolari ai ballottaggi nelle successive elezioni legislative, l’analisi di Bruno Somalvico per Democrazia Futura.

Bruno Somalvico

Voto utile e disfatta delle formazioni politiche tradizionali della Droite e della Gauche Le indicazioni del primo turno: qualificati Emmanuel Macron e Marine Le Pen, quest’ultima per un soffio davanti a Jean-Louis Mélenchon che si afferma nei grandi centri urbani.

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Macron vince il primo turno ma deve ancora scendere in campo per convincere gli elettori di Melenchon e dei cespugli di centro destra e centro sinistra a recarsi ai seggi per il secondo turno. Anche se per ora il rischio di un testa a testa sembrerebbe essere smentito grazie alle desistenze dei candidati esclusi dal ballottaggio.

E’ davvero molto difficile un commento ponderato al voto del primo turno delle elezioni presidenziali francesi. Ne vedremo a mio parere le conseguenze soprattutto in occasione delle elezioni legislative che seguiranno dopo il secondo turno. Dove i sondaggi sembrano indicare una leggera ma confortevole vittoria al presidente uscente Emmanuel Macron. L’incertezza di un testa a testa Macron – Le Pen che appariva alla vigilia sembra essere stata smentita.

Ciononostante tentiamo di fare una lettura “italiana” del voto di ieri in Francia con la premessa che Francia e Italia sono paesi molto diversi con sistemi tradizioni statuali e culture politiche molto diverse al di là di elementi comuni. Se per le presidenziali si votasse con il sistema elettorale maggioritario a doppio turno adottato nelle singole circoscrizioni per le legislative in un unico collegio nazionale potremmo avere fra quindici giorni ai ballottaggi non due, bensì tre candidati, ivi compreso il leader de La France Insoumise Jean-Louis Mélenchon.

In effetti nei singoli collegi che eleggono i 577 rappresentanti dell’Assemblée Nationale possono presentarsi al secondo turno tutti i candidati che hanno conquistato al primo turno almeno il 12,50 per cento degli elettori iscritti a quel determinato collegio. Alle elezioni presidenziali invece si qualificano solo i due candidati che hanno ottenuto più voti al primo turno. Nel caso in cui fosse stata possibile una triangolare la caccia al voto sarebbe stata molto diversa concentrandosi sul voto raccolto dagli altri candidati e dai cespugli. Difficilmente avremmo assistito al fenomeno delle desistenze dei candidati terzi e quarti a favore di quello “mieux placé” per sconfiggere il blocco avverso, ovvero giunto primo o secondo al primo turno verso il quale appunto si fannono confluire i propri voti nei singoli collegi maggioritari alle elezioni legislative in nome della “disciplina repubblicana” come avveniva nei due blocchi repubblicani di destra fra gollisti e giscardiani e di sinistra fra socialisti e comunisti negli anni Settanta.

Per il ballottaggio a due, Jean-Louis Mélenchon ha già invitato a sbarrare la strada alla candidata di estrema destra e quindi ha invitato implicitamente a votare al secondo turno per il presidente uscente Macron. E così hanno fatto altri candidati di sinistra usciti sonoramente sconfitti dal voto di ieri come l’ecologista Yannick Jadot, e soprattutto il comunista Fabien Roussel (che cinque anni fa sosteneva la candidatura di Mélenchon) e la socialista Anna Hidalgo, sindaca di Parigi, ma anche la candidata dei Républicans, la formazione di centro destra erede della confluena fra neo gollisti e giscardiani, uscita anch’essa sonoramente sconfitta dal voto di ieri, Valérie Pecresse, disturbata dalla presenza di altre liste moderate al centro (Jean Lassalle) e alla sua destra (Nicolas Dupont-Aignan).

Marine Le Pen beneficerà invece ufficialmente solo del sostegno alla sua destra di Eric Zemmour, oltre che di quello probabile di alcuni notabili fra i Républicains. Ma – secondo la maggior parte degli istituti di sondaggio – tale sostegno non dovrebbe rivelarsi sufficiente per vincere fra due settimane il ballottaggio ovvero realizzare il sorpasso sull’attuale inquilino dell’Eliseo.

CandidatsPartisPremier tourSecond tour
Voix%Voix%
Emmanuel MacronLREMa27,60
Marine Le PenRNb23,41
Jean-Luc MélenchonLFIc21,95
Éric ZemmourRECd7,05
Valérie PécresseLRe4,79
Yannick JadotEELVf4,58
Jean LassalleRES3,16
Fabien RousselPCFg2,31
Nicolas Dupont-AignanDLFh2,07
Anne HidalgoPS1,74
Philippe PoutouNPA0,77
Nathalie ArthaudLO0,57
Votes valides97,81
Votes blancs1,52
Votes nuls0,67
Total100100
Abstention25,14
Inscrits / participation48 803 17573,2248 803 175

Un sistema tripolare con alcuni cespugli

Per alcuni versi – sebbene ci riferiamo a due tipi di elezione che non possono essere oggetto di comparazioni quello per le presidenziali da un lato quelle legislative per il rinnovo del Parlamento dall’altro –  è lecito porci la seguente domanda: il quadro politico francese nel 2022 assomiglia molto a quello emerso in Italia nella Diciottesima Legislatura? Perché come era emerso in occasione del voto nel 2018 lle elezioni politiche in Italia, anche il sistema politico dell’Esagono sembrerebbe diventati un diventato triangolare. Molto spostato a destra. Formatp da solo un terzo scarso di elettori di sinistra, un terzo abbondante di elettori di centro, centro-destra e destra moderata e, infine un ultimo terzi di elettori che almeno in occasioni di queste elezioni presidenziali hanno osato votare per uno dei due candidati di estrema destra, rendendo per la prima volta incerto l’esito del voto.

  1. All’estrema destra si sono schierati circa un terzo degli elettori sommando quelli raccolti da Marine Le Pen – che alla stregua di Macron ha beneficiato in parte del tracollo subito dai Républicains conquistando un lusinghiero 23,41 per cento, probabilmente non sufficiente per vincere -, alla sua destra da Eric Zemmour (7,05 per cento) e alla sua sinistra da Nicolas Dupont-Aignan (2,05 per cento) il che significherebbe disporre al primo turno di poco più del 32 per cento dei suffragi con ampie possibilità di conquistare ulteriori suffragi fra gli altri candidati di centro-destra il “dissidente” provinciale agrario Jean Lassalle (3,16 per cento) e la governatrice dell’Ile de France la regione di Parigi Valérie Pecresse (4,79 per cento) voti che Marine Le Pen si contende con Macron e soprattutto fra gli astenuti (ricordiamoci che in Francia a differenza dell’Italia ci si mobilita di più tradizionalmente per il secondo turno decisivo pe il risultato del voto).
  • Al centro (ma rispetto a cinque anni or sono con un proprio baricentro nettamente più spostato verso destra avendo perso al primo turno elettori di sinistra e già beneficiato di maggiori apporti moderati provenienti dai Républicains) Emmanuel Macron conquista un buon 27,60 per cento ovvero 4,2 punti percentuali in più della Le Pen e con una campagna al secondo turno tesa soprattutto a conquistare il consenso peraltro già confermato di larghissima parte delle sinistre oltre che quello della candidata ufficiale dei Républicains beneficia di una dote elettorale per i secondo turno che non dovrebbe troppo impensierirlo anche in caso di una scarsa mobilitazione a suo favore degli elettori di Mélenchon, Pecresse, e dei cespugli di quegli elettori verdi e socialisti non confluiti negli ultimi cinque anni nelle truppe di una République en Marche, la formazione a cui diede vita cinque anni or sono, che potrebbe essere sostituita da una nuova compagine o comunque da una diversa lista elettorale per le prossime elezioni legislative che risulteranno probabilmente questa volta più difficili nonostante la probabile riconferma all’Eliseo.
  • A sinistra cresce il sostegno a Jean-Louis Mélenchon e a La France Insoumise, una formazione nata dalla confluenza fra quella parte dell’elettorato dell’elettorato del Peuple de la gauche ostile alle sirene centriste e tecnocratiche di Macron, i movimenti sociali espressi nelle banlieues e fra i nuovi francesi di origine maghrebina e larga parte delle sinistre post socialiste e post comuniste, non senza venature populiste se non peroniste, spesso ferocemente ostili all’Europa che ci ricordano quelle dei nostri pentastellati, ma con l’indubbia capacità di rappresentare quella sinistra di classe ovvero quei ceti popolari che altrimenti sarebbero stati conquistati come avvenuto in Italia con la Lega, dalle destre sovraniste e populiste, essendosi definitivamente allontanati prima dai comunisti di Georges Marchais all’epoca di Francois Mitterrand poi dai socialisti durante la presidenza di Francois Hollande. La France Insoumise ha certamente beneficiato del “voto utile”. Ma non le è bastato. Con un punto e mezzo percentuale pari a poco più di mezzo milioni di voti in più Mélenchon si sarebbe qualificato per il secondo turno scalzando la candidata di estrema destra Marine Le Pen che per la seconda volta come nel 2017 conquista il ballottaggio (seguendo le orme del padre Jean Marie Le Pen candidato al ballottaggio con Chirac nel 2002 e nel frattempo sconfessato) ottenendo in quell’occasione poco meno del 34 per cento dei voti. Questa volta dovrebbe ottenere una percentuale molto più alta
  • Rimangono fuori I cespugli rapppresentati dai candidati dei verdi e dei partiti storici della sinistra e dell’estrema sinistra. Fatta eccezione per Mélenchon la sinistra esce davvero ridotta al lumicino da questo voto (un po’ come da noi in Italia avviene con quel che rimane delle formazioni socialiste, comuniste ed ambientaliste). Eppure in Francia socialisti verdi e qualche comunista continuano ad amministrare enti local e comuni di vitale importanza come Parigi. Ma il sindaco di Parigi Anne Hidalgo candidata ufficiale del PS non va oltre un misero 1,74 per cento) superata dal candidato del PCF Fabien Roussel che raccoglie il 2,31 per cento e dal verde Yannick Jadot, anch’egli sotto la sbarra bdel 5 per cento che consente di ottenere i rimborsi elettorali ma che almeno conquista un discreto 4,58 per cento (con un peso e un’immagine che potrebbe ricordaci quella di un Carlo Calenda e di Azione in Italia). Sotto l’1 per cento i due candidati trotzkisti Philippe Poutou (Nuovo Partito Anticapitalista) e l’inossidabile Nathalie Arthaud leader di Lutte Ouvrière e degna erede della passionaria Arlette Laguiller e dei suoi celebri appelli al primo turno a “Lavoratrici e lavoratori”.

Questo il quadro politico francese uscito da un primo turno caratterizzato da una partecipazione in calo di quasi tre punti percentuali al 74,86 per cento.

Cresce insomma ma non troppo l’astensione, un  fenomeno che interessa sia Parigi sia la provincia colpendo soprattutto il “petit peuple” la povera gente che arranca per arrivare alla fine del mese. Un elettorato che un tempo votava compatto nelle banlieues per i comunisti e costituiva un serbatoio importante per le sinistre.

La crisi del semi presidenzialismo alla francese e della Quinta Repubblica

Vedremo come andranno le prossime legislative. Capiremo se amplificheranno la probabile riconferma di Macron all’Eliseo fra due settimane al secondo turno o segneranno attraverso la crescita delle triangolari nei ballottaggi una ricomposizione del quadro politico francese.

Tutto è possibile. Anche una deriva come quella da noi conosciuta nella nostra Diciottesima Legislatura.

Non la auguriamo certo questa deriva ai nostri cugini francesi Né tantomeno a Emmanuel Macron: per il bene non solo della Francia ma soprattutto dell’Europa in questo momento così difficile che stiamo vivendo. 

Ma la Quinta Repubblica vive ormai una crisi del semi presidenzialismo transalpino che potrebbe preludere ad una sua agonia.

La riduzione della durata del mandato presidenziale da sette a cinque anni a mio parere ha indebolito il ruolo del Capo dello Stato che, Oltralpe, è anche colui che presiede il Consiglio dei ministri e sovrintende alla politica estera e di difesa.

La durata del mandato presidenziale dal 2002 coincide con quello della legislatura.Cinque anni. 

Ciò ha impedito a Nicolas Sarkozy, Francois Hollande e Emmanuel Macron di dover fronteggiare fenomeni come quello della coabitazione con maggioranze parlamentari di segno opposto come capitato durante i settennati di Francois Mitterrand e il primo settennato di Jacques Chirac, impegnati all’Eliseo a tener testa a primi ministri di segno contrario (lo stesso Chirac e Edouard Balladur nell’era Mitterrand, Lionel Jospin negli ultimi due anni del primo settennato di Chirac).

Mitterrand ma per ceri versi anche Chirac in queste particolari contingenze avevano avuto modo di esprimere durante la coabitazione con maggioranze parlamentari di segno opposto il meglio delle loro doti politiche e capacità, applicate a quei domini riservati al capo dello Stato che sono la politica estera e di difesa, e quindi esercitando un ruolo preminente nelle riunioni del Consiglio dell’Unione europea. 

La buona e per certi versi inaspettata affermazione di Jean Louis Mélenchon che riconquista alla sinistra voti confluiti cinque anni or sono sull’attuale inquilino dell’Eliseo costringe il candidato Emmanuel Macron a scendere in campo in questo secondo turno moltiplicando le sue presenze in televisione e ciò al fine di riequilibrare una politica, la sua, apparsa negli ultimi mesi sempre più schiacciata verso destra.

Fra il primo e il secondo turno il candidato Macron alla sua successione si trova in qualche modo costretto a  cambiare immagine almeno in queste due settimane rivolgendosi da un lato agli elettori di sinistra per ottenerne i voti, dall’altro cercando di convincere almeno una parte degli astenuti, dei malcontenti e di quel petit peuple che altrimenti potrebbe essere tentato a votare per Marine Le Pen.

Quest’ultima, pur non essendo la favorita, potrebbe comunque rivelarsi una sgradevole sorpresa per quegli elettori moderati e progressisti tentati da una gita fuori porta.

Perché l’esito del voto presidenziale del 24 aprile rimane comunque incerto e la vittoria Emmananuel Macron deve sapersela conquistare “porta a porta” come hanno sempre fatto i suoi predecessori da Charles De Gaulle, costretto al ballottaggio nel 1965, a Francois Mitterrand rieletto per un secondo mandato nel 1988, sino a Jacques Chirac, anch’gli rieletto nel 2002 per essere confermato in un secondo mandato, ma in questo caso ridotto per la prima volta da sette a cinque anni. A differenza di Valéry Giscard d’Estaing che tutti davano per rieletto a sei mesi dalle elezioni presidenziali dell’aprile-maggio 1981.

Vedremo come Emmanuel Macron se la caverà nel dibattito televisivo alla vigilia del voto in duello con Marine Le Pen. Dibattito al quale l’attuale Presidente, non può sottrarsi. Pur considerandosi ormai immortale come Giove/Juppiter.