L'approfondimento

Democrazia Futura. La guerra a poche ore da casa

di Giorgio Pacifici, sociologo, saggista e docente universitario |

Mediazioni difficili. La riflessione di Giorgio Pacifici, sociologo di lungo corso ed esperto di crisi mediorientali: "Russia e Ucraina sono nate nel medesimo spazio culturale e intellettuale, quello della Unione Sovietica. Uno spazio nel quale, per motivi storici, l’autocrazia è stata l’unica prassi politica praticata e considerata possibile”.

Giorgio Pacifici
Giorgio Pacifici

Oggi Democrazia futura propone una riflessione di Giorgio Pacifici, sociologo di lungo corso esperto di crisi mediorientali, su “La guerra a poche ore da casa” sottolineando come “Russia e Ucraina sono nate nel medesimo spazio culturale e intellettuale, quello della Unione Sovietica, imbevuto di retoriche, ipernazionalismi e razzismi. Uno spazio nel quale, per motivi storici, da Ivan il Terribile in poi l’autocrazia è stata l’unica prassi politica praticata e considerata possibile”. Per Pacifici in questo contesto le peraltro auspicabili mediazioni rimangono a due mesi dall’inizio del conflitto “possibili, e difficili”. 

____________

Circa quaranta giorni fa la Federazione Russa, dopo avere dichiarato che non avrebbe condotto nessuna azione militare contro l’Ucraina, ha deciso di invaderne il territorio con vasti contingenti militari, attaccando con bombardamenti aerei e missilistici,  terrestri e marittimi, la capitale e quasi tutte le città ucraine, nell’ambito di quella che ha definito una “operazione militare speciale”.

È dovere di tutte le persone di buona volontà aiutare, in primo luogo materialmente ma anche moralmente, coloro che soffrono per la guerra. Agli analisti e ai ricercatori, certamente anch’essi persone di buona volontà, resta un altro compito: capire.  Capire, secondo la lezione immortale di Baruch Spinoza, prima ancora di protestare la propria indignazione.

Non è una partita di calcio. Ci sono migliaia di persone che sono morte e stanno morendo, soldati e civili. Dunque non c’è spazio per le opposte tifoserie.

Il fatto che la guerra sia ancora in corso – pur nella evidente sproporzione numerica e di armamenti tra le forze in campo – induce gli esperti di problemi strategici a ritenere che nel mondo attuale non ci sia più spazio per le cosiddette “guerre lampo”. 

Quelle “belle guerre”, nelle quali in tempi brevissimi dovrebbero essere colpiti soltanto obiettivi militari e non dovrebbero esserci danni o vittime civili, che, con un termine notevolmente discusso, sono indicate come danni o vittime collaterali. Dovrebbero. Oltre tutto in queste “guerre quasi pulite” (inesistenti, illusorie, che appartengono all’albo del fantastico) si capisce subito chi ha vinto e chi ha perso e, sì, ci si può rapidamente sedere al tavolo delle trattative per fare una “bella pace”.

***

Ma un’altra considerazione generale s’impone: in questa guerra, come in quasi tutti i conflitti moderni, si intrecciano strategia militare e diritti umani, geopolitica e diritti delle minoranze, politica di potenza e diritto internazionale, ideologia e comunicazione pubblica, politica economica e antropologia. Tutte materie interessanti per le discipline studiate nei corsi di scienze politiche, ma che nella realtà e nella pratica possono essere antinomiche tra loro e non sono facilmente integrabili in qualsiasi tipo di dialogo           

Sotto il profilo storico, Russia e Ucraina stanno molto male. Non sembra neppure interessante riferirsi e focalizzarsi sulle personalità dei due capi di stato, attribuendo loro o personalizzando i dati negativi di questa orribile vicenda.

Russia e Ucraina sono nate nel medesimo spazio culturale e intellettuale, quello della Unione Sovietica, imbevuto di retoriche, ipernazionalismi e razzismi. Uno spazio nel quale, per motivi storici, da Ivan il Terribile in poi l’autocrazia è stata l’unica prassi politica praticata e considerata possibile.

Basti pensare che in una simpatica lettera ad un boiardo suo “amico”, Andrej Michajlovič  Kurbskij  Ivan spiegava che i sudditi hanno sempre il dovere di obbedire allo zar, anche quando sbaglia.

Occorrerebbe essere esperti di storia russa per decidere se in questa lunga linea  sanguinolenta dell’autocrazia, che passa attraverso gli zar per arrivare a Stalin e al presidente attuale  ci siano state parentesi democratiche (Forse Aleksandr Fëdorovič Kerensky? Forse Michail Sergeevic Gorbacev? Di certo non Boris Nikolaevic Eltsin).

Mancano informazioni accertate sui (makro)-gruppi sociali. Quelli che nella Russia di oggi hanno un reale potere. Quelli che potrebbero aver consigliato allo zar questa “operazione militare speciale”. Cinquant’anni fa in ogni seminario su questo tema (“Gruppi sociali in Russia”) si ripeteva che nell’Unione Sovietica il potere reale era ripartito tra il Partito Comunista (PCUS), l’esercito, l’apparato di intelligence, il sindacato e le organizzazioni professionali, i tecnocrati e, con le sorprese che la storia riserva, la Chiesa ortodossa.

Gruppi “sociali” articolati e disomogenei

Oggi la realtà della società russa è profondamente mutata. Il PCUS non c’è più. E il partito del presidente “Russia Unita” non assomiglia a quello che era il PCUS, né lo sostituisce. Il PCUS era un grande apparato di potere autonomo, capace di modellare e rimodellare gruppi dirigenti. Ora il partito dominante è solo uno strumento di potere nelle mani dell’autocrate, finalizzato alla funzione (o finzione) parlamentare, elettorale e propagandistica.

Le forze armate, o meglio la tecnocrazia militare (che comprende esercito, marina, aviazione e specialità come l’arma missilistica) in quanto gruppo non è sembrato capace di elaborare, almeno per ora, al proprio interno e nella relazione col potere politico, una strategia unitaria adeguata agli obiettivi strategici politici dell’invasione.

È possibile che vi siano delle linee di divisione o addirittura di scontro tra gli stati maggiori, e questo farebbe capire le ingentissime perdite subite e i “ripiegamenti” attuati, ma rende difficile parlare del complesso tecnologico militare come di un gruppo omogeneo.

La recente decisione di nominare un generale – il creatore della “strategia Grozny”- al vertice di tutte le operazioni potrebbe essere interpretata come la volontà del potere politico di mettere fine a tutte le divaricazioni, scostamenti, sconnessioni necessarie per trovare una linea strategica unitaria, nella quale la distruzione è la linea strategica maestra.

Anche l’apparato di intelligence russo ha subito dall’inizio dello scontro dei colpi molto duri.

Si tratta di una “comunità” molto numerosa, che comprende diverse istituzioni, ha una buona integrazione con il mondo accademico e con i settori più avanzati della tecnocrazia (in particolare strumenti di ascolto e cybersecurity). Eppure, alla fine di tutto, questo selezionato gruppo sociale non sembra essere stato in grado di fornire informazioni utili e corrette alle istituzioni politiche e all’apparato militare, non soltanto sui risultati finali dell’operazione, ma persino sull’inizio. Anche in questo caso non è dato sapere cosa sia realmente successo.

Può essere avvenuto, come talvolta succede nella lettura di una radiografia da parte di diversi medici, che differenti interpretazioni si siano scontrate. Oppure che lo scontro sia avvenuto tra l’intelligence e l’apparato militare.

Potere politico, oligarchi e intellettuali. Come stanno veramente le cose

Questo panorama rende ancora più difficile per il ricercatore sociale determinare il potere reale dei diversi gruppi sociali nella Russia di oggi.

Una cosa sembra più certa: il gruppo dei cosiddetti “oligarchi” contro il quale si è appuntato l’odio di gran parte del mondo occidentale non ha un reale potere politico per essere il “suggeritore” dell’invasione, e semmai avesse avuto un reale potere avrebbe suggerito, proprio per motivi di business as usual la “non invasione”.

Gli oligarchi non sono simpatici ma è ipotesi fantasiosa attribuire a loro la responsabilità dell’attività militare contro l’Ucraina. Essi sono l’evoluzione del gruppo sociale che ha favorito tutte le liberalizzazioni economiche e il più vicino alle prescrizioni del Fondo Monetario Internazionale.

Nel corso del tempo, la prima generazione si è evoluta in quella attuale, fedele al Presidente. Ma, proprio per le sue caratteristiche, il gruppo sembra quello più favorevole a mantenere un rapporto positivo con l’Occidente.

Nel gruppo degli oligarchi, non particolarmente numeroso anche nelle sue propaggini provinciali, è anche possibile che esista una frangia bellicista (coloro che rappresentano il settore produttivo e commerciale dell’industria degli armamenti), ma certamente non rappresenta la corrente mainstream, e non sembra avere potere d’ascolto così ampio da parte del vertice politico.

Esiste comunque un micro gruppo sul quale occorre soffermarsi brevemente  in quanto suggeritore del potere se non proprio suo consigliere: quello degli intellettuali, filosofi della politica e della storia. Questi autori sono  pervasi da un indomabile “patriottismo russo” e da una irrefrenabile desiderio di “denazificazione”.

Le opere di questi autori sono presenti nelle biblioteche di tutto il mondo e la loro lettura può costituire a mio avviso  una delle fonti principali della conoscenza profonda di quanto sta avvenendo. Se la antica corte zarista era “rasputiniana”,  esiste il forte rischio  che questi “nouveaux magiciens” rappresentino del potere politico attuale  l’unico ancoraggio forte. Magari saldandosi con le gerarchie religiose.

Le mediazioni possibili, e difficili

Ci si interroga legittimamente sulle mediazioni possibili e sulla fine del conflitto.

Se si potesse, ognuno vorrebbe e “voterebbe” – per umanità e per convenienza – che questo conflitto, così vicino alle soglie di casa, terminasse il più rapidamente possibile attraverso una mediazione rapida che, in qualche modo, ci restituisse “il mondo di prima”. Ma l’ipotesi non è per ora contemplabile. Gli analisti più avvertiti, come Lucio Caracciolo (“L’ultima parola ai popoli  muti”, Limes, 3/22), mettono in guardia dai wishful thinking.

Sui possibili mediatori si possono spendere poche parole.

I mediatori devono essere neutrali, autorevoli, accettabili e accettati da entrambe le parti in conflitto. E questo sgombra il campo dalle possibili mediazioni della maggior parte dei paesi afro-asiatici. I mediatori europei (come la Francia o l’Italia) non appaiono neutrali in quanto politicamente vicini alle ragioni dell’Ucraina.

Più accettabile probabilmente la mediazione della Turchia. Che sembra godere di vari statuti speciali: membro della NATO, è però acquirente di armamenti russi e contemporaneamente fornitore di armamenti all’Ucraina. In quanto tale, quindi sgradita a molti paesi occidentali.

Anche il possibile ruolo di mediazione delle gerarchie religiose è reso difficile dalla reiterata posizione bellicista del patriarca di Mosca che, pregando per la guerra santa, ripropone un’alleanza tra trono e altare che riporta indietro l’orologio della storia e rende impossibile una via ecumenica al dialogo.

La mediazione di Israele avrebbe forse potuto essere efficace. Ma è stata resa più difficile dalla posizione del ministro degli esteri di quel Paese, che a differenza del primo ministro, si è schierato apertamente dalla parte dell’Ucraina. Ciò lo ha reso sicuramente il personaggio israeliano più gradito in Ucraina (paese del quale è del resto originario) e forse in Occidente, ma certamente ha depotenziato il valore della possibile mediazione del suo paese tra le parti in conflitto. 

Comunque, europei, turchi e israeliani potrebbero far parte di un gruppo di mediazione, qualora si creassero le condizioni preliminari, rappresentate dalla realizzazione almeno parziale degli obiettivi delle parti in conflitto e, in particolare, della parte più potente, cioè la Russia. Molti pensano invece che la crisi richiederà l’impegno, non più bellico per procura, ma finalmente diplomatico delle altre grandi potenze globali, Stati Uniti e Cina. Ma questo scenario appare molto lontano, mentre il pericolo di un allargamento e di un incrudimento del conflitto, con conseguenze per tutta l’area europea, cresce ogni giorno.

Lisbona, 21 aprile 2022