Seconda parte

Democrazia Futura. Dalla guerra al confronto diplomatico, come far partire un negoziato credibile

di Bruno Somalvico, Direttore editoriale di Democrazia futura |

Passare dallo scontro bellico al confronto diplomatico e alla composizione degli interessi divergenti degli attori in campo. Le due partite a scacchi pensando alla ricostruzione e al nuovo scacchiere multipolare.

Bruno Somalvico

Prosegue l’analisi sul conflitto in Ucraina di Democrazia futura che – dopo aver inquadrato storicamente il contesto nel quale è scoppiato il conflitto bellico creando una situazione di forte tensione che ricorda il quadro esistente alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale – ripercorre gli eventi degli ultimi giorni evidenziando a quali condizioni dagli interventi armati e dai massacri che si stanno perpetrando in questi giorni da parte dell’esercito russo che hanno dovuto fare i conti con una imprevista quanto tenace resistenza da parte non solo dell’esercito ma anche del popolo ucraino  si potrà passare all’avvio di un negoziato credibile per porre fine al conflitto che secondo l’autore non potrà avvenire se non all’interno di un quadro più ampio che potrebbe preludere ad una Conferenza mondiale in grado di sancire i nuovi equilibri geopolitici in un mondo diventato multipolare come quello di questo terzo decennio del Ventunesimo secolo che potrebbe finalmente porre fine al secolo lungo ed avviare una nuova era e una nuova stagione per l’umanità tema sul quale l’autore si propone di ritornare nei prossimi giorni.

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Nella prima parte scritta nel corso della seconda settimana di guerra evocando il dibattito intorno all’analisi di Shlomo Sand del conflitto “La politica russa del bastone sempre più grosso sull’Ucraina” (1), avevamo preso le distanze verso il pacifismo sottolineando i rischi che una certa sinistra equidistante ha assunto in questi giorni scendendo in piazza senza rilevare la gravità dell’invasione russa del territorio dell’Ucraina che viola qualsiasi principio del diritto internazionale /2). Sotto questo ha perfettamente ragione Sergio Talamo, ex direttore di Mondoperaio – mensile sul quale nel 1982 avevamo proprio con Shlomo Sand predisposto un dossier su “Sorel sessant’anni dopo” (3) – qualificando il testo dello storico israeliano come “un intervento articolato e serio ma per nulla condivisibile. Considerare sullo stesso piano dittature e democrazie, enfatizzando sempre e solo le contraddizioni di queste ultime, è storicamente la via più certa per soccombere alle prime. Leggendo questo pezzo viene voglia di chiedere dove si possono versare 2 euro per Putin” (4).  Concordavamo invece sull’idea che oggi ci troviamo per molti versi in una situazione simile a quella al momento dello scoppio della prima guerra mondiale e che sotto questo profilo va assolutamente evitata un’ulteriore escalation del conflitto e che la soluzione migliore sarebbe quella di arrivare ad un accordo senza vincitori né vinti o peggio alla tentazione di trasformare il sostegno legittimo al governo e al popolo ucraino in un tentativo di umiliare la Russia. Un pacifismo di segno opposto ribadendo l’ostilità assoluta a trasformare il conflitto in una terza guerra mondiale con opinioni pubbliche cristallizzate come nell’autunno del 1914) e che cerchi al contrario di promuovere una conferenza con tutti i grandi attori del nostro pianeta in grado di ricomporre gli interessi di tutti gli attori in campo sul piano locale ma anche sul piano globale. Per togliere soprattutto il consenso che gode all’interno della Russia il nuovo zar al Cremlino, frutto di quel sentimento di frustrazione subito dal popolo russo dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica che, in assenza appunto di un grande accordo mondiale capace di ridisegnare l’ordine mondiale dopo la fine del bipolarismo e della guerra fredda, non ha fatto che suscitare posizioni revansciste simili a quella conosciute nel primo dopoguerra dall’Italia e dalla Germania dopo la Conferenza di pace di Versailles. Il che potrebbe lasciar supporre che il Novecento nato a Sarajevo nel 1914 non sia finito nel 1989 ma che al contrario non si sia ancora concluso ma richieda una nuova Conferenza per sancire gli equilibri in un quadro multipolare, un’appendice necessaria per chiudere questo “secolo lungo” ed aprire davvero una nuova fase. Evitando il ritorno di nuove forme di autocrazia imperiale che ricordano l’Impero zarista e l’impero ottomano che in fasi diverse della storia si sono contese Kiev nata sulla strada che collegava i Vichinghi con Costantinopoli.

Sotto questo profilo non deve stupirci l’incontro avvenuto sotto gli auspici di un altro autocrate neo ottomano Receip Erdogan ad Antalya il 10 marzo fra il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba. Tutti sapevano sin dalla vigilia che non avrebbe portato molti frutti e non a caso si è concluso senza nessun progresso. Ma in qualche modo serviva a Putin non solo per confermare le più che buone relazioni con Erdogan e forse per tentare di giustificare l’intervento reinventandone la giustificazione su uno pseudo fondamento storico  ma per consentire al suo ministro degli esteri, dopo le contestazioni subite in occasione del suo discorso giustificazionista alle Nazioni Unite, di ritessere i contatti con il suo omologo ucraino ma soprattutto con le cancellerie occidentali. Perché sul terreno diplomatico Putin dovrà giocare in ogni caso ormai prima o poi la seconda partita a scacchi quella diplomatica.

Certo questa terza settimana di conflitto vede sempre più stringersi la morsa e l’assedio dell’esercito russo sull’Ucraina con una guerra di vecchio tipo, con armi e dotazioni anch’esse vecchiotte che ricordano purtroppo altri cruenti conflitti e distruzioni di intere città come avvenuto recentemente in Siria. I russi puntano decisamente ora ad occupare la capitale Kiev ma anche Odessa e contemporaneamente sul fronte occidentale nella notte fra il 12 e il 13 marzo  anche la città di Leopoli sinora rimasta risparmiata dalle bombe è sotto attacco: colpita da un missile una base di addestramento militare a Yavoriv, 30 km nord ovest di Leopoli e a 25 chilometri dal confine con la Polonia usata anche dalla NATO, l’International Center for Peacekeeping and Security, sappiamo ha provocato circa 35 morti. Sono due simboli Odessa da un lato, Leopoli dall’altro di città d’arte con un passato che rievoca un crogiuolo di popoli diversi che in tempo di pace avevano fatto della convivenza uno dei loro punti di forza. Colpirle al cuore produrrebbe effetti devastanti nell’opinione pubblica mondiale. Altrettanto devastanti le immagini che provengono da Mariupol (la città della vergine Maria) assediata dai russi che ormai viene definita come città-martire dove 400 mila persone dopo aver viste distrutte le proprie case, rischiano di morire di fame. O ancora le denunce di utilizzo di bombe a grappolo, le azioni di intimidazione nelle zone ormai occupate per costringere le popolazioni locali con famiglie sempre più divise al loro interno ad accettare la resa. L’utilizzo infine dei profughi che potrebbero arrivare a cifre colossali – c’è chi parla di 5 milioni di persone che potrebbero abbandonare il territorio ucraino – come arma di ricatto verso l’occidente alla stregua di quanto praticato da Erdogan con l’Europa con i profughi siriani scappati dalla loro madrepatria dopo la loro guerra. Infine la notizia domenica della morte del primo giornalista, Brent Renaud, un celebre americano video reporter 13 marzo statunitense.

Oggi 14 marzo si tiene in video-conferenza un quarto round dei negoziati intavolati fra russi e ucraini. Difficile credere che ottenga qualche frutto buono, nonostante le solite dichiarazioni della vigilia da parte di entrambe le parti di voler ricerca un’intesa.

Su questo gli osservatori rimangono molto scettici.

Putin prima di aprire sul serio la partita diplomatica deve ottenere risultati tangibili sul campo e deve ottenerli rapidamente perché il tempo non giova suo favore e le sanzioni dell’Occidente sono destinate anch’esse a strangolare la già debole economia russa. Perché la conquista militare di Kiev da un lato e la tentazione di procedere ad una bielorussizzazione dell’Ucraina trasformandola in una sorta di stato-satellite della Russia con un governo “amico” – un’ipotesi peraltro che i russi continuano a negare – potrebbe rivelarsi nel tempo come abbiamo già avuto occasione di dire una “vittoria di Pirro” isolando la Russia nello scacchiere internazionale (5). Favorirebbe invece molto probabilmente  alle sue frontiere occidentali il riarmo dell’Europa attraverso una nuova Comunità Europea di Difesa e soprattutto il prosieguo del processo di costruzione politica dell’Europa, affrancandola del tutto da ogni tutela americana.

Contemporaneamente assistiamo in queste ore alla richiesta russa di assistenza militare alla Cina, una sorta di ritorsione al crescente sostegno militare compatto della Nato e dell’intero Occidente  all’Ucraina. Al di là dell’effetto propagandistico, tale richiesta, qualora fosse presa alla lettera, potrebbe a sua volta produrre un’altra tentazione: quella del vicino gigante politico ed economico cinese di volere in qualche modo a suo modo “finlandizzare” l’impero autocratico russo.

E fonte di preoccupazione per il Cremlino potrebbero derivare dall’iniziativa di consultarsi per concertare iniziative a difesa del Mar Baltico (presso il quale si affaccia – è bene ricordarlo – un’importante base militare della Russia, l’Oblast di Kaliningrad), presa da parte del Regno Unito e di tutti i paesi del Nord Europa unitamente ai paesi baltici, ivi compresi quelli scandinavi e in particolare Finlandia e Svezia. Questi ultimi pur essendo al di fuori della Nato, ricevono in queste ore proprio per questo crescenti minacce da parte russa.

In un caso come nell’altro si potrebbe insomma, a conti fatti, delineare uno scenario opposto a quello voluto dal nuovo zar del Cremlino che ridimensionerebbe ulteriormente  la Russia nel quadro multipolare oggi esistente.

Seguiamo praticamente minuto per minuto questa guerra calda attraverso le immagini della televisione, le analisi dei giornali oltre che con le dichiarazioni in tempo reale contenenti le esternazioni di tanti improvvisati esperti, soloni attraverso post e tweet pubblicati ininterrottamente sui social. Non tutti noi siamo capaci di distinguere i fatti reali dalla propaganda snocciolata attraverso dati quasi sempre gonfiati sui risultati ottenuti le città conquistate dall’esercito russo o il numero di morti e feriti nei due campi.  

Ma soprattutto ci mancano informazioni e analisi attendibili sull’altra guerra sotterranea ma non per questo meno importante Non è dato sapere quali sono le conseguenze sul conflitto della guerra cibernetica e al di fuori del di un ristretto universo di militari e dell’intelligence, ignoriamo quale ruolo effettivo ha giocato, gioca e potrà giocare  soprattutto nel futuro quella che Sergio Romano chiama la “nuova guerra fredda” con l’arrivo di nuovi armi tecnologiche: “robot-spia volanti grandi come colibrì, missili ultraveloci in grado di raggiungere ogni punto del pianeta in pochi minuti, sistemi audio-video capaci di captare ogni mossa del nemico da chilometri di distanza, centri di elaborazione dati così grandi ed evoluti da fare impallidire Google. Tutte queste armi sarebbero in fase di perfezionamento nei laboratori del Pentagono”.

In questo quadro fa bene Papa Francesco a chiedere che ”si ponga fine ai bombardamenti e agli attacchi! Si punti veramente e decisamente sul negoziato, e i corridoi umanitari siano effettivi e sicuri. In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro!”. Ma è purtroppo del tutto probabile che per Mosca non sia ancora giunta per le ragioni sopra accennate l’ora di aprire veramente la partita diplomatica per porre fine al conflitto e a questo massacro.

In ogni caso anche se non ha prodotto nessun risultato concreto negli ultimi giorni abbiamo assistito ad incontri ai più alti livelli come quello tenutosi fra i due ministri degli esteri ad Antalya e fa bene il presidente Volodymyr Zelensky ad usare tutta la sua capacità comunicativa arrivando persino a dichiararsi disponibile ad incontrare direttamente lo zar del Cremlino.

Per ora la partita diplomatica – che a sua volta si intreccia con altre partite che si svolgono su scala globale, ovvero quella delle sanzioni economiche avviate dall’Occidente peraltro non solo nei confronti della Russia ma nel caso degli Stati Uniti anche verso la Cina, la partita della comunicazione e dell’innovazione tecnologica che potrebbe esercitare altrettante pesanti ricadute nell’opinione pubblica interna russa soprattutto fra i giovani d in particolare fra coloro abituati ad effettuare i loro acquisti e pagamenti attraverso i telefoni cellulari, ma anche la partita culturale fra chi è favorevole ad una battaglia per assicurare una globalizzazione non solo finanziaria e merceologica ma anche degli scambi fra studenti universitari sul modello avviato in Europa con il programma Erasmus, e chi punta invece alla cancellazione delle culture e alla rimozione delle identità dei singoli popoli in nome di una strana visione della democrazia e del “politicamente corretto” che anziché favorire il contagio della democrazia e la globalizzazione dei valori delle società aperte, produce nuove chiusure manicheiste, una sorta di maccartismo manicheo, quello che su queste colonne Raffaele Barberio ha chiamato il rischio che vinca “il pensiero semplice, anzi semplicistico, perché consente lo schieramento chiassoso e scontato. (Un pensiero in cui] Si comprende solo il bianco e il nero. Qualunque articolazione di pensiero o analisi appena abbozzata rischia di mettere in crisi i neuroni”.

Non dobbiamo dunque stupirci se un abile diplomatico come Sergej Lavrov non abbia voluto discutere le proposte presentate dal suo omologo ucraino Dmytro Kuleba per approdare ad una neutralità dell’Ucraina garantita dalle altre grandi potenze, ribadendo che “la Russia “non ha attaccato l’Ucraina”. “Abbiamo spiegato molte volte all’Ucraina che era emersa una situazione che rappresentava una minaccia diretta alla Russia… nonostante il fatto che ne abbiamo discusso per molti anni nessuno ha risposto ai nostri appelli e esortazioni”, minaccia quella costituita dall’Ucraina per il grande fratello russo che – come osservato da Matteo Maggiore  su Facebook – sembrerebbe “comica se non fosse tragico elemento di questa narrazione strumentale e demenziale”. Ma Lavrov ha poi aggiunto: “Siamo pronti a discutere garanzie di sicurezza per lo stato ucraino insieme a garanzie di sicurezza per gli Stati europei e naturalmente per la sicurezza della Russia”, e che Putin potrebbe accettare un negoziato diretto se ci fossero proposte “specifiche” sul tavolo. Un’offerta anche in questo caso “grottesca se non orripilante“ secondo Maggiore “mentre carri armati e aerei russi bombardano Kiev”. Ma – di fronte a scenari di possibile escalation fuori controllo -aggiunge che “bisogna aggrapparsi a parole come ‘siamo pronti a discutere’, sia pure in contesti aberranti”.

Così come francamente aberranti appare la posizione “guerrafondaia” del Patriarca di Mosca Cirillo I che sembrava inizialmente disponibile ad un tentativo di mediazione insieme alla diplomazia vaticana soprattutto dopo la mossa preventiva a sorpresa di Francesco con la sua visita all’ambasciatore russo presso la Santa Sede. Ma anche qui su questo fronte mai dire mai.  

Alla stregua del Patriarca della Chiesa ortodossa Lavrov in questa fase deve usare il pugno di ferro – o almeno apparire come tale perché inizia anche una nuova fase della sua partita diplomatica interna in seno al Cremlino per impedire ai falchi di prevalere. Dopo l’umiliazione subita alle Nazioni Unite la diplomazia moscovita non aveva alternative e credo dovrebbe continuare a puntare sulla “lungimiranza” di Lavrov, come facevano le Cancellerie europee con il “saggio” quanto inossidabile Andrej Gromyko ai tempi della guerra fredda, di quella vera. Così come chi ha a cuore come il Santo Padre la fine di questo massacro non può che vedere positivamente altri tentativi di negoziato come quelli offerti da due paesi come da un lato la Turchia di Erdogan che, pur inviando come paese appartenente alla Nato aiuti militari all’Ucraina. si è rifiutata di imporre sanzioni economiche alla Russia con la quale è impegnata per assicurare una stabilità politica alla Siria (e mantenere – aggiungiamo noi – il pugno di ferro contro i Curdi) e dall’altro Israele che non ha inviato aiuti agli Ucraini né imposto sanzioni ai russi consentendo al suo primo ministro Bennett di candidare Gerusalemme come sede per dirimere il conflitto. Tentativi ai quali si potrebbero aggiungere gli sforzi diplomatici di Pechino che sembrerebbe sinora aver sostenuto in maniera poco convinta l’intervento militare russo, dopo aver ricevuto da Putin alcune garanzie che l’evoluzione degli eventi stessi potrebbero impedirgli di mantenere. Vedremo se l’incontro che si tiene a Roma in queste ore fra consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, e il responsabile della politica estera del Partito comunista cinese Yang Jiechi, consentirà non solo di fare passi avanti in previsione di un vero negoziato di pace, ma perlomeno di chiarire la posizione di Pechino sul conflitto stesso e sulle richieste russe di un aiuto militare.

Inutile sembra essere stato il tentativo di Macron e Sholtz di pressing sul Cremlino per arrivare ad un autentico cessate il fuoco nel loro ultimo colloquio con Putin del 12 marzo. Né aiuta la già ricordata uccisione domenica 13 marzo da parte di un cecchino del giornalista e video reporter americano dal momento che dopo i massicci sostegni militari statunitensi all’Ucraina e alla “resurrezione” della Nato, mai così basse si sono registrate le relazioni fra Washington e Mosca.

Tutte queste considerazioni potrebbero favorire una mediazione su scala molto più ampia da parte di Pechino interessata a salvare la globalizzazione ponendo fine alle sanzioni economiche subite da parte di Washington e non solo a venir in soccorso dell’alleato russo vuoi esercitando pressioni per togliere le sanzioni occidentali verso la Russia vuoi consentendo di prenderlo in qualche modo sotto la sua protezione economica e persino monetaria, acquistandone il gas e le altre materie prime qualora l’Europa decidesse di ricercare altre fonti di approvvigionamento energetico

E concludiamo sull’Europa sulla quale interverrà su queste colonne martedì 15 marzo il Presidente del Consiglio Italiano del Movimento europeo Pier Virgilio Dastoli. “Il Consiglio europeo di Versailles dell’11-12 marzo ha confermato la coesione politica europea a difesa dell’Ucraina e della sua sovranità ribadendo la volontà di poterla accogliere in tempi medio lunghi all’interno dell’Unione europea. L’adesione, anche della Moldavia e della Georgia, può essere esaminata dalla Commissione in vista di una potenziale apertura, in funzione dei Trattati” ha detto il presidente francese  Macron il 12 marzo a conclusione del Consiglio europeo di Versailles dove sono però emerse divisioni che sembravano sopite in queste ultime settimane I leader europei si sono detti uniti sul fronte dell’aiuto materiale a Kiev, dell’assistenza ai profughi, e – nel medio periodo – per l’indipendenza energetica e il rafforzamento della difesa e della sicurezza.

Ma il “recovery di guerra” da 100 miliardi, proposto dal presidente francese Emmanuel Macron (padrone di casa in quanto presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea), ha trovato ostacoli sul cammino: un nuovo debito comune, dopo quello emesso per far fronte alla pandemia e alla recessione, non trova d’accordo la Germania e dei Paesi “frugali” del nord d’Europa.

Ora dopo ora, prosegue l’escalation militare di una Russia che ha bisogno ripeto di risultati tangibili prima di rimettersi seriamente a discutere intorno al tavolo.

Dietro a ciò si nasconde una seconda guerra ideologica fra regimi chiusi autocratici e le nostre società aperte occidentali.

Una guerra che richiede un Conferenza mondiale per sancire i nuovi equilibri in uno scacchiere divenuto multilaterale su cui ritorneremo nei prossimi giorni. Una partita molto difficile per l’Europa ma un appuntamento con la storia al quale l’Unione europea se vuole evitare di subire ulteriori divisioni e defezioni in futuro non può assolutamente mancare.

Come scritto da Angelo Panebianco nell’editoriale domenicale del Corriere della Sera

Non c’è più il mondo bipolare con la sua politica dei blocchi e la stabilità assicurata dall’equilibrio del terrore fra due(e solo due) superpotenze. L’attuale è un mondo multipolare in cui per giunta la massima potenza, gli Stati Uniti, è in (relativo) declino.

In questo nuovo mondo l’America deve fronteggiare non una sola ma due grandi potenze ostili (Cina e Russia) e deve inoltre fare i conti con uno stuolo di medie potenze molto meno disponibili di un tempo a seguire le indicazioni americane. Il che significa che in Europa, a differenza di quanto avveniva ai tempi della Guerra fredda, non basterà a proteggerci l’ombrello americano 

Se per politica del contenimento intendiamo la capacità di bloccare la Russia, impedendo altre Ucraine — ma anche impedendo manovre di accerchiamento dell’Europa che partano dall’Africa, dal Medio e dal Vicino Oriente — allora bisogna riconoscere che, questa volta, il contenimento sarà possibile solo se gli Stati Uniti saranno coadiuvati da un’Europa politicamente e militarmente credibile. Molto più facile a dirsi che a farsi purtroppo (6).

Note a fine testo

(1) Shlomo Sand, “La politica russa del bastone sempre più grosso sull’Ucraina”, Key4biz, 7 marzo 2022, Vedilo al seguente link: https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-politica-russa-del-bastone-sempre-piu-grosso-sullucraina/395023/.

(2) Bruno Somalvico, “Che cosa ci insegna la storia del secolo lungo”, Key4biz, 9 marzo 2022.  Anticipazione al seguente link https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-due-partite-a-scacchi-pensando-alla-ricostruzione-e-al-nuovo-scacchiere-multipolare/395320/.

(3)  “Sorel sessant’anni dopo”, n° speciale di Mondoperaio XXXV (7-8), luglio agosto 1982. Contiene contributi e sintesio delle relazioni di un convegno sorerliano tenutosi all’Ecole Normale Supérieure della rue d’Ulm a Parigi di Jacques Julliard, Shlomo Sand, Bruno Somalvico, Peter Schoettler e di Pierre Andreu. Oggi questo numero del mensile all’epoca diretto da Federico Coen è disponibile in rete al seguente indirizzo: https://mondoperaio.senato.it/js/pdfjs-dist/web/viewer.html?file=/files/reader.php?f%3DMondo_operaio_1982_007-008.pdf

(4) Commento espresso dal professor Talamo in uno scambio personale con l’autore di queste righe su Facebook

(5) Bruno Somalvico, “L’avanzata militare russa. Il rischio per Putin di una Vittoria di Pirro”, Key4biz, 3 marzo 2022. Cfr. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lavanzata-militare-russa-e-il-rischio-per-putin-di-una-vittoria-di-pirro/394645/.

(6) Angelo Panebianco, “L’Ucraina e le nostre debolezze. La forza e i limiti delle nostre società aperte”, Corriere della Sera, 13 marzo 2022. Già disponibile il 12 marzo nella sua versione pubblicata on line dal quotidiano milanese al seguente indirizzo elettronico: https://www.corriere.it/opinioni/22_marzo_12/ucraina-nostre-debolezze-5e1f3248-a231-11ec-9a6c-d0d087f8f56a.shtml.