Data center in Italia: un’opportunità da 165 miliardi di euro tra AI e transizione digitale
Di fronte a un’accelerazione tecnologica senza precedenti, l’Italia si trova oggi davanti a una finestra di opportunità rara: diventare uno dei mercati di riferimento in Europa per i data center. Non si tratta più di semplici infrastrutture “invisibili”, ma di veri e propri pilastri fisici dell’economia digitale e asset strategici per l’autonomia digitale e infrastrutturale (per quello che sarà possibile fare) del Sistema-Paese e dell’Europa tutta.
Secondo il Rapporto della “Community Data Center” di TEHA Group, l’impatto economico di questo settore è destinato a esplodere. Le stime per il periodo 2025-2030, in uno scenario di “alta attrattività”, vedono il mercato italiano generare un valore potenziale compreso tra i 12 e i 30 miliardi di euro.
Se allarghiamo l’orizzonte temporale al decennio 2030-2040, la cifra potrebbe oscillare tra i 38 e i 165 miliardi di euro.
L’ampiezza di queste stime non dipende dal mercato in sé, ma dalla capacità dell’Italia di attirare investimenti, gestire le autorizzazioni e sviluppare una filiera industriale solida. Un discorso certamente molto più ampio e non semplice da sviluppare, che potrebbe abbracciare fattori chiave di natura politica, geopolitica, geostrategica e finanziaria.
Data center, Italia, geopolitica e Mediterraneo
Il nostro Paese potrebbe aspirare a diventare un hub europeo per i data center grazie alla sua posizione strategica nel Mediterraneo, che favorisce la connettività via cavi sottomarini con Africa, Medio Oriente ed Europa, e ad altri fattori come incentivi governativi e disponibilità energetica.
La posizione geografica centrale nel Mediterraneo posiziona l’Italia come snodo per rotte dati globali, evitando la saturazione di hub come Amsterdam o Dublino, e attrae giganti tech con progetti da miliardi di euro. Disponibilità di energia non satura e transizione verso rinnovabili, unita agli incentivi previsti dal PNRR, supera sfide non trascurabili, come i costi elevati che si devono sostenere in altri paesi europei. Lombardia, Liguria (Genova) e Sud Italia (Palermo) beneficiano di collegamenti elettrici cresciuti 40 volte e cavi sottomarini in espansione decuplicata.
Poi c’è certamente il sempre nominato “Piano Mattei”, che potrebbe contribuire indirettamente, promuovendo partnership digitali con l’Africa che rafforzano il ruolo italiano come gateway per l’AI e le infrastrutture digitali. La crescita è trainata da investimenti per oltre 20 miliardi di euro entro il 2028, con Milano in testa.
Questo rafforza la connettività mediterranea, favorendo investimenti in infrastrutture digitali sostenibili verso l’Africa, che ha solo il 2% dei data center globali. Non è il driver primario, ma amplia l’ecosistema italiano come ponte Europa-Africa
AI, IoT, connessioni digitali e sovranità dei dati: cosa spinge la crescita dei data center in Italia
La domanda digitale in Italia, come negli altri Paesi europei, è alimentata da trend strutturali che stanno rimodellando i modelli infrastrutturali.
Al primo posto, come tutti sappiamo, c’è l’AI: la crescita dell’AI generativa (sia nelle fasi di training che di inference) è il driver principale. A questa si aggiungono l’espansione dell’Internet of Things e il costante aumento del traffico dati richiedono maggiore capacità computazionale.
La necessità di allinearsi a standard elevati (come la Direttiva NIS2) e la domanda di sovranità dei dati spingono verso nuove infrastrutture sicure, mentre la trasformazione della Pubblica Amministrazione sta portando a un consolidamento dei data center verso strutture più efficienti e integrate.
La geografia regionale dei data center: Milano hub di livello europeo, in fase di emersione Roma e il Mezzogiorno
L’Italia sta accelerando per colmare il gap con i mercati maturi (come Londra e Francoforte). In questo, al Lombardia con Milano capofila è l’unica “region” italiana con caratteristiche paragonabili ai grandi hub europei: Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino.
Grazie a un’elevata interconnessione e alla vicinanza ai poli economici, Milano traina la crescita nazionale con una capacità IT che punta a superare il GW entro il 2028. Il PIL della Lombardia nel 2023 ha raggiunto il 530 miliardi di dollari, quello della Virginia – il più grande mercato data center americano – si è attestato sui 720 miliardi di dollari, tanto per capire il trend di crescita in cui la regione italiana si è inserita.
Più indietro e di molto si pone il Lazio con Roma, che comunque sta acquisendo un’importanza crescente, con una capacità IT in espansione a un tasso annuo del 45%.
Il Rapporto, però, pone in evidenza la fase di slancio che al Sud stanno prendendo anche la Sicilia e in particolare la Puglia, trainata da Bari. Queste aree si stanno posizionando strategicamente grazie alla presenza di cavi sottomarini internazionali e a un minor costo dell’energia. Il Sud può diventare una nuova “regione digitale” nel Mediterraneo, favorita anche dalle sinergie con il Piano Mattei.
Una capacità IT nazionale in rapida crescita
Crescere oltre Milano rimane oggi una sfida, a causa della disponibilità limitata di potenza elettrica, della complessità dei processi autorizzativi e della scarsa visibilità sui piani di sviluppo della rete.
La capacità IT installata in Italia ha continuato a crescere anche nel 2024, raggiungendo i 287 MW, pari a un incremento del 6% rispetto all’anno precedente. Sebbene positivo, questo ritmo risulta inferiore alle previsioni iniziali, si legge nello studio, principalmente a causa dei tempi necessari per l’entrata in operatività delle nuove strutture. Le prospettive indicano tuttavia un’accelerazione significativa: la pipeline attuale suggerisce un aumento di oltre 110 MW nel 2025 e di circa 250 MW nel 2026.
Fattori di crescita e opportunità sistemiche
Il successo di questa roadmap poggia su alcune innovazioni chiave. Una di queste è il modello “Data & Energy Hub”: trasformare i data center da fonti di pressione sulla rete a risorse di flessibilità, capaci di autoproduzione e accumulo energetico.
Inoltre, la valorizzazione dei siti brownfield (aree industriali dismesse) rappresenta una grande opportunità territoriale. TEHA ha individuato circa 3,7 milioni di m² di superfici potenzialmente adatte: rigenerare queste aree permetterebbe di realizzare rapidamente circa 600 MW di capacità, preservando al contempo suolo agricolo equivalente a 84 campi da calcio.
In sintesi, i data center non sono in alternativa alla transizione ecologica, ma ne sono un fattore di supporto. Se l’Italia saprà superare la frammentazione della filiera e le lungaggini burocratiche, potrà consolidarsi come uno degli hub digitali più competitivi al mondo.
Europa e America, due mercati diversi
Fin qui l’analisi TEHA e uno scenario che certamente è in crescita, seppur frenato da una serie di problematiche di varia natura, da zavorre burocratiche a limiti normativi, fino alla questione ambientale e paesaggistica.
Chi vorrebbe una crescita più rapida e meno barriere alla corsa nazionale ai data center chiede di guardare agli Stati Uniti, ma c’è da chiedersi: ne vale veramente la pena?
Negli Stati Uniti la corsa ai data center è diventata uno dei segnali più evidenti della trasformazione in atto nell’economia digitale, spinta dall’esplosione dell’intelligenza artificiale. L’abbiamo visto soprattutto in questo ultimo anno: l’AI generativa ha introdotto uno shock di domanda senza precedenti per la capacità computazionale: addestrare modelli sempre più grandi e gestire volumi crescenti di query richiede enormi quantità di GPU, server, energia e infrastrutture fisiche. In questo contesto, il data center non è più un semplice asset immobiliare tecnologico, ma un vero e proprio fattore produttivo strategico, paragonabile per importanza a una rete elettrica o a un’infrastruttura di telecomunicazioni.
Dall’altra parte dell’Oceano, questa domanda nasce “in casa”. I grandi sviluppatori di modelli e i principali hyperscaler coincidono o sono strettamente integrati, creando un circuito virtuoso – e potentissimo – tra innovazione software e infrastruttura hardware. Microsoft, Google, Meta e gli altri investono sapendo di avere già una domanda interna solida, continua e scalabile. Da qui la logica del pre-affitto e degli investimenti anticipati: la capacità computazionale viene costruita prima che i ricavi si manifestino pienamente, perché è considerata indispensabile per sostenere la crescita futura dell’AI. È una dinamica tipica dell’economia americana dell’innovazione, dove la velocità e la conquista della scala contano più della perfetta sincronizzazione tra costi e ricavi.
Effetti collaterali
Questo approccio è reso possibile anche da mercati finanziari profondi e molto propensi al rischio. I data center vengono finanziati come asset infrastrutturali ad alto potenziale, sostenuti da capitali abbondanti e da aspettative di lungo periodo sull’AI. In questa corsa c’è inevitabilmente una componente speculativa: il capex (investimenti effettuati da un’impresa per acquistare, costruire o migliorare beni durevoli destinati a generare valore nel medio-lungo periodo) cresce più rapidamente dei ricavi e una parte degli investimenti scommette su scenari di domanda futura che potrebbero rivelarsi eccessivamente ottimistici. Ma si tratta di una speculazione “razionale”, coerente con un sistema che storicamente accetta il rischio di overbuild come prezzo da pagare per mantenere la leadership tecnologica.
Permessi relativamente rapidi, normative ambientali meno stringenti e una gestione energetica più flessibile consentono di avviare progetti in tempi brevi. Questo accelera l’offerta di nuova capacità, ma produce anche effetti collaterali: forte pressione sulle reti elettriche, concentrazione geografica degli impianti e un consumo energetico destinato a crescere rapidamente. In sostanza, una parte dei costi ambientali e sistemici viene rinviata o esternalizzata (cioè trasferita a noi, alla collettività, o direttamente all’ambiente, quindi sulle generazioni future).
Il modello europeo, chi va piano va sano e va lontano?
Il modello europeo privilegia una crescita meno spettacolare ma più ordinata. L’attenzione all’efficienza energetica, all’uso di rinnovabili e all’impatto sul territorio riduce il rischio di bolle infrastrutturali e rende l’ecosistema più resiliente nel lungo periodo. Paesi come il Lussemburgo o alcune regioni del Nord Europa dimostrano che i data center possono diventare parte di una strategia industriale sostenibile, se inseriti in una pianificazione coerente.
L’Italia si colloca in questa dinamica come un mercato complessivamente in ritardo, ma non marginale. La burocrazia e l’incertezza autorizzativa frenano gli investimenti, ma la posizione geografica, il ruolo nei cavi sottomarini e il potenziale per soluzioni edge e green rappresentano un’opportunità concreta. La sfida non è replicare la corsa americana, bensì costruire un ecosistema in cui regole chiare, norme ambientali e tempi certi diventino un fattore di attrazione per capitali di lungo periodo. È così che si costruisce una crescita strutturale, vera e concreta, sui cui rilanciare un’idea stessa di economia e di Paese (e di Europa).

