Finanza

Crowd4Fund. ‘Ragioni del ritardo e opportunità dell’Equity Crowdfunding in Italia’. Intervista ad Alessandro Lerro (AIEC)

di Fabio Allegreni |

Alessandro Lerro, Presidente AIEC, (Associazione Italiana Equity Crowdfunding): ‘Il regolamento della Consob, pur avendo una serie di meriti, è troppo ingessato’

Nei giorni scorsi si è conclusa la consultazione della Consob sul nuovo regolamento per l’equity crowdfunding. Consultazione per la quale, peraltro, è prevista un’appendice in autunno quando, sulla base della documentazione ricevuta, gli uffici di Consob procederanno alla stesura di un testo normativo mirato ad emendare il regolamento vigente, che, appunto, verrà sottoposto a nuova consultazione.

E, dunque, è inevitabilmente tempo di bilanci. Per aiutarci a farne un quadro, abbiamo chiesto il supporto di Alessandro Maria Lerro, avvocato, esperto di innovazione e finanza alternativa, Presidente di AIEC, (Associazione Italiana Equity Crowdfunding) e Partner di Crowd Advisors.

Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Fabio Allegreni. Il regolamento sull’Equity Crowdfunding è operativo dal Luglio del 2013. Cosa è successo da allora?

 

 

Alessandro Lerro. Il mercato ha mosso poco, circa 2,3 milioni di euro. Tuttavia il trend è in forte crescita poiché il volume è raddoppiato nell’ultimo trimestre.

Per dare un’idea, invece, in tutto il mondo, nel 2014 l’Equity Crowdfunding ha generato un volume di $1,11 miliardi, prevalentemente in USA e UK, e sta comunque esplodendo ovunque: in Francia 25 milioni in un anno, in Germania oltre 12 milioni nel solo primo trimestre 2015.

Fabio Allegreni. Quali sono le principali cause di questo andamento a scartamento ridotto del mercato italiano?

 

Alessandro Lerro. Qualcuno parla di flop con qualche accusa rivolta sottovoce alle piattaforme di crowdfunding. Ma, in realtà, c’è stato prima di tutto un macroscopico errore di comunicazione che ha creato aspettative errate e stravolto le logiche dell’equity crowdfunding, che non è principalmente uno strumento per finanziare idee, serve a capitalizzare aziende, realtà economiche, costruite, avviate, proprietarie di assets, ancorché immateriali, con percorso verso il successo ben disegnato.

D’altra parte, la nuova Facebook o la nuova Google sono pure demagogie. L’investimento in capitale di rischio nella fase early stage deve puntare ad obiettivi raggiungibili – un multiplo del valore o buoni dividendi – con la consapevolezza di una futura inevitabile diluizione per la necessità di ulteriori round di capitalizzazione.

Inoltre, la scelta legislativa iniziale di limitare l’accesso all’equity crowdfunding alle startup innovative, è in contraddizione con la tutela del risparmiatore, stressata, invece, dal regolamento Consob. Queste iniziative infatti, non avendo una storia o avendola molto breve, sono le più difficili da capire e valutare. Bisogna dire, tuttavia, che il recente Investment Compact ha fornito un’ottima soluzione estendendo lo strumento del crowdfunding a tutte le PMI innovative, cioè a società che hanno una storia sulla quale effettuare delle valutazioni concrete.

Fabio Allegreni. Fin qui dunque, come cause dello scarso successo, abbiamo rilevato la comunicazione errata, o un’errata percezione, e la normativa primaria che ha ristretto il recinto. Ma il regolamento Consob non ha avuto alcun impatto?

Alessandro Lerro. Il problema principale, in realtà, sta proprio nel sistema posto in essere dal regolamento della Consob che, pur avendo una serie di meriti, è troppo ingessato. Soprattutto, la necessità di profilazione MIFID per gli investimenti superiori a 500 euro, ha comportato una catena di disfunzioni: la necessità per le piattaforme di reperire un partner bancario unita alla scarsa informatizzazione della finanza retail ha fatto sì che il processo di investimento è di una tale complessità che scoraggia l’investitore, più che informarlo. Si tratta di problemi fatali in un Paese come l’Italia, che ha una scarsissima propensione all’investimento in capitale di rischio e preferisce i mattoni.

Fabio Allegreni. Da cosa nasce questo apparentemente macroscopico errore?

 

 

Alessandro Lerro. Tutto nasce da un errato posizionamento della normativa primaria: si è pensato all’equity crowdfunding come ad una variante del crowdfunding reward-based, immaginando una massiccia presenza di investitori retail impegnati con piccole somme, in un classico modello a coda lunga. Invece, soprattutto in Italia, si tratta di uno strumento per investitori sofisticati, se non proprio per angel investors. La media di investimento pro capite non è lontanamente vicina a 500 euro. Quella di CrowdCube, il leader di mercato europeo, è di circa 3.500 euro, e la media italiana è di 10.250 euro.

Questi problemi hanno creato iniziale sfiducia da parte delle aziende, deal flow modesti, difficoltà operative, con la conseguenza che di 14 piattaforme autorizzate da Consob ne sono partite solo sei o sette, ciascuna con pochi deal. Però bisogna dire che le piattaforme, per volontà o necessità, hanno fatto un gran lavoro nella selezione dei progetti, tanto che la media di quelli finanziati con successo è attualmente del 40%, circa quattro volte quella americana: ci sono quindi poche piattaforme attive, pochi progetti, ma a quanto pare decisamente validi.

Fabio Allegreni. Quale futuro ci attende?

 

 

Alessandro Lerro. Con l’apertura del mercato, cui ci auguriamo porterà la consultazione appena conclusa, verranno anche ulteriori investimenti in processi, community, usabilità. Per ora l’attenzione di tutti è sulla capacità che avrà la Consob di far partire l’equity crowdfunding italiano 2.0.