Finanza

Crowd4Fund. I PIR saranno veramente in grado di convogliare i risparmi dei privati verso le PMI?

di Fabio Allegreni |

I PIR (Piani individuali di risparmio) sono dei conti speciali in cui una persona fisica può allocare investimenti in titoli per un valore fino a 30mila euro all’anno e per non più di 150mila in totale. Ecco come funzionano.

Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

I PIR (Piani Individuali di Risparmio) sono stati istituiti con la legge di bilancio 2017 con l’esplicito intento di convogliare il risparmio dei privati verso l’economia reale e cioè verso le PMI.
Nella realtà dei fatti, almeno a breve termine, questo obiettivo non sembra perseguibile.
Vediamo prima di tutto cosa sono i PIR.
Semplificando (ma solo un po’), sono dei conti speciali in cui una persona fisica può allocare investimenti in titoli per un valore fino a 30mila euro all’anno e per non più di 150mila in totale. Il vantaggio è che, se detenuti per almeno 5 anni, nel momento in cui vengono venduti, l’eventuale capital gain realizzato è completamente detassato (normalmente si pagherebbe il 26%). Ci sono tuttavia delle condizioni con cui questo portafoglio titoli deve essere costituito:

• Il 30% può essere investito in ciò che si vuole (azioni, obbligazioni, titoli di stato ecc.).

• Almeno il 70% deve essere investito in titoli azionari di società italiane (non immobiliari però) o straniere che abbiano stabile organizzazione in Italia.

• Di questo 70%, il 30% deve essere investito in titoli azionari o quote di società non-quotate su mercati regolamentati come il FTSE MIB. E quindi può essere investito, per esempio, in società quotate all’AIM o in quelle che lanciano campagne di equity crowdfunding.

Bene. Per cui sembrerebbe che almeno il 21% di un PIR (30% del 70%) debba essere destinato alle PMI italiane.
In realtà, giustamente, la legge consente all’investitore privato, che magari non ha le competenze per crearsi e gestirsi da solo il suo PIR, di acquistare quote di un fondo che, invece, la gestione la sappia fare. In questo caso, al nostro investitore privato basterà detenere le quote del fondo per 5 anni, e, se a quel punto chiederà il rimborso, l’eventuale capital gain sarà detassato.
Il fondo però, al contrario del privato, non è costretto a fare in modo che il suo portafoglio osservi strettamente la struttura del PIR che abbiamo indicato sopra. Basta che investa “prevalentemente” in quel modo. E così, per esempio, il fondo PIR di Anima SGR, lanciato a gennaio, dichiara che solo il 40% sarà investito in titoli azionari. A questo fondo, dunque, per essere conforme al PIR, basterà investire l’8% circa (il 21% del 40%) in società non quotate.
Dove investirà questo 8%?
Non lo sappiamo, ma probabilmente assai poco in startup o PMI, che sarebbe troppo oneroso valutare. Se andasse bene, potrebbe investire in società quotate all’AIM (che sono pochissime) o, al massimo e sempre che sia possibile, in qualche fondo di venture capital.
Nel caso di PIR in forma di fondi, quindi, i benefici reali per le PMI italiane potrebbero essere nulli o irrisori.
Rimangono allora solo i PIR “fai da te”, cioè quelli dove sono i privati a gestire autonomamente i propri investimenti, decidendo di volta in volta su quali società investire.
Per esempio, nelle offerte effettuate sulle piattaforme di equity crowdfunding. Tra l’altro, investendo in PMI e startup innovative si otterrebbe anche il vantaggio della detrazione fiscale del 30%.
Qui però ci sono due ordini di problemi:

• Gestire direttamente un portafoglio a medio termine, che include per di più anche una componente di titoli azionari illiquidi e a rischio, non è alla portata di molti.

• E’ necessario che le banche mettano a disposizione il “contenitore” operativo, cioè lo strumento tecnico con cui aprire e gestire il conto PIR (con tutta la gestione fiscale connessa). Cosa che difficilmente avverrà entro quest’anno, visto che la stessa ABI, tra l’altro, sta ancora studiandone il tracciato.

In conclusione, crediamo che lo strumento PIR sia potenzialmente molto efficace per le PMI italiane, ma che, nei fatti, non lo potrà essere nel breve periodo. Da un lato, infatti, la versione “semplice” (investire in un fondo “PIR conforme”) è più adatta a un mercato di massa, ma non porterebbe fondi alle PMI. Dall’altro, la versione diretta (“PIR fai da te”), che lascia all’individuo la scelta del livello di rischio e consentirebbe quindi di investire in startup e PMI, non sarà operativamente praticabile, probabilmente per tutto il 2017.