Innovazione

Crowd4Fund. ‘Crowd-innovation strategica anche per le imprese’. Intervista a Alessandro Lerro (Crowd Advisors)

di Fabio Allegreni |

In crescita il fenomeno della crowd-innovation in contesti aziendali, una soluzione che sfrutta la creatività della folla per innovare i processi

Ciclicamente l’innovazione tecnologica si guadagna la priorità nell’agenda delle imprese, in considerazione del ruolo strategico che ha nella evoluzione dei prodotti e dei servizi e nell’anticipazione dei bisogni della clientela, ruolo potenzialmente dirompente anche in termini di business model.

Crowd4Fund è una rubrica in collaborazione con Crowdfunding Buzz e a cura di Fabio Allegreni. Novità e approfondimenti sul Crowdfunding nelle sue diverse forme. Il focus principale è sull’Italia, senza dimenticare i trend internazionali più significativi. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Mentre prima del 2000 l’innovazione tecnologica a livello di grandi aziende era prevalentemente interna ed anzi era piuttosto diffusa la cosiddetta sindrome del “not invented here”, soprattutto nel settore farmaceutico e scientifico, negli ultimi anni sta crescendo la tendenza ad acquisire innovazione dall’esterno. Oggi la freschezza e l’indipendenza di chi vive fuori dal contesto aziendale sono vantaggi che attribuiscono all’innovatore maggiore attrattività, oltre al fatto che la varietà e l’innovatività di soluzioni che possono essere generate dal “crowd”, esterno all’azienda, sono per definizione molto maggiori di quelle che un’azienda è in grado di sviluppare internamente.

L’argomento della crowd innovation come fattore strategico di competitività, anche per le grandi aziende, è stato recentemente trattato da Alessandro Lerro, partner di Crowd Advisors, al Crowd Dialog, primo evento di livello europeo sulla “Crowd Economy” che si tenuto ad Helsinki lo scorso 27 Agosto. A Lerro abbiamo chiesto di approfondire il tema.

Fabio Allegreni. Quali sono i principali errori commessi dalle aziende in tema di innovazione?

 

Alessandro Lerro. Alcune aziende si ostinano ad attribuire la leadership dei team di innovazione al personale tecnico, mentre altre hanno capito che personale di estrazioni diverse può essere più valido nella organizzazione e coesione di un team, che comunque deve dialogare con il resto dello staff aziendale per portare l’innovazione a tutta la struttura. Un altro errore comune è quello di creare staff di serie A e di serie B, attribuendo agli innovatori uno status preferenziale in termini economici, di carriera e di prestigio: in tali casi è probabile che il resto dello staff boicotterà quanto sviluppato dagli innovatori. Un terzo errore, ancora frequente, è quello di concentrarsi solo su cosiddetti blockbusters, un po’ come gli investitori a caccia di unicorni: Time Corp non ha lanciato per anni nuovi prodotti editoriali, concentrata com’era a duplicare l’ineguagliabile successo ottenuto con People, mentre in un classico modello a coda lunga avrebbe potuto mantenere una maggior quota di mercato.

Fabio Allegreni. Qual è il ruolo che la Crowd Economy può giocare nell’innovazione?

 

Alessandro Lerro. A partire dal 2010, si è verificata un’ondata di innovazione legata alla nascita della crowd-economy: crowd-sourcing, crowd-innovation e crowd-funding hanno dimostrato quanto sia efficace ed economico avvalersi della folla come risorsa aggiuntiva a quelle aziendali.

Nonostante sia disorganizzata e decentralizzata, la folla esprime un’enormità di diverse competenze ed una fortissima motivazione basata su leve diverse, raramente rinvenibile nello staff di un’azienda, motivato esclusivamente da stipendi, bonus e carriera. Difendere la proprietà intellettuale è talora impossibile e gestire la folla è molto complesso, ma i benefici della crowd-innovation sono ormai ampiamente documentati.

Fabio Allegreni. In che modo allora la crowd-innovation può essere efficacemente sfruttata dalle imprese?

 

 

Alessandro Lerro. La prima modalità, che è sotto gli occhi di tutti, è costituita dalle piattaforme di crowd-working le quali fanno incontrare capacità e bisogni, offerta e domanda di servizi professionali. Upwork è un grande esempio di intermediazione di questo tipo, con il suo mezzo milione di clienti registrati e i suoi 2,5 milioni di freelancer che generano più di un miliardo di dollari annui di ricavi, mantenendo un livello di soddisfazione altissimo (più del 90% dei clienti ritornano).

Questo è il modello di crowd-innovation più simile ad una struttura aziendale tradizionale, trattandosi sostanzialmente di un modo di allargare il proprio parco di risorse disponibili, e non presenta rischi per la proprietà intellettuale maggiori dell’ordinario.

Fabio Allegreni. Anche le community online possono giocare un ruolo?

Alessandro Lerro. Certamente. Le community online però comportano sfide più impegnative: la protezione della proprietà intellettuale è sostanzialmente impossibile, poiché esse combinano grandi quantità di persone che condividono liberamente e scambiano idee ed informazioni, con l’aiuto della tecnologia.

Questa strada è stata scelta anche da Google per lo sviluppo di Android, un sistema operativo aperto, privo di limitazioni concernenti la proprietà intellettuale; invece, la stessa Google gestisce con tutt’altra strategia l’algoritmo di ricerca che è la sua fonte di ricavi e profitti, ben al sicuro e lontano dalla portata della folla.

Fabio Allegreni. Fin qui abbiamo visto due modelli che tuttavia sfruttano o piattaforme di terzi o community più o meno già esistenti. Ci sono modalità in cui l’impresa è più pro-attiva, detiene una maggiore governance del processo di innovazione e, dunque, una maggiore protezione della proprietà intellettuale?

 

 

Alessandro Lerro. La protezione della proprietà intellettuale è più gestibile con i crowd-contest: si bandisce un concorso di idee online generalizzando ed astraendo un problema dal contesto e rendendolo peraltro comprensibile anche a chi sia privo dei background aziendali.

Kaggle è una piattaforma di crowdsourcing per analisi predittive, sulla quale Merck ha lanciato una competizione per snellire il suo processo di drug discovery: sono state rilasciate limitate informazioni di contesto su alcune sostanze previamente testate ed è stato chiesto ai partecipanti di identificare le più promettenti. Sono pervenute 2500 proposte da 238 diversi team ed il premio di 40.000 dollari è stato assegnato ad un programmatore che non aveva nulla a che fare con il mondo sanitario; il suo software di autoapprendimento gli ha fatto guadagnare, oltre al premio, la prima pagina del New York Times.

Un ulteriore modello di crowd-innovation è quello dei crowd complementors, che vendono i loro prodotti agli acquirenti del prodotto principale, aumentandone l’utilità e quindi espandendone la domanda. Il coinvolgimento del crowd avviene tramite una piattaforma che genera innovazione per il prodotto principale e che, oltre a renderlo più utile, produce ricavi da vendita o da royalties.

In questo modello la proprietà intellettuale può essere protetta tramite le API (Application Programming Interfaces) e tramite contratti di sviluppo che sono diventati uno standard di mercato.

Questo modello è diventato estremamente noto ed utilizzato con l’App Store ed è tanto più efficiente quanto più una elevata quantità e varietà di complementors aumentano il valore del prodotto principale.

Fabio Allegreni. Sono sempre di più le aziende che sottopongono al pubblico questionari di gradimento per poi utilizzare le risposte nel miglioramento dei servizi o nella realizzazione di nuovi prodotti o nuovi servizi. Si tratta di crowd-innovation?

Alessandro Lerro. Si tratta di una forma molto primordiale di crowd-innovation, che può portare ad una innovazione di tipo incrementale, fatta di piccoli passi avanti, poiché il crowd parte dai dati conoscitivi che ha. Ben diversa è la potenzialità dell’innovazione radicale – basata sulla tecnologia – o dell’innovazione c.d. disruptive – basata sul business model. Per questi approcci le aziende devono dotarsi di esperti di dinamiche complesse, quali quelle della crowd-economy, con i quali possono entrare in una logica evolutiva che, nel migliore dei casi, le può portare anche all’innovazione architetturale, frutto di una dirompente combinazione tra innovazione tecnologica, di processo e di business model.