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Coronavirus in Italia, le 3 pre-condizioni da affrontare subito per la ripartenza

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Ad oggi il Parlamento ed il Governo non hanno espresso nessuna idea su come procedere per la “ripresa”. Abbiamo indicato tre pre-condizioni da affrontare subito e necessarie per creare le condizioni migliori per la ripartenza.

Le fasi della pandemia

Una riflessione sulle fasi della pandemia di Coronavirus: dove ci troviamo? Tutti dicono che siamo nella seconda fase perché segue alla prima fase caratterizzata dalla esplosione della pandemia. La seconda inizia con la conclusione della pandemia. La terza dovrebbe caratterizzare la “ripartenza” e la “ricostruzione” dopo Coronavirus.

Se consideriamo le fasi con riferimento al contagio possiamo concordare sulla sequenza come da tutti considerata.

Se consideriamo le fasi rispetto alla “ripartenza” o alla “ricostruzione” o alla “ripresa” allora ritengo utile riconsiderare le fasi facendo precedere le tre fasi dalla fase “zero”.

La fase zero, in sintesi, corrisponde alla fase definibile “come eravamo al momento dello scoppio della pandemia”.

Non possiamo non considerare questa fase perché le altre (1,2,3) sono strettamente correlate alla fase zero in quanto la crisi da pandemia sotto il profilo sociale, istituzionale, economica è essa stessa correlata alla fase zero (da dove siamo partiti). La pandemia è un “intermezzo drammatico” che non cancella il passato.

Fase zero: come eravamo a febbraio 2020

Alcuni elementi per definire (in estrema sintesi) la fase zero:

  • debito pubblico: 2447 miliardi di euro (al 29 febbraio 2020)
  • sicurezza delle infrastrutture: quasi inesistente
  • sicurezza delle scuole: quasi inesistente
  • processi di semplificazione burocratica: vicino allo zero
  • processi di digitalizzazione: 24 posto su 28 paesi europei (indice Desi, 2019)
  • qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese: molto scarsa
  • 57,2 miliardi: costo della burocrazia ai cittadini e alle imprese (secondo analisi CGIA di Mestre, 2019)
  • politica di sviluppo del digitale: sulla carta; molta attenzione per le APP e poca attenzione sui “razionali” dell’innovazione
  • il sistema dei trasporti e della mobilità: non è un sistema
  • il telelavoro: poco o niente (regole del 1999 quasi mai utilizzate)
  • il lavoro agile: in teoria (dopo l’emergenza è necessario definire “organicamente” il lavoro agile)
  • la protezione civile: sicuramente un modello funzionale per eventi critici consolidati (terremoti, alluvioni); sicuramente un modello da ridefinire rispetto al sistema dei dati, dei processi, alle fasi di previsione, prevenzione, di gestione delle emergenze e del post-emergenza; necessità di una trasformazione digitale ed organizzativa del settore
  • la sanità: articolata e disarticolata a livello regionale; ottimo livello sanitario; pessimo livello organizzativo; necessità di un cambio radicale
  • territorio-ambiente-paesaggio: siamo grandi consumatori di suolo
  • inquinamento: siamo messi molto bene perché non facciamo torto a nessun tipo di inquinamento
  • evasione fiscale: ne parliamo da anni senza soluzione
  • lavoro: siamo legati a modelli superati!
  • occupazione: non siamo messi proprio bene!
  • assistenza sociale: molti quattrini spesi male
  • turismo: c’è una politica del settore?
  • trasformazione digitale delle imprese italiane: non interessa molto le imprese
  • l’amministrazione della giustizia: basta solo considerare i tempi di attesa e di conclusione dei processi
  • ed altro……

Così eravamo a febbraio 2020 (e siamo a maggio 2020)

Nella c.d. ripartenza dobbiamo fare riferimento alla fase zero (ovviamente con tutto quello che è successo in tre mesi di pandemia). Il compito non è agevole: infatti, le criticità di come eravamo si ripresentano tutte (e aumentate) oggi. Lo scenario si presenta veramente non facile da affrontare. Ma abbiamo la necessità di cogliere la crisi pandemica come una occasione utile per avviare “cambiamenti”. Come?

Alcune questioni da affrontare “comunque” nella terza fase ma che sono questioni tipiche del passato (fase zero).

Le 3 pre-condizioni

Non penso ad una riduzione del debito pubblico: tutti ne parlano; poche e non chiare soluzioni dalla politica e dai tecnici; credo sia necessaria una educazione civica generalizzata.

Mi limito a considerare tre aspetti a mio avviso “cruciali” e “veramente strategici” come “pre-condizioni” senza le quali non si va da nessuna parte:

a) la semplificazione delle regole e della burocrazia

b) il digitale come paradigma per il quale investire e senza il quale non è possibile il passaggio da un tipo di società ad un altro (la società “digitale”);

c) il telelavoro (ovvero come si lavora nella società dell’informazione).

Queste pre-condizioni sono rilevanti perché senza di loro è “impossibile” sistemare tante cose che da anni richiedono delle soluzioni concrete. Nella seconda fase della pandemia è necessario che i decisori pubblici [sono almeno 50.000 (per difetto)]  inizino a cambiare modo di decidere (qualcuno dirà che è un problema di difficile soluzione; una utopia, ma non ci sono altre soluzioni). 

Proviamo a fare qualche considerazione!

1. Semplificazione delle regole e della burocrazia

Nella situazione attuale se non semplifichiamo le regole, il sistema normativo continuerà a svolgere un ruolo “perverso” perché il labirinto normativo ha ormai imbrigliato tutto; si continuano a produrre troppe norme, si procede per formalismi che giustificano altri formalismi (nessun rapporto con la realtà); il sistema è saltato; chi scrive e approva regole (parlamento, regioni, comuni, ecc.) sa esattamente di continuare a scrivere regole che saranno di difficile applicazione, costose, spesso inutili, quasi sempre ridondanti.  Cosa fare?

Avere il coraggio di chiudere la fase zero (dopo 30 anni), stabilire un anno dedicato  a semplificare le leggi in materia di fisco, di adempimenti amministrativi diffusi in grandi famiglie di amministrazioni, di contratti pubblici (codice contratti pubblici e procedure annesse e connesse); stabilire schemi semplificati di normazione.

In questo anno di “pausa” fare tavoli di lavoro (veloci e con gli stakeholders) per semplificare in modo incrementale per gruppi organici di norme (senza avere la pretesa di razionalizzare tutto in tempi rapidi). Non abbiamo dati sui “danni” diretti ed indiretti provocati da leggi, decreti, circolari, delibere, determine, ecc. Ma i danni (sociali, produttivi, economici, istituzionali, ecc.) sono elevati se consideriamo il tasso di “anarchia” legislativo consolidato negli anni e il caos normativo nel quale viviamo da tanti anni.

La semplificazione deve interessare anche le “burocrazie italiane” (sono moltissime: da quelle piccolissime, minute, a quelle grandi). Sono 30 anni che non si semplifica niente; complicare è più facile; la complicazione resta ed è difficile eliminarla; fare un “falò” di una tonnellata di regolamenti; scrivere delibere e determine in “italiano”, con uno stile asciutto, comprensibili per i cittadini e le imprese; realizzare siti “affidabili”, trasparenti, di facile accesso e ricerca dei dati/documenti e per erogare servizi in rete.

La burocrazia semplificata permetterebbe di farci risparmiare 50 miliardi di euro/anno.

Come procedere?

Per “prototipi” di procedimenti, procedure, processi: prototipi digitali di facile realizzazione, con costi contenuti, riusabili (pensate a gruppi numerosi di amministrazioni come i comuni e le scuole che operano con un nucleo di attività  di base uguali). Detto “brutalmente” non lasciare che la stessa  attività amministrativa venga coniugata in 8000 modi diversi (dai comuni) o in 20.000 modi diversi (dalle scuole). Lo stesso dicasi delle ASL, ecc.

L’autonomia degli enti è importante ma altrettanto è importante bloccare la trasformazione dell’autonomia in anarchia “regolamentare”.

2. Il digitale come “paradigma”  per il transito verso una società del “digitale”

Per il transito verso una società “digitale”  (innovazione “radicale” del sistema pubblico e privato) è necessaria una politica di indirizzo, di accompagnamento, di supporto:  dove la cerchiamo questa politica? Negli ultimi 15 anni Parlamenti e Governi non hanno espresso nessuna politica sul digitale (un semplice riferimento all’indice Desi: oggi siamo al 24 posto su 28 Paesi europei). Oggi esiste una politica per il digitale? Oppure il massimo degli impegni è quello di produrre un APP? Quale politica (precisi obiettivi, impegni, risorse finanziarie per la ricerca e lo sviluppo) per l’innovazione, per l’innovazione delle aziende e delle pubbliche amministrazioni? Il transito al digitale è una concreta risposta per “ripartire” dopo il Coronavirus.

3. Il telelavoro: è la strada per “lavorare” nella società dell’informazione e della comunicazione. Nella emergenza pandemica un segnale importante

Oggi si parla di “lavoro agile” (smartworking; perché usiamo termini inglesi quando possiamo rendere meglio il concetto nella nostra lingua?) che necessita regole diverse per definire rapporti contrattuali tra i datori di lavoro e coloro che lavorano con l’uso prevalente delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il cambiamento più forte che il lavoro agile comporta è quello di lavorare per “obiettivi” (ovviamente ben definiti, concreti, funzionali) superando la concezione tradizionale dello spazio/tempo nel lavoro (il lavoro “liberato” da vecchi schemi).

Il settore pubblico ha una sua specifica regolamentazione del telelavoro (dpr 70/1999 con annesse regole tecniche del 2001). Con riferimento al settore pubblico (e considerando la semplificazione amministrativa e l’amministrazione digitale) oggi (a Codice dell’amministrazione digitale applicato in modo generalizzato e diffuso) ci troveremmo nella condizione di operare tramite telelavoro (cioè la condizione “normale” di chi opera nel “digitale”).

Siccome non abbiamo un’amministrazione pubblica digitale e semplificata ma sistemi burocratici “misti” ed inconsistenti, dobbiamo operare in una condizione transitoria con le solite distinzioni: è agile (ma non troppo), è smartworking (a mano, a “macchina”, tramite computer, con la carta, firme elettroniche e autografe, ecc.) ma non siamo in telelavoro (ottima e attuale la definizione del dpr 70/1999).

E la situazione emergenziale pandemica ha dato un segnale positivo sul lavoro da “casa”: si può fare (ma a certe condizioni che non sono state definite nella emergenza; nella terza fase sarà necessario definire le reali condizioni giuridiche, organizzative, contrattuali e tecniche per il telelavoro). Valorizziamo così una esperienza importante nata in una situazione di emergenza: interessa almeno  4 milioni di lavoratori.

Cosa faranno Parlamento e Governo?

Ad oggi (presi giustamente dai problemi della pandemia) il Parlamento ed il Governo non hanno espresso nessuna idea (cose da fare!) su come procedere per la “ripresa” (a parte le risorse finanziarie che saranno utilizzate). Abbiamo indicato tre pre-condizioni da affrontare subito e necessarie per creare le condizioni migliori per la ripartenza. Restiamo in attesa di indicazioni (concrete e sostenibili) da parte dei decisori pubblici competenti.

Per approfondire