l'intervista

‘Copyright, l’aggiornamento della normativa unica chance per contrastare l’illegalità’. Intervista a Fabio Macaluso

a cura di Raffaele Barberio |

Per avere un quadro completo del copyright e intuirne le prossime tendenze abbiamo intervistato Fabio Macaluso, avvocato, scrittore e giornalista, esperto di diritto d'autore.

C’è in Italia un osservatore del diritto d’autore, Fabio Macaluso, che ama stare in disparte. O meglio, si è espresso con articoli scientifici e un saggio in materia che ha avuto il favore di gran parte degli stakholders del settore e del mondo accademico. Ritenendo di aver detto tutto sul tema, non è stato molto semplice acquisire la sua testimonianza, che risulta ancora utile per ricostruire il quadro del copyright e intuirne le prossime tendenze.

 

Key4biz. Fabio Macaluso, ci siamo lasciati alla fine del 2013, alla presentazione del suo libro sul copyright insieme a Walter Veltroni e Alberto Abruzzese. Ora dove stiamo?

Fabio Macaluso. Il mio libro voleva essere un sasso nello stagno. Un’opera di divulgazione per tentare di illustrare un tema complesso in maniera semplice. Mi rendo conto che il suo contenuto rimane attuale, purtroppo il sasso non ha toccato il fondo.

Key4biz. Perché?

 

Fabio Macaluso. Perché c’è scarsissima coscienza sul principio chiave che riguarda l’affermazione del lavoro creativo: lo sforzo degli autori e dei soggetti che curano ed editano le loro prestazioni va remunerato. Trovo ormai stucchevole il dibattito sulla funzione di incentivo del copyright per favorire la produzione culturale, che pure ho trovato in scritti recentissimi. Che essa sia affermata o negata, c’è un grande volume di contenuti che qualcuno ha organizzato professionalmente e il loro consumo gratuito danneggia la filiera della creatività, dal tecnico del suono al regista di una serie televisiva. E’ peraltro inevitabile che la struttura tecnologica di internet favorisca le organizzazioni che distribuiscono illegalmente i contenuti tutelati. Un meccanismo che permette a vari soggetti di conseguire guadagni attraverso gli investimenti dei titolari dei contenuti.

Key4biz. Sussiste ignoranza sull’uso corretto dei contenuti, soprattutto in rete?

 

Fabio Macaluso. In minima parte è così. Credo che ci sia sufficiente consapevolezza sulla natura illecita della propria azione quando, ad esempio, si scarica un film prima che esso sia distribuito sui canali legali. Ho tanti clienti e amici artisti e rimango sempre sbalordito quando mi dicono che devono attingere gratuitamente al patrimonio creativo per tenersi informati e migliorare il proprio lavoro. Come dire, io mi avvantaggio e non ha importanza se, mi passi il termine, “fotto” il mio collega. Il processo creativo è fatto di citazioni ed è normale fare uso delle loro fonti, ma, senza andare lontano, io sono tenuto a comprare i libri necessari per tenermi aggiornato.

Key4biz. Quindi, secondo lei, il tema dell’educazione del consumatore è un falso mito.  

 

Fabio Macaluso. Il tema dell’educazione è uno schema sostenuto dalle associazioni dei consumatori per autoreferenzialità e da alcuni soggetti che fanno parte della catena della distribuzione dei contenuti per proprio comodo. Di recente e per caso ho ascoltato un dirigente di una grande azienda di telecomunicazioni avanzare insistentemente l’esigenza di educare gli utenti di internet. La relazione Baruffi del 2017 ha evidenziato che in Italia, nel settore audiovisivo, ogni giorno le visioni abusive sopravanzano quelle legali e si parla di milioni di unità di utilizzi. E’ come se in uno stadio da 80.000 posti, 50.000 spettatori non pagassero il biglietto per vedere un concerto dei Rolling Stones. Come si può sostenere la fattibilità ed efficacia di un’operazione di educazione su scala così vasta, per di più orientata verso il pubblico adulto che ormai costituisce la fascia più ampia di utilizzatori illegali?

Key4biz. Lei quindi sostiene che scappati i buoi, non ci resta che l’opzione legale, sia in termini di aggiornamento della normativa che sul piano della repressione.

 

Fabio Macaluso. Non mi sembra ci siano alternative. Mi permetta anzitutto una considerazione sul secondo elemento. Io ho piena ammirazione per operatori come Mediaset che utilizzano le armi giudiziarie disponibili per contrastare la pirateria digitale e affermare i propri diritti. Il caso Rojadirecta, sito che distribuiva illegalmente le partite di calcio, seppure un po’ datato, è paradigmatico. Il giudice di Milano ha disposto il blocco degli indirizzi IP e del DNS del sito spagnolo e oggi questo non è più accessibile. Mediaset e altri operatori che sono per la linea dell’intransigenza hanno indubbiamente il merito, anche intellettuale, di aver contribuito alla formazione di una giurisprudenza che ferma i pirati, che si pone nel solco di quella della Corte di Giustizia europea.

 

Key4biz. E sull’aggiornamento della normativa? 

 

Fabio Macaluso. Non entro in eccessivi tecnicismi, ma il principio dell’irresponsabilità dei provider di internet mi sembra nei fatti superato. La direttiva europea sul commercio elettronica che la dispone, in base all’eccessiva onerosità di una funzione di sorveglianza in capo a hosting provider e ISP, è vecchia di quasi venti anni e nel frattempo tantissimo è cambiato in due sensi. Primo, la rete si è sviluppata al punto da provocare, per alcune fasce di pubblico in maniera totale, un effetto di sostituzione rispetto ai mezzi diffusivi tradizionali come la televisione. Secondo, gli strumenti automatici di controllo del traffico si sono evoluti e affermati, come provano, ad esempio, le marcature digitali dei contenuti, i meccanismi di verifica degli indirizzi IP quale quello adottato da YouTube e l’adozione di strumenti tecnici condivisi tra titolari di diritti e ISP, recentemente imposti dall’Alta Corte di Giustizia britannica nelle decisioni che riguardano la trasmissione delle partite della Premier League e delle competizioni UEFA. Per quest’ultima si è affermato, in base alle decisioni del giudice Arnold, un metodo di stay down per cui durante lo svolgimento delle gare e per tutta la stagione i sistemi dei provider dei contenuti e quelli degli ISP dialogano in automatico per bloccare i server e i siti pirati. Un quadro, quello relativo agli strumenti di individuazione e filtraggio automatico, ben ricostruito dalla Commissione Europea nella sua comunicazione del settembre 2017. E che gli stessi provider, laddove si allocassero con raziocinio gli oneri economici, potrebbero trovare incoraggiante per evitare procedure di esecuzione delle decisioni di giudici e autorità amministrative che impongono operazioni manuali laboriose.

Key4biz. La proposta di direttiva sul copyright in discussione al Parlamento europeo può risolvere il nodo?

Fabio Macaluso. La proposta è interessante e precede iniziative legislative di un paese come gli Stati Uniti dove vige un sistema di safe harbor simile al nostro. La Commissione Europea ha operato una scelta di fondo, prevedendo che i provider che svolgono un ruolo attivo nel dare acceso a lavori tutelati dal copyright effettuano un atto di comunicazione al pubblico. In questa maniera essi sarebbero obbligati a stipulare accordi di licenza con i titolari di diritti e a implementare tecnologie di filtraggio e protezione delle opere d’autore. Ciò non è gradito a ISP e hosting provider, che, seppure la proposta fa salva l’esenzione di responsabilità nell’articolo 14 della direttiva in materia di commercio elettronico, ritengono sia stato superato il principio di responsabilità “per colpa” con l’introduzione di un principio di responsabilità oggettiva. Obiezione raccolta da alcuni studiosi che sostengono che non può giungersi a modificare la direttiva sul commercio elettronico attraverso uno strumento legislativo che disciplina esclusivamente la responsabilità per le violazioni del diritto d’autore e che mancano evidenze empiriche che provino la sostituibilità dei contenuti legali con quelli pirata.

Key4biz. Queste eccezioni non hanno fondamento?

 

Fabio Macaluso. Credo che la tecnica legislativa sia uno strumento che deve tendere all’aggiornamento delle fonti di diritto, senza che si dia luogo, come dice Luigi Ferrajoli, all’ipertrofia dei testi giuridici. Come ho detto, c’è stato un salto tecnologico che ha reso potenti e selettivi gli strumenti distributivi dei contenuti in rete. Il diritto è tenuto a “inseguire” i fenomeni sociali, economici e politici, mantenendo fermi principi generali irrinunciabili come la libertà di espressione. Ma spaccare il capello in quattro per decidere in che posizione inserire una norma è fazioso, tanto più che la Commissione nella sua proposta si è ancorata alla giurisprudenza recente della Corte di Giustizia dai casi Filmspeler a Pirate Bay.  Sui dati empirici, ricordo che negli Stati Uniti gli osservatori sono passati dal concetto di value gap a quello di value grab per descrivere in dettaglio le capacità delle piattaforme digitali di appropriarsi del valore generato dall’industria creativa. In ogni caso, vanno valutati tutti i dati empirici, compresi quelli per cui in Australia la chiusura dei siti illegali nel 2017 ha ridotto la pirateria audiovisiva di circa il 50% e il fatto riscontrato da IPSOS secondo cui nel 2016 solo in Italia si sono contati quasi 669 milioni di atti di pirateria portati a termine.

Key4biz. Come analizza la situazione italiana in questo contesto?

  

Fabio Macaluso. Il dato positivo è che si è formata una giurisprudenza ormai consolidata che afferma la responsabilità degli internet provider e che dispone il blocco sia del DNS che dell’indirizzo IP dei siti pirati. Restano due anomalie. La prima riguarda il decreto legislativo 70 del 2003 che ha recepito la direttiva in materia di commercio elettronico. In esso si prevede che l’hosting provider si attivi, anche quando sia a conoscenza delle attività illecite che si svolgono per suo tramite, dietro comunicazione dell’autorità competente. Questo requisito, che di fatto fa intervenire il provider solo dietro decisione del giudice o dell’AGCOM, non è presente nella direttiva e andrebbe rimosso per dare più efficacia all’azione di segnalazione dei titolari dei diritti. La seconda anomalia è legata alla prassi dell’AGCOM nella sua attività di vigilanza che esplica secondo l’articolo 182-bis della legge sul diritto d’autore e il conseguente regolamento in materia di copyright di cui si è dotata nel 2013. Mai, che io sappia, l’AGCOM ha ordinato il blocco degli indirizzi IP dei siti pirata, limitandosi a disattivare i nomi di dominio. Quest’ultima misura è facilmente aggirabile e basta andare in rete per trovare decine di “manuali” di istruzione per aggirare i blocchi dei DNS.

Key4biz. Come si spiega questa cautela dell’AGCOM?  

 

Fabio Macaluso. Voci dicono che l’AGCOM, il cui lavoro rimane di altissimo livello, non si spinga a disporre il blocco degli indirizzi IP per timore di ledere il principio della segretezza delle comunicazioni, affermato dall’articolo 15 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha chiarito il punto in due sentenze conformi che hanno stabilito che l’articolo 15 non si applica per le comunicazioni destinate a una pluralità indeterminata di soggetti, come oggi avviene con internet, avendo a oggetto soltanto la tutela di comunicazioni riservate tra persone determinate. La remora dell’AGCOM è quindi superabile e, sotto questo profilo, essa può disporre una misura che è già prevista nel proprio regolamento. Se il potere c’è e non ostano motivi plausibili, esso va esercitato, anche per evitare contenzioso amministrativo in caso di illegittima rinuncia alla disposizione di questa misura.

Key4biz. Non ritiene che alcuni lettori, magari interessati, possano tacciarla di semplicismo?

 

Fabio Macaluso. Piuttosto, come ho fatto in passato, cerco di rendere quasi banale una materia complessa. Qui sono in gioco principi di natura costituzionale, l’elaborazione di normative ad hoc e l’applicazione di regole procedurali. Coloro che si muovono in un ambito di legalità, ISP, hosting provider e titolari di contenuti, devono fare i conti con una forma subdola di illiceità, che purtroppo non conosce la disapprovazione sociale. In mancanza di collaborazione tra le parti, attraverso la stipula di intese volontarie, i soggetti decisori devono fare la loro parte. Per questo mi auguro anzitutto che la consultazione pubblica dell’AGCOM, necessaria per introdurre nel regolamento le misure urgenti e sulla reiterazione delle condotte illecite, conduca al miglioramento del testo in termini di chiarezza e disponibilità di misure efficaci. Al contrario, vorremmo costruire nuovi galeoni per far filare più veloci i pirati nel mare di internet?