L'intervento

Conte rilancia la priorità della cyber sicurezza, ma al Paese manca un cloud nazionale per i dati della PA

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Nel suo intervento a Milano all’evento sull’intelligence per le imprese, il Premier chiama il Paese a raccolta attorno al tema centrale della cybersecurity, ma poco o niente dice sui dati. I dati sono la vera priorità e andrebbero affidati a società della PA non agli OTT. All’Italia manca un cloud nazionale.

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, intervenendo a Milano alla prima tappa di “Asset – L’intellig&nce per le Imprese” del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), ha rilanciato sul tavolo un tema forte, fondamentale quanto poco dibattuto a livello pubblico: la sicurezza nazionale, “il più immateriale, il meno visibile ad occhio nudo tra i beni collettivi, al tempo stesso il primo di essi”.

Ne ha parlato in termini di sicurezza delle organizzazioni, dell’industria e delle imprese, della Pubblica Amministrazione e delle infrastrutture strategiche, ma soprattutto in termini digitali e di cybersecurity. Di difesa informatica del nostro patrimonio industriale, scientifico e tecnologico.
Oltre alle grandi realtà industriali e al mondo imprenditoriale italiano, “anche la Pubblica Amministrazione ha deciso di porsi alla testa del processo di modernizzazione tecnologica del Paese”, ha dichiarato Conte.

Il valore strategico della trasformazione digitale cresce a dismisura ed in maniera trasversale a tutti i comparti produttivi, al punto che i cosiddetti “digital enablers” sono divenuti un volano decisivo per lo sviluppo e la competitività di qualsiasi economia”, ha evidenziato il Presidente del Consiglio nel suo intervento. “Tuttavia, la necessità imprescindibile di cavalcare l’innovazione dovrà andare di pari passo con la cura, non meno essenziale, nel mitigare le crescenti vulnerabilità insite nelle basse barriere all’ingresso che contraddistinguono lo spazio cibernetico”.

Va da sé, che con l’avvento del 5G e dell’internet delle cose l’intero comparto aziendale italiano rischierebbe di finire ai margini della competizione internazionale se non ponesse la sicurezza al vertice delle proprie priorità, così come è cognizione diffusa che i condizionamenti ed i guasti causati dalle minacce cibernetiche si ripercuotono negativamente su tutta l’economia nazionale”.
Serve quindi un cambiamento di paradigma culturale, che metta al centro la prevenzione, perché la cybersecurity non deve essere più percepita come un semplice costo, bensì come un investimento”, ha precisato il Premier.

Un discorso che arriva un po’ tardi nel nostro Paese, ma che ha il merito di rilanciare, una volta di più, il tema della cyber sicurezza. Un tema centrale per le imprese e le industrie, certamente, ma che sembra considerare poco, pochissimo o per niente, addirittura, l’altro argomento altrettanto strategico e non più rimandabile: la tutela dei dati sensibili.
Sempre più spesso le amministrazioni pubbliche centrali e locali neanche trattano più con le grandi corporation tecnologiche, perchè le cosiddette big tech o Over the top (OTT), tra cui le più potenti al mondo sono Amazon, Microsoft, Google, Facebook ed Apple, entrano direttamente e con facilità nelle stanze delle Istituzioni.

Negli Stati Uniti, una grossa fetta degli investimenti lobbistici effettuati dagli OTT (circa 582 milioni di dollari, sarebbe stata indirizzata proprio nel convincere politici ed opinione pubblica nella “bontà” di affidare con fiducia alle aziende più grosse i nostri dati: non solo quelli anagrafici, ma ogni singolo byte relativo alla nostra geolocalizzazione, alla nostra routine quotidiana, ai nostri gusti musicali o gastronomici e perché no politici. Una miniera a cielo aperto per chi controlla gli strumenti utili a farne business. A quanto pare però, la questione sta diventando spinosa: tolto il coperchio, sotto ribolle la necessità di adeguare anche negli Usa la gestione e conservazione dei dati a una regolamentazione dinamica e capace di limitare gli abusi.

Il Presidente del Consiglio sembra non considerare come “problema” questo rapporto privilegiato della Pubblica Amministrazione (la PA, quindi lo Stato) con le multinazionali dell’economia digitale, un rapporto ambiguo e poco trasparente, dove al centro della trattativa ci sono sempre i dati.
Gli OTT o giganti del web assicurano che la loro politica è finalizzata ad assicurare e garantire la piena sicurezza dei dati della PA, quando il vero problema sta proprio nell’affidare a queste realtà “esterne” i nostri dati.
Dati che andrebbero affidati a società della Pubblica Amministrazione, se non fosse che al Paese manca una società pubblica di cloud, manca un cloud nazionale.

Un argomento scottante, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi con l’accordo annunciato tra TIM e Google, proprio per l’offerta congiunta di servizi cloud e che porta con sé criticità serie sui potenziali risvolti in tema di protezione dati.
Questo accordo riguarderà anche i dati della Pubblica Amministrazione?
I dati degli italiani conservati nei data center di Tim andranno in mano a Google?
Sono tante le domande da porsi, perchè alta deve rimanere l’attenzione su un’argomento è a dir poco delicato, sia per i cittadini, sia in termini di sicurezza nazionale.

Senza dimenticare il caso “Piacentini” in Italia di qualche anno fa, con la nomina dell’allora Senior Vice Presidente di Amazon a Commissario straordinario del governo per il digitale e l’innovazione da parte del Governo Renzi, che aprì di fatto un confronto sulla proprietà dei dati, la loro conservazione e gestione anche nel nostro Paese.

Dati che sono il carburante della crescita economica, ma che proprio per questo dovrebbero essere considerati “risorsa strategica”, da tutelare, gestire con cura, proteggere. Dati non solo relativi ai cittadini (e nel caso della PA anche di questo parliamo), ma anche alle imprese, le industrie, le infrastrutture, che giustamente stanno al centro dell’azione di Governo.

La politica dovrebbe occuparsi maggiormente di questo argomento così importante, come già sta accadendo in Francia e Germania peraltro, perchè il nostro Paese corre il rischio serissimo di consegnare i dati dei suoi cittadini e delle sue organizzazioni economico-industriali nelle mani di poche corportation, che ne faranno strumento privato di profitto e vantaggio.