Questione di business

Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft: a Washington il “tesoro” delle tech, lobby da 582 milioni dollari

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Fra il 2005 e il 2018 gli Over the Top hanno investito oltre mezzo miliardo di dollari in attività - legali negli Usa - per indirizzare le attività dei politici.

Una finanziaria da oltre 39 miliardi di euro l’anno: non è quanto si appresta a fare il Governo italiano – clausole di salvaguardia permettendo – ma quanto hanno investito le cinque aziende Over the Top (Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft) per le attività di lobbying negli Stati Uniti. Fra il 2005 e il 2018 il totale è stato di 582 milioni di dollari (oltre 517 milioni di euro). Attività legali (e ben finanziate) che consentono alle aziende di indirizzare l’agenda politica, premere verso scelte compatibili con le strategie aziendali.

Una miniera di dati

Le pressioni – secondo i dati contenuti in un report di vpnMentor, pubblicati da Fox Business – avrebbero interessato un ventaglio molto ampio di interessi, dalla politica fiscale sui profitti delle aziende tecnologiche, alle questioni legate alla privacy e al trattamento dei dati degli utenti. In particolare, una grossa fetta degli investimenti lobbistici, sarebbe stata indirizzata proprio nel convincere politici ed opinione pubblica nella “bontà” di affidare con fiducia alle aziende più grosse i nostri dati: non solo quelli anagrafici, ma ogni singolo byte relativo alla nostra geolocalizzazione, alla nostra routine quotidiana, ai nostri gusti musicali o gastronomici e perché no politici. Una miniera a cielo aperto per chi controlla gli strumenti utili a farne business. A quanto pare però, la questione sta diventando spinosa: tolto il coperchio, sotto ribolle la necessità di adeguare anche negli Usa la gestione e conservazione dei dati a una regolamentazione dinamica e capace di limitare gli abusi.

Privacy, tasse e sorveglianza governativa: la “lista della spesa”

Ma i lobbisti delle “cinque sorelle” hanno un portafoglio di richieste diversificato, in base anche alle esigenze delle singole aziende, ognuna con una sua “lista della spesa”.

Apple, ad esempio, ha focalizzato questioni relative a tasse e sgravi fiscali nel 76% dei suoi report destinati ai politici Usa, un altro 21% dei documenti (e con finanziamenti da 8,3 milioni di dollari) sarebbe invece incentrato sulle “barriere tecnologiche al commercio”.

Simile la percentuale di report inviati da Amazon a tema tasse: il 59% – e c’è chi maligna che questi report siano stati particolarmente efficaci, dato che per il secondo anno consecutivo il gigante dell’eCommerce non ha versato un dollaro in tasse federali.

Altro tema a cuore della compagnia guidata da Jeff Bezos, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Tasse fondamentali anche per Microsoft, citate nel 54% dei report, mentre sulle tematiche della sorveglianza e del controllo la spesa lobbistica del 2018 è stata di 9,9 milioni di dollari.

Prevalentemente orientata a questioni di privacy l’attività lobbistica di Facebook (nel 61% dei documenti analizzati dal report), che inoltre nel 2018 ha investito 12,6 milioni di dollari su temi come “sorveglianza e controllo governativo”.

Privacy ancora più presente nelle attività lobbistiche Usa di Google: nel 64% dei report su Big G è presente questa tematica, con la “concorrenza” presente invece nel 47% dei casi.

Facebook, i documenti che mostrano la lobby per non far approvare il GDPR

E se le lobby sono un’attività lecita e regolamentata in Usa, pressioni simili sarebbero state esercitate anche in Ue, anche in assenza di una normativa di regolamentazione. È quanto risulta da una inchiesta dello scorso marzo, in cui l’Observer ha rivelato come Facebook avrebbe esercitato pressioni di alto livello – nelle carte si fa riferimento, tra i politici “tentati”, all’ex ministro delle finanze britannico George Osborne e all’ex primo ministro irlandese Enda Kenny – per ostacolare l’approvazione del GDPR, o quantomeno per ottenere delle norme meno “rigide” possibile, per evitare ricadute sul business dell’azienda.