Key4biz

C’è chi chiede di proibire “Squid Game” su Netflix e chi di bloccare l’app “Gioco Sicuro” dell’Agenzia del Demanio

Nelle ultime settimane, il quotidiano “Key4biz” ha dedicato particolare attenzione a “prodotti nocivi” o comunque certamente “pericolosi” per i minori, come la serie televisiva coreana “Squid Game” (divenuta già “cult” e successo planetario sulla piattaforma Netflix) e, in generale, i giochi d’azzardo (il Governo sta pensando ad una legge delega di riordino e “big player” come Igt Lottomatica hanno scatenato le proprie truppe lobbistiche).

La domanda che abbiamo posto più volte è: a fronte del potere delle corazzate come Netflix o Lottomatica (su questi temi, vedi, da ultimo, “Key4biz” di ieri 18 novembre, “Concessionari di giochi e scommesse in fermento, in barba alla ludopatia”) cosa fanno le istituzioni e dove è e cosa combina la cosiddetta “società civile”?!

Si pensa alla “società civile”, perché le reazioni dello Stato appaiono finora modeste e contraddittorie, come andremo a dimostrare: prevale una cappa di silenzio e nebbie profonde dai soggetti che istituzionalmente dovrebbero intervenire, che sia l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (che avrà pure un qualche limite di giurisdizione, ma certo non è povera di risorse, professionali ed economiche) oppure l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza (e questa “authority” è veramente povera, a fronte del ruolo che pure le è stato normativamente assegnato).

Sonnecchiano, sia loro sia organismi “accessori”, come il Consiglio Nazionale degli Utenti (fantasmico…) o il Comitato Media e Minori (evanescente anch’esso: è stato ricostituito in questi giorni, ma se ne è accorto qualcuno?!). Vedi, su questi temi, “Key4biz” del 2 novembre 2021, “Tra ‘Comitato Media e Minori’ e ‘Consiglio Nazionale degli Utenti’, lotta impari nel Far West Web per la (non) tutela dei minori”.

Non è certo inerte la società civile, ma purtroppo non dispone della strumentazione comunicazionale minimamente adeguata: è debole, fragile, frammentata. È difficile “fare rete”, in un mondo così policentrico. Assente dai media, fatte salve alcune testate storicamente sensibili: prima tra tutte, l’eccellente quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), “Avvenire”.

Se la Rai assolvesse in modo serio alla sua funzione di servizio pubblico, dovrebbe essere essa a rappresentare democraticamente ed a rilanciare medialmente alla grande le istanze della società civile e del terzo settore. Ma Viale Mazzini interviene in modo limitato e marginale: basti pensare al modesto budget assegnato a quella che dovrebbe essere una delle sue aree di maggiore sensibilità, identitaria e etica, qual è la Direzione Rai per il Sociale

L’Italia è un Paese che brilla per ipocrisia: quando emerge una qual certa sensibilità, si rinnova la “sindrome della foglia di fico” (che tante volte abbiamo evocato su queste colonne): si mette sul campo una “bandierina”, ma non si dota la struttura “preposta” con le risorse minime per consentire di intervenire significativamente sulla realtà. In questo modo, ci si libera la coscienza, e ci si può comunque vantare di… “presidiare”.

Presenti, insomma, ma fragili e dormienti. Sostanzialmente inutili.

Ciò premesso, emergono comunque segnali della società civile che meritano essere promossi.

Emerge anche una qualche reazione radicale: la notizia è stata ripresa da pochi media “mainstream”, ma c’è chi ha proposto e promosso petizioni (che quasi sempre lasciano il tempo che trovano) per attivare processi di censura, ovvero di proibizione.

Meritano essere analizzati due, relativi proprio a “Squid Game” ed al “gioco d’azzardo”.

La campagna “Mettiamoci in gioco” chiede allo Stato il ritiro dell’app “Gioco Sicuro” lanciato dall’Agenzia del Demanio

Lunedì scorso 15 novembre, i promotori della campagna “Mettiamoci in gioco”, iniziativa contro i rischi del gioco d’azzardo, hanno richiesto che vegna ritirata la app “Gioco sicuro”, promossa dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: “se, in generale, non costituisce problema uno strumento che permetta di distinguere tra legale e illegale, tale app è però pensata e presentata per avvalorare l’idea, profondamente sbagliata, che il gioco legale sia ‘sicuro’ e che ad essere problematico sia solo il gioco illegale”.

Mettiamoci in gioco” spiega meglio: “gli operatori dei servizi pubblici e del terzo settore impegnati nel contrasto al gioco d’azzardo patologico possono testimoniare che le persone in trattamento hanno sviluppato dipendenza o un consumo problematico del gioco d’azzardo quasi esclusivamente attraverso l’offerta di gioco legale”. 

In effetti, si tratta di una “app” che finisce involontariamente (“involontariamente”? ne siamo proprio sicuri?!) per normalizzare” consumi a rischio, per minimizzare le conseguenze dannose che sono potenzialmente insite in alcune attività: “la app – sottolinea la campagna – indicando anche l’esercizio commerciale più vicino per il consumo del gioco di proprio interesse, costituisce un incentivo all’azzardo, di cui i giocatori non hanno certo bisogno, e aggira in qualche modo il divieto di pubblicità”.

Di cosa si tratta, esattamente?!

Di un’iniziativa indiscutibilmente curiosa, promossa da una istituzione pubblica, anzi da un ente dello Stato, qual è l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli. Martedì della scorsa settimana, il Direttore Generale dell’Agenzia, Marcello Minenna (che guida l’Adm dal gennaio 2020), ha presentato nientepopodimeno che in Senato la “innovativa” applicazione “Gioco Sicuro”, un software che intende contrastare il gioco illegale e promuovere, invece, il gioco legale e responsabile. È stata realizzata da Sogei, partner tecnologico del Ministero dell’Economia e delle Finanze “per la sicurezza dei giocatori e dei cittadini” (si ricordi che Sogei è di fatto il braccio operativo del Mef per l’It, e sta lavorando tra l’altro – in queste settimane – ad una nuova versione dell’app “Verifica C19” per il monitoraggio dei “Green Pass”). Disponibile su App Store e Play Store, l’app consentirà di individuare i punti vendita autorizzati che offrono le diverse tipologie di gioco fisico, dalle “slot” al “bingo”, verificare gli orari di apertura disposti dalle ordinanze comunali e di accertare, tramite il codice della giocata, la regolarità della stessa giocata.

“Gioco Sicuro: un’app da 24 milioni di euro?

Non è stato rivelato quanto costi il progetto, ma si sa che l’app “Gioco Sicuro” è stato cofinanziata nell’ambito del Pon “Legalità” Fesr Fse 2014-2020 del Ministero dell’Interno. Il Pon “Legalità” disponeva, all’ottobre 2020, di una dotazione complessiva di 693 milioni di euro. Il progetto in questione – se abbiamo scavato bene nel foglio elettronico del Pon – dovrebbe essere quello denominato “Gioco Legale e Responsabile”, così sinteticamente descritto (codice n. 846): “Il progetto prevede la realizzazione di nuovi servizi digitali orientati all’analisi dei rischi di frode e infiltrazione criminale nel settore dei giochi con vincita e/o partecipazione in denaro”.

La spesa ammissibile è di poco meno di 24 milioni di euro (per la precisione 23.739.815,84 euro), con un tasso di cofinanziamento del 75 %.

Come ha scritto giustamente il sito web “punto-informatico.it”, quando Cupertino iniziò a promuovere il proprio App Store con il mantra “c’è un’app per tutto”, non era chiaro fino a che punto sarebbe potuta arrivare la rivoluzione mobile: ora invece “c’è un’app per tutto” è esattamente il filo conduttore che porta all’offerta di servizi molteplici, non sempre efficaci, ma pur sempre in grado di offrire “risposte” a disposizione di chi ha in sé le “domande” pronte.

Il dubbio è esattamente questo: l’app “Gioco Sicuro” risponde a domande esistenti o soltanto ad una operazione che rischia di produrre meritevoli risposte senza un’audience ad ascoltare?

La “lodevole” iniziativa dell’Agenzia (contrastare il “gioco illegale” fornendo al cittadino uno strumento tecnico per frequentare spazi fisici e virtuali ove vi è offerta di “gioco legale”) non finisce per divenire una “app” che promuove il gioco stesso?! Il quesito è provocatorio e paradossale soltanto in apparenza.

Ci si domanda: chi gioca sa se di fronte ha un gioco “regolare” o se sta mettendo “a rischio” anche la propria stessa possibilità di vincere? Soprattutto: il giocatore si pone questo interrogativo, mentre porta il suo denaro alla macchinetta o al servizio di scommesse? Chi gioca si chiede davvero se la fascia oraria sia protetta, o semplicemente si abbandona alla sorte, senza porsi troppi interrogativi?

Come funzione l’app “Gioco Sicuro” lanciata dall’Agenzia delle Dogane e Monopoli?

Cosa consente esattamente l’app “Gioco Sicuro”?!

Permette di acquisire, a portata di smartphone, tre informazioni essenziali:

Tutto molto bello. Tutto molto comodo. Tutto molto “digital”.

Ma “cui prodest” realmente?!

Non ci sembra che nel “menù” della app “Gioco Sicuro” ci sia una sezione semplicemente intitolata “Cosa rischi giocando…”, magari per mettere in guardia i giocatori dai “potenziali” rischi che corrono (dipendenza e ludopatia): perché l’Agenzia non ci ha pensato?! Distrazione? Rimozione? Oppure scelta consapevole, per non disturbare la propensione al gioco?!

I promotori della campagna “Mettiamoci in gioco”, comunque, non hanno dubbi: l’app deve essere ritirata dall’Agenzia.

Si ricordi che la campagna “Mettiamoci in gioco”è frutto della sinergia tra decine di associazioni, una pluralità di soggetti, tra istituzioni, organizzazioni del terzo settore, associazioni di consumatori, sindacati: Acli, Ada, Adusbef, Ali per Giocare, Anci, Anteas, Arci, Associazione Orthos, Auser, Aupi, Avviso Pubblico, Azione Cattolica Italiana, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Confsal, Ctg, Federazione Scs-Cnos/Salesiani per il Sociale, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel… Un insieme assai composito e variegato, rappresentativo di tante anime del “sociale” italiano.

Giovanni Baggio (Aiart): “la legge sull’abolizione della pubblicità dei giochi d’azzardo rovinata dalla macchina degli algoritmi… Agcom, se ci sei, batti un colpo”

Contro l’applicazione “Gioco Sicuro” è insorto anche un altro dei rari (rarissimi) soggetti che sviluppa una attività di vigilanza sul sistema dei media, qual l’Aiart, che ha così intitolato – in modo efficace – un suo comunicato stampa di martedì 16 novembre: “la dignitosa legge sull’abolizione degli spot pubblicitari, rovinata dalla macchina degli algoritmi”.

È stato questo il commento deciso di Giovanni Baggio, Presidente nazionale dell’Aiart, l’associazione che educa e tutela gli utenti dei media, riguardo la notizia dell’app “Gioco Sicuro”.  Una sorta di “Guida Michelin” dei locali dell’azzardo, così è stata definita. “Si tratta – precisa Baggio – di un ‘vetrina’ che potenzia l’addiction innescata dal dispositivo mobile dello smartphone sotto l’ingannevole dicitura “Gioco Sicuro”, che aprirà le porte ad una nuova dipendenza”.

Baggio rilancia un commento di Maurizio Fiasco, sociologo della Consulta Nazionale Antiusura, pubblicato (non a caso) dal quotidiano “Avvenire”: “l’efficacia totalitaria di questa tecnologia si replica anche per il rapido ripristino dell’abitudine patologica al “gioco”, che le restrizioni della pandemia avevano fatto attenuare. Rimarcando un dato non indifferente ovvero che “le famiglie che sperimentano nella loro esistenza, per la prima volta, la condizione di debitore insolvente superano oggi il numero di 5 milioni di casi”. E conclude polemicamente Aiart: “Agcom, se ci sei batti un colpo, per i significativi ‘cortocircuiti’ che l’app incorpora e per i preoccupanti rischi alla tutela dei minori  che nasconde”.

Maurizio Fiasco (Consulta Nazionale Antiusura): l’app “Gioco Sicuro” è piacevole, narcotizzante, ci culla nel sonno della consapevolezza…

L’articolo di Maurizio Fiasco, su “Avvenire” di giovedì 11 (a distanza di due giorni dalla presentazione dell’app in Senato), merita essere letto: “Una sorta di “braccialetto elettronico”. Se lo Stato rilancia l’azzardo con una App”. Scrive Fiasco: “Piacevole, narcotizzante, ci culla nel sonno della consapevolezza… In apparenza, un servizio al cliente. Nella realtà, l’estinzione del messaggio di rischio. Il cliente è tranquillizzato, su un vizio sicuro e legale. E perché non fare altrettanto per i punti di distribuzione delle sigarette?”.

E giustamente denuncia: “Non serve essere specialisti della comunicazione e della pubblicità per rilevare che questo bel dispositivo offerto dallo Stato – tramite i Monopoli – vale a disinnescare ogni possibile allarme per l’azzardo ‘di massa’. E a coprire, con la seduzione della sicurezza e della certificazione di legge, una condotta pur sempre temeraria. “Azzardo” vuol dire che mette a repentaglio valori importanti, persino di rango costituzionale, la salute, il risparmio, l’utilità sociale dell’attività economica. Aggiungiamo dunque una nuova voce nel catalogo delle Nuove Dipendenze: includiamoci per l’appunto, la stessa app ‘Gioco Sicuro’, viatico della compulsione, corredato da una musichetta invitante e da un layout accattivante. I clinici – parliamo di quelli seri e indipendenti – sono in allarme, perché con tale algoritmo si potenzia l’addiction innescata dal dispositivo mobile dello smartphone”.

Fiasco ricorda come Milton Friedman e Leonard Savage, fin dal 1948, hanno documentato la correlazione diretta tra difficoltà economica e propensione indotta alle lotterie e alle scommesse ovvero al gioco d’azzardo.

Questa iniziativa dell’Agenzia del Demanio e dei Monopoli consente alla grande ricca macchina del gioco e delle scommesse di rimettersi in moto superando la (piccola) crisi provocata dalla pandemia: “l’efficacia totalitaria di questa tecnologia si replica anche per il rapido ripristino dell’abitudine patologica al “gioco”, che le restrizioni della pandemia avevano fatto attenuare. “Insomma, l’azzardo e le sue lobby, con l’acquiescenza sconcertante dei Monopoli di Stato, recuperano la domanda di gioco d’azzardo che nei 18 mesi della pandemia si era attenuta”.

Forse quella che Fiasco definisce “acquiescenza” dell’Agenzia è – come dire?! – determinata da quei ben 7,24 miliardi di euro che il business dei giochi e delle scommesse porta nelle casse dello Stato, come contributo all’Erario (sul totale di 88,4 miliardi di euro di raccolta nel 2020).

Anche Fiasco chiama in causa l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: “Qui la parola dovrebbe passare anche all’AgCom, per i significati nascosti e incorporati nell’app”. Ma tutto tace da via Isonzo: silenzio totale del Presidente Giacomo Lasorella, e dell’eletta schiera dei commissari. Incredibile, ma vero.

Difetto di giurisdizione che li assolve? Grande foglia di fico, in questo caso?! La potente lobby di Lottomatica ha sedotto anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni?!

Ed attendiamo lo sviluppo dei lavori della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico, la cui istituzione è stata approvata il 22 giugno 2021, e che sta per iniziare i suoi lavori (il regolamento è stato approvato il 21 ottobre): la presidenza è stata affidata al senatore Mauro Maria Marino (Italia Viva), che è stato il primo promotore della Commissione stessa.

Vediamo se la Commissione si dimostrerà indipendente e critica, o se anch’essa si inchinerà acquiescente di fronte ai 7,2 miliardi di euro che il business dei giochi e scommesse porta nelle casse dello Stato…

Neo-proibizionismo latente? Dai “giochi d’azzardo” alla serie televisiva “Squid Game”?!

Dai… “giochi” alle… “serie”: un mese fa, la Fondazione Carolina Onlus – Felici di Navigare (associazione per il benessere dei minori in rete) ha lanciato una petizione contro “Squid Game”, la serie coreana trasmessa da Netflix

La proposta choc è stata promossa dalla fondazione dedicata a Carolina Picchio, prima vittima di cyberbullismo in Italia, che si occupa da anni del benessere dei minori sul web: a Carolina è stata dedicata anche la prima legge in materia, la n. 71/2017 (intitolata “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, in vigore dal giugno 2017). Ha spiegato Ivano Zoppi, Segretario Generale della Fondazione: “ci riteniamo una realtà propositiva, lo confermano le collaborazioni con i colossi del web nell’ottica della prevenzione e del supporto ai ragazzi e alle famiglie, ma, di fronte allo sgomento di mamme e maestre delle scuole materne, non bastano i buoni propositi, serve un’azione concreta”.

Sconfitta del “parental control”?!

Quello di Fondazione Carolina non intende essere un atto censorio, ma risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei “parental control”, oltre alla crisi della genitorialità (tematica di assai ampio respiro): una débâcle messa nudo dai “social” e, soprattutto, dalle decine di segnalazioni che gli esperti per la sicurezza e il benessere digitale delle nuove generazioni hanno raccolto da tutta Italia. “Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game” (…) “A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell’aula perché ha perso a Squid Game, non vuole più uscire di casa” (…). “I miei figli non sono stati invitati alla festa del loro compagno, perché non vogliono giocare a Squid Game” (…). Sono solo alcune delle decine e decine di testimonianze arrivate a Fondazione Carolina; un campione allarmante rispetto ad una serie che racconta violenza, alienazione e dipendenze, con la semplicità dei giochi d’infanzia, ma con una narrazione che gronda sangue ed ideologia à la “homo homini lupus”… La controversa fiction offre sequenze di violenza fisica e psicologica, torture, manipolazioni mentali… Un campionario di sadismo, insomma.

Non a caso la stessa Netflix Italia suggerisce la visione della serie coreana per utenti sopra i 14 anni di età, eppure “Squid Game”, che sta battendo ogni record di visualizzazioni (vedi l’articolo di Edoardo Stigliani di SosTariffe.it su “Keybiz” del 5 novembre 2021, “Squid Game, i numeri di un trionfo per Netflix e i segreti per il successo “local”), impazza anche tra i giovanissimi. Il passaparola è inarrestabile, tanto che la serie diventa virale, anche tra i più piccoli.

Quasi 10.000 firme per la petizione della Fondazione Carolina per vietare “Squid Game”

Dal 21 ottobre, sulla piattaforma Change.org è possibile firmare “la petizione per bloccare questo contenuto, micidiale per gli utenti più piccoli e i giovani più fragili”.

A distanza di meno di un mese, ad oggi (19 novembre), la petizione intitolata “Fermiamo lo Squid Game: giochi mortali emulati dai bambini” ha raggiunto 9.045 firme rispetto al “target” di 10.000 firme che la Fondazione si è proposto…

Merita essere segnalato un interessante confronto promosso via web il 27 ottobre scorso dalla iperattiva Presidentessa del Corecom della Lombardia: la giovane (classe 1978) avvocatessa Marianna Sala, che è stata peraltro recentemente eletta (all’unanimità) come Coordinatrice nazionale dei Comitati Regionali per le Comunicazioni. Nell’incontro, intitolato “Speciale Squid Game”, sono stati coinvolti Alberto Pellai, psicoterapeuta ed esperto di dinamiche adolescenziali; Stefania Garassini, Presidente di Aiart Milano e Responsabile editoriale di “Orientaserie” (clicca qui per la videoregistrazione dell’evento, su Facebook, una mezz’ora succosa e stimolante: ad oggi si segnalano ben 7mila visualizzazioni).

Da segnalare che il professor Alberto Pellai ha rimarcato come questi prodotti entrino nelle menti dei giovani non soltanto attraverso “corazzate mediatiche” come Netflix, ma attraverso un sistema policentrico di flussi comunicazionali (basti pensare a TikTok), che rimanda “in onda” i prodotti (o suoi estratti, o sue elaborazioni, da parte di “influencer” e simili) in un continuo gioco di specchi mediali… Questi prodotti / messaggi / icone entrano “da mille porte” (device e piattaforme) ed è molto difficile per i genitori digitali tenere tutte le porte chiuse. Un uso intelligente del “parental control” è importante, ma purtroppo non è sufficiente, insomma. Il problema è la crescita di una diffusa e pervasiva “cultura tossica” nella società. Pellai ha anche ricordato come la mente dei bambini e dei preadolescenti – anche dal punto di vista dello sviluppo neurologica – non sia in grado di metabolizzare i contenuti di una serie come “Squid Game”.

Il Presidente della Fondazione, Ivano Zoppi, ha denunciato come esista una norma che prevede che non si possa accedere ai “social” prima dei 14 anni, ma questa previsione viene sistematicamente “bypassata”, nel disinteresse dei più (vedi alla voce “ipocrisia di Stato”, che abbiamo evocato anche in precedenti interventi su queste colonne): “i primi che non fanno rispettare la norma sono spesso gli stessi genitori”. È vero, ma non ci sembra che lo Stato, dal canto suo, abbia messo in atto concreti meccanismi di controllo, ovvero di verifica dell’età… Soluzioni tipicamente all’italiana: “fatta la legge, trovato l’inganno”. Va comunque ricordato che nel gennaio di quest’anno, il Garante della Privacy ha ordinato a TikTok il blocco del trattamento dei dati personali degli utenti dei quali non sia in grado di verificare l’età. Crediamo che, dopo lo choc, tutto sia ripreso come prima (certamente con la complicità dei genitori…), anche se non si può non condividere quel che sostenne allora il Commissario Guido Scorza: “sono convinto che il provvedimento in questione ovviamente rappresenti solo un primo piccolo tassello – più o meno condivisibile, fondato, utile o opportuno – lungo la strada della soluzione a un problema planetario tanto complesso quanto importante”. Vedi, su questi temi, anche l’articolo di Luigi Garofalo: “TikTok. Garante Privacy: age verification non risolta. Subito soluzione, proteggendo dati dei minori”, su “Key4biz” del 17 marzo 2021.

Stefania Garassini (Aiart / Orientaserie): Netflix dovrebbe rendere più semplice l’installazione del “parental control”

Stefania Garassini, Presidente di Aiart Milano e Responsabile editoriale di “Orientaserie” (la supervisione scientifica del progetto è affidata al Professor Armando Fumagalli, Ordinario di Semiotica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove è anche Direttore del Master Universitario di I livello in International Screenwriting and Production), ha chiesto a Netflix (ed alle altre piattaforme) di rendere più agevole l’accesso al “parental control”, che non è esattamente una procedura tecnicamente semplice, per l’utente (il genitore) medio. Secondo Garassini, sarebbe peraltro preferibile che Netflix schermasse a priori con una richiesta di codice di accesso per tutta l’offerta in qualche modo “vietata” ovvero consigliata ai “maggiori” di 14 o 18 anni… Se un film al cinema è vietato ai minori, e viene richiesto (dovrebbe essere richiesto) un documento per accertare l’età del potenziale spettatore, perché questa disparità di trattamento per quanto riguarda le piattaforme web?! Tesi assolutamente condivisibile: si tratta di un problema che abbiamo segnalato anche su queste colonne in passato (vedi “Key4biz” del 7 aprile 2021, “Abolita la censura cinematografica. Ma il vero problema è cosa circola sul web”).

Conclusivamente, anche in questo caso (“giochi d’azzardo” e “serie televisive” a rischio, e vale per “Squid Game” ma anche per “Gomorra”: vedi “Key4biz” del 15 novembre 2021, “Gomorra, c’è il rischio di normalizzazione del crimine?”) esiste un fil-rouge che riporta al ruolo dello Stato, come soggetto che deve tutelare anzitutto i minori, ma, più in generale, le fasce deboli della popolazione, quella parte della collettività che è più fragile.

E, su queste materie, si osserva invece in Italia una deprimente “assenza dello Stato”, ovvero una sua subordinazione alle dinamiche del Mercato…

Invocare un neo-proibizionismo è pia illusione, ma lo Stato dovrebbe essere richiamato seriamente al suo ruolo di tutore e pedagogo, rispetto ai minori ed ai cittadini più deboli, anzitutto attraverso agenzie come la scuola e la Rai.

Serve una campagna informativa di sensibilizzazione, imponente e continuativa. Serve in Italia un po’ di sana politica culturale e mediale.

Anche questa è alfabetizzazione digitale. Alfabetizzazione tante volte evocata, quasi mai attuata.

Exit mobile version