Il quadro

Concessionari di giochi e scommesse in fermento, in barba alla ludopatia

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La lobby delle concessionarie è in agitazione, preoccupata per il rischio di interventi “proibizionisti” del Governo che tuttavia non sembrano attuali.

È evidente che la potente lobby italiana dei concessionari dei giochi e delle scommesse si è messa in moto, con modalità intense e pesanti, forte della propria ricchezza economica (stiamo parlando di un business da circa 100 miliardi di euro l’anno): qual è la “minaccia” all’orizzonte, che preoccupa Lottomatica & Co.?! Che il Governo possa presto ottenere una delega repressiva per il “riordino” del settore, che è caratterizzato da normative e regolamenti che non brillano certamente per chiarezza, coerenza, efficacia. La prospettiva è quella di un “testo unico”, che possa assicurare una qualche certezza del diritto ed una regolamentazione chiara.

Come abbiamo ben spiegato ieri su queste colonne – in una sorta di corso accelerato ad uso di potenziali interessati alla “teoria e pratica” del lobbying – di fronte ad una latente minaccia, il “portatore di interesse” (il cliente) si rivolge al lobbista (rappresentante del cliente verso le istituzioni) e gli chiede: “cosa possiamo fare?!” (vedi “Key4biz” del 17 novembre 2021, “Lottomatica-Censis contro il gioco illegale. Ma il gioco ‘legale’ fa bene al Paese?”)

La prima risposta è… “produrre dossier”, ovvero documenti che “dimostrino” che le tesi del portatore di interesse sono valide, scientificamente corrette. Valide per la collettività, oltre che per il portatore di interesse.

E qui entrano in gioco centri di ricerca, più o meno indipendenti, ovvero “think tank”, più o meno indipendenti.

L’indipendenza scientifica finisce subito per cozzare con l’approccio ideologico. È peraltro arduo sostenere che esista “ricerca indipendente” in assoluto, perché spesso un centro studi privato si ritrova costretto a fare i conti con l’economia di mercato e talvolta con la propria stessa sopravvivenza.

Soltanto in rari casi, in ambito accademico spesso e talvolta anche in ambito extra-accademico, si osserva l’attività di centri di ricerca che possono vantare assoluta autonomia rispetto alla propria committenza.

Questa autonomia (e libertà) è certamente maggiore se i committenti sono istituzioni pubbliche.

Ciò premesso, se è vero che da alcuni anni un istituto di ricerca come Eurispes “fiancheggia” le tesi delle concessionarie dei giochi e scommesse (la battaglia a favore del “gioco legale” come strumento di contrasto del “gioco illegale”), perché evidentemente il fondatore e presidente dell’istituto Gian Maria Fara è convinto di questo approccio, alcuni hanno osservato con perplessità la recente entrata in campo, su queste materie, del Censis, che è senza dubbio il più famoso e grande centro privato di ricerca attivo in Italia (il suo bilancio non è pubblico, ma stimiamo muova una decina di milioni di euro l’anno), ed in particolare del suo Presidente Giuseppe De Rita, un guru della ricerca sociologica italiana.

Ne abbiamo scritto ieri con abbondanza di attenzione su queste colonne.

Abbiamo certezza che una personalità come De Rita condivida le tesi ideologiche di Lottomatica & Co. e non si sia certo lasciato convincere prosaicamente da un appetitoso incarico di ricerca che integra il già assai ricco portafoglio-clienti del Censis…

Altre iniziative promosse da Lottomatica & Co.: attività di lobbying policentrica e pervasiva

In questi giorni, però, si registrano altre iniziative, curiosamente tutte concentrate in settimana.

È interessante dedicare loro attenzione, perché si tratta di un vero e proprio “case study”, su come le concessionarie si muovano in modo policentrico e pervasivo.

È interessante fare un po’ di luce sul “dietro le quinte” di queste iniziative, perché si comprende come sia forte una parte (le concessionarie) e sostanzialmente assente l’altra (il pubblico, i consumatori, i cittadini).

E come inevitabile sia il rischio che l’ago della bilancia finisca per andare a favore dei concessionari e non della collettività, anche perché non ci risulta ci siano vere “lobby” (lobby potenti, intendiamo) a tutela dei cittadini…

In contemporanea (stesso giorno, stesso orario…) all’iniziativa Lottomatica-Censis di lunedì 15, veniva organizzato un seminario online promosso da “The Watcher Post”, testata giornalistica diretta da Piero Tatafiore, collegata ad una delle più potenti agenzie di lobbying italiane, Utopia, fondata e presieduta da Gian Piero Zurlo.

Il seminario è stato intitolato “Il contributo privato alla valorizzazione e riscoperta del patrimonio culturale”, ed ha coinvolto anche un rappresentante del Governo, ovvero la Sottosegretaria al Ministero della Cultura Lucia Borgonzoni (Lega Salvini).

Senza dubbio condivisibili le tesi della Sottosegretaria: “i beni e le attività culturali sono stati i primi a chiudere durante pandemia e gli ultimi a riaprire… è passato il concetto errato che la cultura sia un bene sacrificabile… invece numerose ricerche dimostrano quanto incida sul tessuto economico anche della grande imprenditoria commerciale”. Borgonzoni segue la scia della tesi della centralità della cultura come “fattore economico”, e d’altronde è in perfetta sintonia con il Ministro Dario Franceschini (Partito Democratico) che martella da sempre su questi concetti. La Sottosegretaria ha focalizzato il nesso con il digitale, per lo sviluppo del sistema culturale: “la pandemia ci ha messo davanti a sfide importanti, come la comunicazione e digitalizzazione. In Emilia Romagna, ad esempio, esistono ancora zone bianche, non coperte dalla rete. È stato un problema per la dad, lo è anche per la cultura”.

E venendo al tema “pubblico/privato”, ha sostenuto: “oggi è fondamentale incrementare il rapporto pubblico-privato. Un grande strumento è l’Art Bonus, che va allargato il più possibile, ad esempio alle istituzioni private aperte al pubblico o a Festival come Giffoni”. Questa tesi è assolutamente condivisibile: sebbene non esista uno studio accurato sulle ricadute di questo strumento di agevolazione tributaria, riteniamo che gli effetti dell’Art Bonus non possano che essere benefici per il tessuto del sistema culturale italiano, e siamo convinti che lo strumento debba essere esteso anche alla rete di migliaia di festival (cinema, teatro, musica, danza, altre arti) che arricchiscono la socio-economia del nostro Paese (anche su questo tema, ahinoi, non esistono studi approfonditi, ma questa è un’altra criticità cognitiva del Ministero della Cultura). La battaglia per l’estensione ai festival dell’Art Bonus è condotta da tempo in particolare da Chiara Valenti Omero, Presidente dell’Associazione Italiana Festival Cinematografici, Afic, ed è stata rinnovata in occasione della Mostra del Cinema di Venezia, nel settembre scorso.

Giuliano Frosini (Igt – International Game Technology alias Lottomatica): “una lotteria per la cultura: perché vietare di sostenere la cultura?”

Il tema del convegno promosso da The Watcher Post & Utopia ci è sembrato un po’ troppo… “generico”, ed abbiamo compreso meglio “il dietro le quinte” ascoltando l’intervento di Giuliano Frosini, Senior Vice President Institutional Relations, Public Affairs and Media Communication Igt alias Lottomatica, che ha avanzato la proposta di “una tassazione di scopo” in favore “di attività specifiche di sostegno alla cultura, magari attraverso una lotteria”.

Ecco la proposta di Frosini: “lavoro per un’azienda che appartiene al settore delle lotterie pubbliche, un settore contrastato nel periodo recente, ma che ha avuto una storica identità nel sostegno al mondo della cultura. Sin dal 1996, la legge Veltroni destinava una porzione degli utili del gioco del Lotto a sostegno e alla valorizzazione di beni monumentali del patrimonio artistico. Una grande parte delle straordinarie bellezze che oggi possiamo visitare, sono state restaurate con questi fondi. Successivamente, a seguito di una serie di motivi, tra cui il contrasto che si è creato verso il settore dei giochi pubblici, ha fatto affievolire questo intervento. Fino al 2018 quando il decreto Dignità ha vietato la possibilità ad alcuni settori di poter intervenire a sostegno delle iniziative anche della cultura. Ha vietato le sponsorizzazioni”.

Si ricordi che una disposizione particolarmente significativa, per il settore, è il divieto di pubblicità sul gioco d’azzardo, introdotto con il cosiddetto “Decreto Dignità” (Decreto Legislativo n.87 del 2018, poi convertito nella legge 9 agosto 2018 n.96).

La legge n. 96/2018 impone nell’articolo 9 il divieto assoluto di qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, indipendentemente dal mezzo uti­lizzato (radio, tv, stampa, internet, inclusi i social media), comprese le manifestazioni sportive, culturali o artistiche. In caso di violazione è prevista una sanzione pari al 20 % del valore della sponsorizzazione o della pubblicità, con un importo minimo di 50mila euro per ciascuna violazione.

Di fatto, Frosini lamenta che il ricco sistema dei giochi e delle scommesse sia stato (de)privato della possibilità di sostenere la cultura.

Non si domanda però, Frosini, se questa scelta abbia un senso etico e civile.

Se lo Stato deve contenere, deve limitare, e non deve stimolare, la crescita di questo settore di attività (che è “borderline” con il rischio di ingenerazione di patologie da dipendenza), è naturale, è giusto, è sano che a questo settore siano imposti dei paletti. Come avviene, appunto, per la pubblicità dei giochi e delle scommesse, che è stata limitata dal succitato Decreto Dignità, fortemente voluto dal primo Governo guidato da Giuseppe Conte.

Sostiene invece Frosini che “questo è un problema che riguarda il settore del gioco che è para-pubblico, basato sul meccanismo concessorio, un meccanismo dell’appalto del pubblico, con una traslazione di poteri pubblici e privati”. E qui, a parer nostro, il dirigente di Lottomatica esagera un po’, auto-attribuendosi una impropria funzione… “pubblica”.

Secondo Frosini, “sarebbe più semplice per questo settore offrire un contributo che sia vincolato alle proprie attività e finalizzato alle attività di sostegno. La cosa probabilmente più semplice da fare è provare a fare una riflessione. La mia proposta è quella di valutare una tassazione di scopo, una tassa di destinazione. Si potrebbe pensare di destinare una parte di utili erariali ad attività specifiche di sostegno alla cultura, in parte alla valorizzazione del patrimonio ma anche alle attività culturali. È un’esperienza che viene fatta a livello internazionale. In Inghilterra ad esempio esiste da tempo una tassa di scopo con la quale la lotteria Camelot sostiene attività culturali o sociali. Ci sono anche altre esperienze in varie parti del mondo”. Porta acqua al suo mulino, citando esempi italici: “nel 2006, il Comitato Olimpico Toroc si trovò alle prese con un buco di bilancio. Fu autorizzata per quell’occasione la destinazione di una piccola porzione di utile erariale di un Gratta e Vinci dedicato al finanziamento di Toroc. Questo meccanismo consentì a Toroc di ripianare il debito e di poter realizzare plusvalenze da destinare a una migliore realizzazione dei giochi. Chiedo se per caso possa essere di interesse valutare meccanismi di questo genere”.

La Sottosegretaria Borgonzoni non ha ascoltato l’intervento di Frosini, chiamata da altro impegno, ma come hanno reagito i parlamentari coinvolti nel seminario? Possibilisti…

La senatrice Maria Saponara (Lega, è capogruppo in Commissione VII) ha dichiarato: “mi sembra un’idea che può essere valutata e, perché no, potrebbe avere dei risultati”.

Il deputato Michele Anzaldi (Italia Viva) ha sottolineato che “in Italia c’è un’emergenza vera che è la ludopatia, e che lo Stato deve affrontare”, ma “senza dimenticare che fino a qualche anno fa l’Italia era leader nel settore del cavallo grazie a un signore di nome Caprilli. Un settore che è poi entrato in crisi a causa della crisi delle scommesse. Un sistema che consentiva di passare qualche ora all’aria aperta, mentre ora le scommesse si fanno chiuse in casa, senza poter socializzare… Sulla lotteria, ci si può ragionare”. Ed ha aggiunto, più in generale, che “si debba innanzitutto cominciare a comunicare quello che si può fare. Andrebbe fatto un programma Rai sul Pnrr, con un monitoraggio settimanale per regioni, applicazioni, intoppi e avanzamenti”.

Fin qui, l’iniziativa di “The Watcher Post” / Utopia.

Interviene anche i-Com (Istituto per la Competività) e Lottomatica torna alla carica

Questa mattina, giovedì 18 novembre 2021, entra in gioco un altro qualificato centro di ricerca (anch’esso riteniamo si vanti di essere “indipendente”) qual è l’i-Com, Istituto per la Competività, fondato e presieduto da Stefano Da Empoli

L’iniziativa è stata presentata esplicitamente (e con franchezza) come “dibattito promosso insieme all’International Game Technology (Igt)”, ovvero – in soldoni – Lottomatica. Appunto.

Anche in questo caso, l’istituto di ricerca coinvolto ha prodotto un dossier documentativo, ovvero un “paper” come s’usa dire, intitolato come il convegno, “Oltre le incertezze. Verso il riordino del gioco legale”. Si legge nel documento: “il progressivo sviluppo del settore del gioco rende necessario il varo di una regolamentazione coordinata, perseguibile sul piano nazionale attraverso l’emanazione di un testo unico in grado di disciplinare in modo armonico gli articolati aspetti della materia”. Il quadro legislativo, si legge nel documento curato da Eleonora Mazzoni, Direttore dell’Area Innovazione dell’Istituto per la Competitività, “è costituito da un gran numero di enti nazionali e di leggi e disposizioni regionali, in attesa di un’efficace e sistematica riorganizzazione”. Inoltre, “il contesto normativo e giurisprudenziale ha creato una situazione di incertezza in capo sia ai consumatori che agli operatori economici”. Tale incertezza, spiega quindi il documento, “inevitabilmente ha finito anche con il ripercuotersi sulle istituzioni a vario titolo competenti in materia”.

Ed anche qui emerge potente la voce di… Lottomatica, ovviamente: “proibire è la soluzione più semplice, ma la pedagogia ci insegna che la cosa più facile di solito non funziona, figuriamoci con cittadini adulti e maturi”, ha sostenuto convinto Guglielmo Angelozzi, Amministratore Delegato di Lottomatica, nel corso del webinar. “Ho visto spesso interventi ad effetto, buoni per la comunicazione ma imbarazzanti”, come “pensare che la distanza dai cimiteri o dai centri di riabilitazione ortopedica sia un valore nella tutela dei soggetti deboli” (Angelozzi si riferisce al cosiddetto “distanziometro”). Oppure, ha aggiunto, “utilizzare la tessera sanitaria che non permette ai minori di giocare in un posto dove i minori non potrebbero entrare. È la certificazione del fallimento dello Stato nell’enforcement, perché sa che la legge non sarà rispettata e ne fa un’altra invece di un rafforzamento”.

Guglielmo Angelozzi spiega: “il gioco illegale è il male, non c’è tutela per nessuno, c’è un vulnus per lo Stato, per la sicurezza, per i consumatori e non c’è protezione per le persone deboli e con dipendenza. Nel medio termine, i nostri concittadini non applaudiranno le scelte di chi avrà fatto aumentare il gioco illegale e la penetrazione delle mafie nella società… Gli italiani sono molto coscienti che c’è l’illegalità e che questo sia un problema serio, che avrà un prezzo sociale e politico”. Ed è andato oltre, arrivando a quasi invertire i ruoli, in un curioso gioco delle parti: è lo Stato che ha necessità dei concessionari! Ha detto: “i concessionari hanno una concessione ottenuta attraverso un processo molto complicato. Non sono loro che hanno bisogno delle proroghe, ma è lo Stato che ne ha bisogno e ha bisogno di concessionari che siano disposti a lavorare in determinate condizioni”, che ora sono “di incertezza elevata, e quindi operare diventa un problema”.

E qui, veramente, ci fermiamo: Lottomatica minimizza allegramente il problema delle conseguenze del gioco “in sé”, che abbiamo già segnalato nel nostro articolo di ieri su queste colonne.

Iss (Istituto Superiore di Sanità): 19 milioni di giocatori, 5 milioni abituali, 1,2 milioni ludopati

Se sono 19 milioni gli italiani che giocano, ve ne sono almeno 5 milioni che giocano continuamente, ed oltre 1,2 milioni che possono essere classificati come “ludopati”.

Si tratta di stime – come abbiamo già ben precisato ieri – di fonte Istituto Superiore di Sanità, e se abbiamo dato tanta fiducia, nel corso degli ultimi quasi ormai due anni, all’Iss presieduto da Silvio Brusaferro, in materia di pandemia, non vorremmo contestarne le capacità in materia di ludopatia, nevvero?! È pur vero che non risulta sia mai stata realizzata in Italia una serie indagine epidemiologica sul fenomeno.

Questi dati, comunque, ovvero 5,2 milioni di persone coinvolte nell’azzardo ed 1,2 milioni di persone che hanno già manifestato forme di dipendenza sono stati fatti propri anche dal titolare del Ministero della Salute Roberto Speranza (Leu), in occasione del decreto del luglio 2021 per l’adozione delle “Linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d’azzardo patologico” (si tratta di “linee di azione” che si teme finiscano purtroppo per non determinare ricadute concrete sul sistema del gioco in Italia).

Marcello Minenna, Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ha sostenuto che “la domanda di gioco è anelastica, chiudere il gioco non risolve il problema. Nel momento in cui si coglie questa tematica, si comprende l’esigenza e l’importanza di una regolamentazione e di un controllo che vada anche a sfruttare quanto ci viene offerto anche dagli strumenti tecnologici disponibili e fare i conti con una serie di questioni di privacy, salute e ordine pubblico”.

La salute pubblica, in effetti: chi ci sta pensando veramente, tra tutti questi vigili “stakeholder”?!

Nemmeno il Direttore dell’Agenzia sembra preoccuparsi delle conseguenze psico-sociali del gioco “in sé”, e quindi anche lui sposa le tesi di Lottomatica (e del Censis? e dell’i-Com? di Eurispes? e di qual altro portatore d’acqua ancora?!) secondo le quali il “gioco legale” sarebbe benedetto: un santo antidoto (anzi un “argine” è stato sostenuto) contro il “gioco illegale” e contro la “ludopatia”. Sulla prima idea, si può anche concordare, ma sulla seconda proprio no.

Se il concetto di “gioco” inteso come “scommessa” viene normalizzato, ritenuto finanche sano e naturale e fisiologico, simpaticamente benedetto dallo Stato, si finisce per attivare un processo a rischio di degenerazione. Degenerazione i cui risultati si toccano già con mano.

Secondo alcune stime, soltanto una percentuale modestissima, ovvero l’1 %, di quell’1,2 milioni di italiani “ludopati” sono seguiti dal sistema sanitario nazionale: e che dire del 99 % che non risponde all’appello?!

Quali le conseguenze “sommerse” nel tessuto psico-sociale del nostro Paese?!

Quali le conseguenze nel medio-lungo periodo per l’Italia tutta?!

Non ci sembra che, nel dibattito in corso, emerga una qualche voce (potente) a tutela (reale) dell’interesse pubblico – inteso non come interesse delle concessionarie pubbliche! – ma della collettività.

Della comunità.

Marco Dotti (“Vita”): “mercati manipolati… offerte che inducono domanda… oligopoli che dettano regole allo Stato… vite sconvolte…”

Facciamo nostre le tesi di un esperto (indipendente: lui certamente… indipendente!) qual è Marco Dotti, studioso della materia, saggista, giornalista (in primis sul mensile “Vita” e del relativo portale web), che già citavamo ieri su queste colonne: “«se non legalizziamo lasciamo mano libera alla criminalità» è retorica per anime belle. Non si tratta, infatti, di porre il dilemma fallace tra “proibizionismo” e “antiproibizionismo”. Si tratta di comprendere, fuori e lontano da ogni ingenuità, di che cosa parliamo quando parliamo di ‘rigged markets’, mercati manipolati. E di che cosa parliamo, dunque, quando parliamo di mercati manipolati? Parliamo di offerte che inducono e creano la loro domanda, ampliando la platea di consumatori con prodotti ad alto potenziale di addiction”.

Continua il professor Dotti: “dal lato industriale, parliamo sostanzialmente di oligopoli: pochi, grossi gruppi per lo più finanziari che operano in concessione, ma sono in grado di dettare al concessionario (lo Stato) le loro regole”.

In epidemiologia, viene definito “il paradosso di Geoffrey Rose”: un maggior numero di soggetti esposti ad un basso rischio, può dare origine ad un maggior numero di casi problematici e patologici rispetto ad un minor numero di soggetti ad alto rischio (tesi dimostrata fin dal lontano 1985 dall’epidemiologo britannico Geoffrey Arthur Rose, in un saggio intitolato “Sick individuals and sick populations”).

In altri termini: quanto più è diffusa e disponibile l’offerta di gioco, tanto più soggetti verranno a contatto con il gioco e tanto più soggetti rischieranno di sviluppare problematicità e patologie. Quindi, la crescita del “gioco legale” contrasterà senza dubbio lo sviluppo del “gioco illegale”, ma, se cresce il numero dei consumatori, aumenta anche il numero dei ludopati.

Eppure sarebbe sufficiente che lo Stato (anche attraverso la Rai) assolvesse ad una funzione minimamente educativa, di sensibilizzazione pedagogica, con una campagna di informazione stabile e robusta: al di là dei rischi di dipendenza, basterebbe ricordare al cittadino, al potenziale consumatore, che statisticamente è più probabile essere colpiti da un fulmine (una possibilità su 300mila all’anno) che vincere 10.000 euro ad una “lotteria istantanea” come il “Miliardario” (un biglietto vincente di questa entità ogni 333.333)…

Un testo utile per osservare il problema non dal punto di vista delle potenti e ricche concessionarie è rappresentato dal saggio curato da Claudio Forleo e Giulia Migneco, “La pandemia da azzardo. Il gioco ai tempi del Covid. Rischi, pericoli e proposte di riforma”, con una prefazione del Procuratore Antimafia Federico Cafiero de Raho, pubblicato nel maggio 2021 da Altreconomia Edizioni. Ci domandiamo quanti parlamentari italiani l’abbiano letto…

Non corrisponde a verità che il gioco d’azzardo, se è legale, non fa male.

False mitologie (l’illusione della vincita facile e probabile) si scontrano con problemi reali (soprattutto delle fasce più fragili della popolazione).

Dietro i “grandi numeri” del business del gioco d’azzardo ci sono vite sconvolte, malattia, dipendenza, debiti, usura… fenomeni che riguardano milioni di italiani.

Clicca qui, per leggere il saggio di Claudio Forleo e Giulia Migneco, “La pandemia da azzardo. Il gioco ai tempi del Covid. Rischi, pericoli e proposte di riforma”, Altreconomia Edizioni, 2021 (dal sito di www.avvisopubblico.it)