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Canoni frequenze tv, li fisserà il MiSE?

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Secondo una bozza del decreto Comunicazioni sarà il MiSE e non più l’Agcom a fissare i contributi da versare per l’uso delle frequenze televisive.

Dovrebbe spettare al Ministero dello Sviluppo economico e non più all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni fissare i contributi che gli operatori televisivi sono tenuti a versare per l’uso delle frequenze.

Secondo quanto apprende l’Adnkronos, una bozza del decreto Comunicazioni prevedrebbe infatti questo passaggio di consegne.

Il MiSE dovrebbe farlo calcolando quanti sono i multiplex detenuti dagli operatori ma anche facendo uno ‘sconto’ a chi deciderà di cedere capacità trasmissiva ad altri soggetti.

Il contributo degli operatori dovrebbe essere determinato “come percentuale del valore di mercato delle frequenze esercite dagli operatori di rete” e varierebbe a seconda del numero di mux detenuti e in base al fatto che siano o meno integrati verticalmente, come nel caso di Rai e Mediaset.

Più precisamente, sempre secondo quanto prevedrebbe questa bozza del decreto Comunicazioni, se da un lato il contributo “dovrà crescere” all’aumentare del numero delle frequenze in possesso dell’operatore, dall’altro lato “uno sconto crescente sarà applicato al valore del contributo” ove gli operatori di rete cedano capacità trasmissiva a soggetti terzi, fornitori indipendenti di contenuti.

Nella bozza del dl si leggerebbe che la proposta rappresenta nel complesso “anche una risposta necessaria alla procedura di infrazione comunitaria“.

Nel testo verrebbe inoltre spiegato come la proposta voglia “superare le criticità del metodo di calcolo proposto dall’Agcom” che indicava i criteri a cui il MiSE si doveva attenere.

Questo individuando “un metodo che, coerentemente con le osservazioni espresse dalla Commissione Europea con lettera del 18 luglio 2014, porti alla definizione di contributi ‘..obiettivamente giustificati, trasparenti, non discriminatori e proporzionati allo scopo perseguito, tenendo conto degli obiettivi dell’art. 8 della direttiva quadro” come “la garanzia di una gestione efficiente delle radiofrequenze e dell’assenza di distorsioni o restrizioni della concorrenza’”, secondo la citazione della lettera di Bruxelles contenuta nella bozza.

La questione del calcolo dei canoni per l’uso delle frequenze tv è complessa.

Lo scorso settembre l’Agcom, con la propria delibera n. 494/14/CONS, ha stabilito i criteri per la determinazione di tali contributi da parte del MiSE. Quest’ultimo, con decreto del 29 dicembre scorso, ha previsto, in via transitoria, il pagamento di un acconto pari al 40% di quanto versato nel 2013 (quando era vigente il vecchio regime di contribuzione).

Le norme previste dal dl Comunicazioni dovrebbero superare le disposizioni introdotte dal decreto ‘tampone’ per adottare una norma primaria che possa modificare la legge Passera-Monti dell’aprile 2012, alla quale si è allineata la Delibera Agcom nello stabilire lo schema di calcolo per i canoni annuali.

L’Agcom ha infatti adottato il provvedimento conformandosi al dettato dell’art. 3-quinquies del Decreto legge n. 16 del 2012 e assumendo come valore di riferimento il prezzo di aggiudicazione delle frequenze Tv nell’asta conclusasi nel mese di giugno.

La delibera prevede un incremento del contributo per ogni multiplex addizionale in funzione anti-concentrativa; un incentivo per l’utilizzazione di tecnologie innovative; un trattamento differenziato per gli operatori locali in ragione della peculiarità del settore.

Quanto al criterio dell’applicazione progressiva del nuovo sistema di contributi di cui al comma 4 del citato art. 3-quinquies, l’Autorità suggerisce la definizione di un glide path volto a garantire la progressività dell’imposizione e la parità di condizioni tra operatori.

Il Governo non ha però condiviso questo schema e nei mesi scorsi è scoppiata la bagarre, accedendo i toni della politica. Il Sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha più volte spiegato che si corre il rischio che “sia spostato sull’emittenza locale un rischio e un onere da rendere impraticabile quel mercato per qualsiasi operatore”.

E poi perché, sempre secondo il Sottosegretario, “…il quadro normativo su cui ha lavorato l’Agcom per la definizione dei nuovi criteri non ha mai compiutamente preso atto del passaggio dal sistema analogico e quello digitale, nel quale emergono due categorie distinte, quella degli operatori di rete e dei fornitori di contenuti”.

L’Autorità però non ha fatto altro che adempiere alle proprie funzioni e a predisporre il nuovo sistema di calcolo in linea con la Passera-Monti, passando la palla al Governo per eventuali modifiche delle norme vigenti.