Alphabet e Google

BreakingDigital. Google diventa un Alphabet e il suo algoritmo è sempre più incombente

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

Sarà un caso, ma proprio il giorno in cui Google annuncia di essere diventato maggiorenne, il New York Times gli ricorda le vaccinazioni del caso.

Larry Page e Sergey Brin, come sempre, colpiscono ad agosto ed annunciano che Google non è più una grande cometa, con un motore di ricerca che tira e una scia di servizi accessori che traducono in fatturato la potenza di calcolo.

Diventa una galassia, con un buco nero al centro, il suo algoritmo poliedrico, e una serie di satelliti che ruotano attorno.

Nasce così Alphabet, che, come ha spiegato Larry Page è innanzitutto l’emblema del vero patrimonio di famiglia, ossia la capacità di indurre linguaggi, ed è anche un facile gioco di parole (Alpha-Bet) per indicare una scommessa (bet) su un futuro rendimento finanziario superiore a tutti i valori di riferimento.

Il pane e le rose, potremmo dire, richiamando un altro inventore di linguaggi e di capacità di calcolo del XIX secolo.

Lo schema che vedete è la nuova mappa dell’impero, che trasforma Google in un’unica business unit, dove tutti i singoli progetti, anche quelli inizialmente più avveniristici, diventano rami d’azienda.

Alphabet - Google

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google, Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.  Qualcosa di molto di più di un semplice riassetto industriale.

Il vertice di Google percepisce che qualcosa sta incubando nella rete, e che le rendite di posizione, anche le più solide, potrebbero essere insidiate in poco tempo da cambi di scena.

La temperatura attorno allo strapotere del principe del research engine sta salendo.

In Europa i fronti di guerriglia si aprono uno dopo l’altro: privacy, fisco, monopolio, concorrenza scorretta.

Non meglio il clima negli stessi USA, dove incombono procedure antitrust.

Ma il vero spauracchio di Google e l’affacciarsi di un altro Google.

O meglio, di un’altra cosa che condensi nuove domande sociali del popolo della rete e dia corpo a nuovi comportamenti.

Gli infiniti rapporti bilaterali fra il motore di ricerca e le centinaia di milioni dei suoi utenti stanno rallentando. Sempre di più ci si rivolge direttamente ad un unico ambiente social, per le proprie necessità.

Facebook sta diventando quello che Starbucks è nel caffè: non un luogo di consumo momentaneo, ma un ambiente di vita.

Uscirne è sempre più complicato.

E Google+, come è noto, non regge la concorrenza.

Allora, secondo i dettami darwiniani della Silicon Valley, ci si adegua: una conglomerata che distribuisce il peso del mercato su un fronte più ampio, diluendo il carico d’utenza su più marchi e situazioni.

Ma il cuore rimane la potenza di ricerca e di profilazione: l’arsenale è sempre l’algoritmo.

Ed è proprio quello il bersaglio di una nuova scuola di pensiero digitale, che vede nel soluzionismo del software un sistema da decodificare e negoziare.

Nelle stesse ore in cui il vertice di Google annunciava la metamorfosi, il New York Times lanciava un affondo sul tema delle manipolazioni semantiche prodotte dagli algoritmi.

Cynthia Dwork, una delle più accreditate ricercatrici sul tema, arruolata dal grande nemico di Google, Microsoft, inforca gli occhiali e lancia l’allarme: l’algoritmo è uno strumento di alterazione valoriale e analitico, accusa, introducendo il concetto di bias digitale. Bias è in psicologia un concetto molto preciso: pregiudizio inconsapevole che si forma sulla base di informazioni incomplete o artefatte.

Siamo al cuore del problema che abbiamo già incontrato nel testo Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google (giornalisminellarete.donzelli.it). Infatti il giornalismo, insieme alla pubblicità o alla ricerca di lavoro, o ancora all’assistenza e alla finanza sono i terreni dove più plateale è oggi la manipolazione dei sistemi cognitivi basati su software automatici, secondo la Dwork, che afferma: “… algorithms and other types of software can discriminate”.

La risposta è un atteggiamento critico, che entri nel merito dei sistemi algoritmici e permetta a chi li usi di poterli valutare e integrare.

Si tratta di promuovere, secondo la Dwork, un nuovo clima culturale segnato da “equità attraverso la consapevolezza (Fairness Through Awareness )”.

È questo forse il capitolo che manca alla Carta della rete, appena presentata alla Camera dei Deputati da parte della commissione presieduta da Stefano Rodotà.

Equità attraverso la consapevolezza significa andare oltre il pur, ovviamente, necessario impegno per un accesso assicurato a tutti alla rete.

Significa affrontare il tema di quale ambiente si incontri oggi on line e come le relazioni fra i cittadini possano essere alterate da poteri quali quelli dell’algoritmo che condiziona comportamenti e valutazioni.

Un vero nuovo Alfabeto Culturale per il nuovo Alfabeto Tecnologico.