Anche la Germania si unisce al fronte europeo deciso a tassare i giganti del digitale. Il governo federale sta infatti lavorando a una web tax del 10% sui ricavi pubblicitari generati da colossi come Apple, Amazon, Google e Meta, con l’obiettivo di destinare i proventi al sostegno del sistema editoriale nazionale. Lo ha annunciato Wolfram Weimer, commissario per i Media e la Cultura, spiegando che la proposta nasce dalla coalizione guidata da Friedrich Merz.
Il disegno di legge, parte del programma di governo presentato a inizio maggio, si ispira al modello austriaco, che già prevede un’imposta del 5% sulla pubblicità online. Ma Berlino vuole spingersi oltre, convinta che il sistema fiscale europeo debba riflettere il volume d’affari effettivamente generato dalle piattaforme digitali nei singoli Stati.
Verso lo scontro transatlantico
Il nuovo progetto tedesco arriva in un momento delicatissimo per i rapporti economici tra Europa e Stati Uniti. Se approvata, la digital service tax (DST) potrebbe costringere le Big Tech americane a rivedere le proprie strategie operative in Germania. E non solo. Il rischio di un effetto domino tra altri Paesi europei è concreto, con il pericolo di una frammentazione del mercato digitale UE che renderebbe ancora più complesso il lavoro dei grandi gruppi tecnologici.
Washington ha già fatto sapere di non gradire. Le digital tax europee sono viste dalla Casa Bianca come misure punitive nei confronti delle imprese statunitensi, e il Dipartimento del Commercio ha chiesto chiarimenti a Berlino. Non è la prima volta che una digital tax europea solleva l’ira degli Stati Uniti. Washington che vede nella tassa un attacco diretto alle proprie imprese, ha già criticato simili iniziative in Francia, Italia e Spagna, stilando una lista di contromisure da applicare contro i Paesi “colpevoli” di introdurre regimi fiscali ostili alle imprese americane.
L’ombra di ritorsioni commerciali si allunga dunque su tutto il continente, con il rischio di riaccendere lo scontro tariffario tra le due sponde dell’Atlantico.
Un colpo ai negoziati globali
A livello internazionale, la mossa tedesca rischia di complicare ulteriormente i delicati negoziati in corso all’OCSE, dove si tenta da anni di raggiungere un accordo globale sulla tassazione delle multinazionali digitali. E l’Unione europea, nel frattempo, resta spaccata: da una parte chi spinge per un intervento immediato, dall’altra chi preferisce attendere un’intesa multilaterale per evitare un mosaico normativo frammentato.
L’Italia ritirerà la web tax?
In questo contesto si inserisce anche l’Italia. Roma applica già una web tax del 3% sui ricavi da pubblicità digitale, accesso alle piattaforme e trasmissione di dati raccolti dagli utenti, per le aziende con un fatturato globale sopra i 750 milioni. Il gettito stimato è di circa 390 milioni di euro annui.
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e il conseguente ritiro degli Stati Uniti dal Global Tax Deal firmato sotto l’amministrazione Biden, il governo Meloni potrebbe scegliere di allinearsi a una linea più morbida verso le Big Tech, segnando un’inversione di rotta rispetto agli impegni internazionali. Ma a quale prezzo? Roma rischia di pagare il conto, sia sul piano politico che economico, tra frizioni con Bruxelles e tensioni con Washington.