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Ultrabroadband: si parte in 8 regioni, ma ok della Ue a ‘modello statale’ è ancora lontano

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Se dal momento in cui si invia la notifica ufficiale passano almeno 60 giorni per ottenere il via libera Ue, ci vorrà, se tutto va bene, la primavera inoltrata per partire coi nuovi bandi.

Partiranno “entro i primi di febbraio” i lavori per la realizzazione della rete in banda ultralarga nelle zone a fallimento di mercato in otto regioni, come annunciato ieri dal sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli in una intervista all’Adnkronos.

Si tratta però di progetti che non possono fare riferimento alla strategia italiana per la banda ultralarga approvata a marzo dello scorso anno dal Governo: come ha specificato lo stesso Giacomelli, verranno impiegate infatti “risorse della vecchia programmazione, ma con modalità che riguardano già l’impostazione del piano” a intervento diretto già approvato in passato da Bruxelles.

Nelle aree a fallimento di mercato, ossia i Cluster C e D, il Governo ha optato per un modello diretto, privilegiando questa via piuttosto che un contributo a fondo perduto agli operatori privati o una partnership pubblico-privato. Il piano è stato pre-notificato a Bruxelles e dai contatti già avuti con l’esecutivo si è potuto percepire “un atteggiamento molto costruttivo e positivo”.

L’iter burocratico, però, va al di la delle buone intenzioni: se si calcola che dal momento in cui si invia la notifica ufficiale passano almeno 60 giorni per ottenere il via libera Ue, si comprende bene che è impossibile ricevere il benestare di Bruxelles nei tempi auspicati dal sottosegretario.

Ci vorrà, se tutto va bene, la primavera inoltrata per partire coi nuovi bandi e la fine dell’anno-inizio 2017 per avviare i lavori.

Se tutto va bene.

Ricordiamo che, tra l’altro, parliamo di una strategia scritta a fine 2014, approvata nel giro di tre mesi. Ad agosto, poi, sono stati sbloccati 2,2 miliardi dal Cipe. I bandi sarebbero dovuti partire a settembre, dunque, ma come avevamo anticipato i tempi sono ancora tutti da definire, tanto che anche il capo unità Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per l’Italia della Commissione europea, Slujters, ha stigmatizzato le lungaggini che caratterizzano il percorso dei progetti da realizzare coi fondi europei.

Non solo i fondi europei, comunque, perché stando così le cose non si riusciranno a spendere neanche i 300 milioni messi sul piatto dal Governo per il 2016.

Tanto più che, nonostante l’accordo di partenariato con Bruxelles per utilizzare i fondi Ue, con l’obiettivo di allinearsi ai target della Digital Agenda europea con un’unica strategia, le Regioni – non vedendo obiettivi e risorse certe – cominciano a muoversi in autonomia per evitare l’ulteriore dispersione di tempo e denaro.