I timori

Automotive: 70 mila posti di lavoro a rischio tra le imprese non attive nell’elettrificazione

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Anfia: le aziende che sentiranno l'impatto sono tra il 20 e il 40% delle 2.200 che producono componenti in Italia. Eppure il settore dell'eMobility è in rapida crescita e più che di perdita bisognerebbe forse parlare di trasformazione dei posti di lavoro, tra riqualificazione continua e nuove competenze.

I timori dell’industria automotive italiana

Le imprese che non producono auto elettriche e non lavorano dell’indotto creato dall’elettrificazione dell’automotive, potrebbero andare incontro ad una crisi profonda, con relativa emorragia di posti di lavoro e perdita di competitività.

È quanto stima accadrà nei prossimi anni l’Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica, nell’ultimo outlook illustrato al Ministero dello Sviluppo economico, in occasione della prima riunione del “Gruppo Aspetti produttivi e industriali”, istituito nell’ambito del tavolo automotive.

Le aziende che sentiranno l’impatto sono tra il 20 e il 40% delle 2.200 che producono componenti in Italia“, ha spiegato il direttore dell’Anfia, Gian Marco Gioda, secondo quanto riportato da una nota dell’Ansa.

Parliamo di 60-70 mila lavoratori che potrebbero perdere il lavoro, soprattutto nel settore della componentistica.

Il ministro Giorgetti invita a scommettere sulla creatività

Del tema si è occupato anche il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, in un passaggio del suo intervento a #Giffoni50Plus riportato da Radiocor del Sole 24 Ore: “Con l’avvento dell’auto elettrica un terzo di chi oggi e’ impegnato nell’automotive dovra’ trovare una nuova collocazione occupazionale“.

Da dove ripartire? Dalla capacita’ e dalla qualita’ italiana. I nostri operai specializzati sono i migliori al mondo. Ripartiamo, percio’, dalla creativita’ e dall’intelligenza“, ha rimarcato Giorgetti.

Una preoccupazione più che legittima, visto che l’industria manifatturiera dell’automotive offre impiego a più di 278 mila addetti di 5.546 aziende, per 106 miliardi di euro di fatturato (l’11% del totale del manifatturiero nazionale).

Timori condivisi anche in Germania, l’eterno rivale del nostro Paese nel manifatturiero. Secondo una recente ricerca condotta dall’Ifo di Monaco di Baviera, su richiesta della VDA, l’associazione di rappresentanza della filiera automobilista tedesca, entro cinque anni potrebbero essere a rischio circa 178 mila posti di lavoro (di cui 75 mila circa andranno in pensione).

Anche in questo caso, i licenziamenti potrebbero avvenire tra le imprese che non sono attive nella mobilità elettrica e che quindi producono essenzialmente veicoli che vanno a combustibili fossili.

Secondo l’Ifo, se si allarga il periodo di tempo al 2030, i posti di lavoro minacciati dalla transizione all’elettrico potrebbero essere 215 mila.

Lavoro che non si perde, ma si trasforma

Tutte indagini dettagliate e necessarie, che però non sembrano prendere in considerazione l’impatto positivo dell’elettrificazione dell’auto sul mondo del lavoro.

Un’impatto che va “accompagnato”, diciamo così, da un percorso agevolato e incentivato portato avanti dal Governo. Ad esempio, molte imprese del settore automotive lamentano il fatto che se da una parte aumentano le immatricolazioni di nuove auto elettriche, in Italia come nel resto d’Europa, nel nostro Pase sono ancora drasticamente pochi i punti di ricarica.

Un’infrastrutture di ricarica limitata impedisce al mercato di decollare e con esso restano a terra anche imprese e lavoratori.

Per molti osservatori, inoltre, ha molto più senso parlare di posti di lavoro che si trasformano, piuttosto che di posti di lavoro che si perdono.

L’industria dell’auto elettrica prevede tempi di produzione diversi, meno componenti, un’industria parallela delle batterie e dei sistemi di ricarica, quindi c’è molto più lavoro da fare e sicuramente si creeranno nuove professionalità e nuove opportunità occupazionali, ma bisogna qualificarsi ed accumulare nuove competenze.

Lo studio realizzato dalla Society of Motor Manufacturers and Traders (SMMT), l’associazione che raggruppa la filiera auto nel Regno Unito, parte proprio da questa considerazione e stima che solamente per la produzione di batterie nelle gigafactory del Paese potrebbero trovare impiego più di 40 mila persone entro il 2030.