Transizione

Auto elettriche: grande opportunità per l’Italia, ma senza strategia a rischio 70 mila posti di lavoro

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La transizione ecologica ed energetica sta cambiando profondamente l’industria nazionale, nello specifico quella automobilistica alle prese con l’elettrificazione. Un processo che se ben governato può garantire crescita e occupazione, ma se non è così i rischi sono enormi, soprattutto dal punto di vista sociale.

Elettrificazione dell’auto e imprese in difficoltà

A gennaio 2019, Alberto Bombassei, industriale del Nord (Brembo) ed ex deputato di Scelta Civica, in un’intervista al Sole 24 Ore, annunciò profetico: “Oggi c’è un grande interesse per l’auto elettrica, ma nessuno considera il suo impatto sociale. Se in Europa smettessimo di produrre auto a benzina e diesel potremmo arrivare a perdere fino a un milione di posti di lavoro”.

A distanza di tre anni esatti, il quotidiano Il Giornale, ha riportato i dati di una fonte industriale secondo cui in Italia al momento ci sono tra 450 e 500 aziende della componentistica, che occupano complessivamente 70 mila lavoratori, a serio rischio chiusura a causa della svolta dell’industria automobilistica verso il motore elettrico.

Un percorso considerato troppo rapido, dal giornale, che fa sue dichiarazioni preoccupate della politica, con Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia (Ppe), e del mondo sindacale, in particolare di Roberto Bengala della Fim-Cisl.

La messa al bando dei motori endotermici dal 2035 consegnerà, di fatto, la filiera europea dell’automotive alla dipendenza dalla Cina, che produce l’80% delle batterie mondiali”, ha detto Salini, mentre per Bengala “è il momento di affrontare le criticità di un settore tradizionalmente molto forte in Italia, ma che rischia di essere spazzato via da una trasformazione che allo stato attuale non è governata”.

Capacità di governare la transizione

Il vero problema, come si legge in un commento di Marco Piccitto, senior partner di McKinsey, è che ogni transizione porta con sé dei rischi e delle grandi opportunità.

Se non si è capaci a gestire le transizioni si può andare incontro a criticità crescenti, come la perdita di posti lavoro, perché è chiaro che non tutti, per vari motivi, sono in grado da soli di fare il salto.

Se però il percorso è pianificato ed integrato in una visione d’insieme, ampia e ben sviluppata, che sappia comprendere il mercato nazionale, quello europeo e quello globale, dove le debolezze sono individuate in anticipo e gli investimenti ben allocati, allora il cambiamento porterà con sé nuove opportunità di crescita e occupazione.

La stessa McKinsey, infatti, riporta in una ricerca dedicata all’elettrificazione dell’industria automobilistica, che se la transizione è ben gestita i posti di lavoro potrebbero aumentare di 15 milioni di unità entro il 2050 a livello mondiale.

Stesso discorso si ritrova nel report “Full throttle needed for UK automotive success”, pubblicato dalla Society of Motor Manufacturers and Traders (SMMT), dove si spiega al Governo britannico che se la transizione è accompagnata dai giusti investimenti, soprattutto nelle gigafactory (dove si producono le batterie) e nel settore della componentistica, si potrebbero creare fino a 50 mila nuovi posti di lavoro “ben pagati” in Gran Bretagna.

In caso contrario, però, se ne potrebbero perdere fino a 90 mila, si legge nel documento.

La situazione in Italia tra voglia di cambiare e paura del futuro

In Italia, al momento, la transizione ecologica e l’elettrificazione dell’automobile procedono un po’ ognuna per conto suo e purtroppo non sembra ci sia una strategia chiara su come procedere in maniera rapida ma composta, da qui in poi.

C’è da costruire nuovi impianti per la produzione delle batterie, ma allo stesso tempo c’è la necessità di aumentare la produzione di componenti base necessarie all’industria dell’auto elettrica, sostenere gli investimenti industriali in nuove tecnologie, consentire alle industrie a zero netto emissioni di accedere agli stessi vantaggi e schemi di compensazione delle industrie ad alta intensità energetica.

Ancora, di migliorare i livelli formativi del personale, creare un fondo apposito per mitigare i contraccolpi sull’occupazione, che comunque inizialmente ci sarebbero, agevolare gli investimenti stranieri, continuare ad incentivare gli acquisti di auto a zero/basse emissioni, non smettere di investire anche in altri vettori energetici come l’idrogeno verde.

Il 30% delle auto elettriche vendute in Europa oggi è importato, soprattutto da Giappone, Stati Uniti, Corea e Cina, secondo dati Eurostat.

Non basta il PNRR e i suoi miliardi, serve metodo e strategia

Si è parlato tantissimo di Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del fiume di miliardi di euro in cui potremmo presto bagnarci i piedi (come nazione ovviamente, non come singoli cittadini), ma rimangono grandi dubbi sul reale stato di avanzamento dei progetti e sul modo in cui questi progetti sono stati realizzati.

Come ci ha spiegato qualche giorno fa Francesco De Leo, Executive Chairman di Kaufmann & Partners (Madrid): “è in gioco il futuro e la competitività dell’Europa. Nessun Paese può immaginare di fare questo salto di paradigma da solo e solo con le proprie risorse. Occorrono standard e scelte comuni, come è stato all’epoca del lancio del GSM, che per 20 anni ha garantito al settore europeo delle telecomunicazioni una posizione di leadership su scala globale. Dobbiamo recuperare lo spirito di quegli anni, mettendo da parte gelosie ed interessi di parte. Ma occorre anche guardare alla realtà per quello che è. A molti analisti è sfuggito che oggi Tesla è forse, oltre che una casa produttrice di automobili, la più grande azienda di robotica al mondo”.

Chi c’è al timone della decarbonizzazione in Italia? Con quale visione complessiva? Quali strumenti sono stati individuati per potenziare i settori chiave e traghettare nella transizione quelli più deboli (in questo caso tutti quelli da riconvertire e legati ai combustibili fossili)?

Se c’è la capacità di governare la transizione ecologica ed energetica la perdita di imprese dell’indotto e di posti di lavoro sarà limitata, se non azzerata nel tempo, ma in caso contrario i rischi sarebbero enormi e forse anche peggiori delle fosche previsioni di Bombassei e de Il Giornale.