Il commento

AssetProtection. I social network sono un vettore di stupidità?

di Alberto Buzzoli, Socio ANSSAIF – Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria |

E' ormai evidente la pochezza di senso critico che hanno le persone sui social network, dove l'assurdità detta da una sola persona viene amplificata senza barriere, contagiando tutti gli altri, senza nessuna opposizione critica.

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Sarò demodé, sarò anti progressista, ormai vecchio a 38 anni, ma i social non li sopporto più. E’ diventato un ambiente on-line di pura follia, tra tendenze ridicole che esplodono contagiando milioni di persone e notizie false e tendenziose che occupano il posto delle informazioni, quelle che sono narrazione dei fatti, interpretazioni intelligenti della realtà.

Contro le fake news stanno addirittura mettendo a punto un vaccino, così come spiega John Cook in un recente articolo pubblicato su PloS One, posto il fatto che l’iniziativa #bastabufale, promossa dalla Presidente Laura Boldrini, ancora non ha dato frutti apprezzabili.

Il tutto nasce dal fatto che il senso critico delle persone è andato a farsi benedire. Del resto Edgard Morin l’aveva preannunciato con la sua industria culturale: l’uomo ha necessità di identificarsi piuttosto che di definirsi, immaginarsi. Così l’assurdità di una sola persona viene amplificata senza barriere, contagiando tutti gli altri, senza nessuna opposizione critica, senza nessun freno inibitore dettato da qualche forma, anche latente, di intelligenza.

Devin D. Mitnick, che con Robert Vamosi ha pubblicato il libro The Art of Invisibility: The World’s Most Famous Hacker Teaches You How to Be Safe in the Age of Big Brother and Big Data. Uno degli ex hacker più celebri nel panorama internazionale, passato alla storia per i numerosi successi (criminosi) raggiunti,  spiega come non lasciare tracce di sé sul web. La gente legge l’articolo che annuncia la pubblicazione, condivide, commenta infervorata; è assetata di privacy. Sono gli stessi che postano freneticamente quegli strazianti anatemi che  recitano: “Io sottoscritto non acconsento […]”, sui quali un professore di diritto ha commentato: ”Avviso agli studenti di informatica giuridica, chi tra di voi ha pubblicato sul suo profilo una sorta di autocertificazione a tutela della privacy è pregato di chiudere per sempre l’account facebook – per evitare di procurare danni a persone o cose-, lasciare la Facoltà di Giurisprudenza ed iscriversi a Scienze degli Snack al Formaggio. Andiamo male ragazzi, molto, molto male.”

Ma è rimasto un lupo solitario, perché la gente la privacy la esige, non importa se con stupidità, anche se poi muore dalla voglia di commentare i fatti propri in pubblico. E lo fa con tutti i mezzi possibili. Poi pretende oltre alla privacy la sicurezza, contro le minacce terroristiche, contro le frodi sugli strumenti elettronici di pagamento, ma al momento di facilitare la giustizia tutti a bastonare possibili opzioni di accesso ai propri sistemi e dispositivi da parte dell’autorità giudiziaria. La logica imporrebbe un po’ di coerenza, ma sembra una caratteristica desueta, poco ricercata e apprezzata.

Poi c’è da parlare della rilevanza delle notizie. Se le persone si impegnavano a leggere e approfondire eventi sociali importanti, parlavano e discutevano di politica o di economia, commentavano la cronaca, in questi giorni svetta nelle classifiche un argomento sconcertante: Carter Wilkerson, 16enne del Nevada, cinguetta il contenuto più rilanciato di sempre, con 3,5 milioni di retweet. Non vi viene una gran voglia di conoscere quale geniale frase abbia mai scritto? Rivolgendosi alla catena Wendy’s, chiede: “Quanti retweet servono per aggiudicarsi un anno di crocchette di pollo gratuite?”. E considerata la gran copertura ottenuta, la catena gli regala buoni per un anno. Insomma, con tante questioni serie, la rete blatera di crocchette di pollo.

Parliamo anche di pestaggi virtuali gratuiti (alla reputazione) e di immotivata rabbia del branco on-line. Salvatore Aranzulla, uno dei blogger più seguiti di sempre grazie ai suoi mille trucchetti per risolvere problemi tecnologici di vario genere, è stato letteralmente aggredito on-line per aver sbagliato una frase, raccontando dell’aggressione subita su un mezzo pubblico da parte di un immigrato. Apriti cielo! E figuriamoci se le contestazioni che difendevano i principi di civiltà sull’immigrazione erano scritte con un linguaggio civile.

Molto peggio è andata ad Alfredo Mascheroni, così come racconta R.it (cronaca di Parma). Una mattina si sveglia e scopre di essere completamente sommerso di insulti e minacce. Qualcuno ha postato un messaggio sul suo profilo nel quale lo accusa di essere un pedofilo. E  il branco non si pone il dubbio, né ha voglia di rifletterci. Però, sì, ha l’irrefrenabile tentazione di lapidarlo, anche se lui è solo un barista 24enne che con la pedofilia non ha nulla a che vedere. Solo qualcuno s’è poi scusato, mentre la massa seguita imperterrita a demolirgli la reputazione e la vita. Il principio d’innocenza non conta, in rete funziona al contrario: devi poter dimostrare di essere innocente, altrimenti nessuna pietà.

Infine c’è la questione del social marketing e della trappola del buonismo. Qualcuno racconta una storia triste, i cui protagonisti sono per lo più fantomatici cari familiari che combattono o hanno combattuto con il cancro. Sarebbe da veri insensibili non condividere. Le persone adesso si sentono sollevate e più buone anche per un like. Preferiscono un click e condividi piuttosto di accendere per qualche minuto il cervello. Dietro c’è un bel meccanismo di compensi per reazione su parole chiave utili ad associazioni fameliche che ingaggiano agenzie di comunicazione senza scrupoli, senza inibizioni, senza freni; neanche di fronte alla sofferenza altrui.

Sono così sopraffatto dalla scomparsa del Maestro Umberto Eco. Era il capitano dei guardiani alla stupidità, e senza di lui, chi ci sarà ad arginare questo fiume in piena?