Social network

AssetProtection. Ragazzi di oggi, generazione online a tutti i costi

di Alberto Buzzoli, Socio ANSSAIF – Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria |

Le foto di Doina Matei al mare su Facebook, le aggressioni gratuite postate sul web, l’ansia della connessione always on sono segnali di una regressione comunicativa che va verso la chiusura

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Sono tante le stranezze di questo nostro tempo. Ed è anche vero che da adulti, forse sotto il peso della responsabilità, forse perché il tempo per guardarsi intorno diminuisce progressivamente con l’aumentare degli impegni, si fa più fatica ad accettare e comprendere il cambiamento. Ma questa nostra vita, fatta di persone ed eventi veri, non capisco proprio perché i ragazzi la vogliano portare a tutti i costi online.

Prendiamo il caso Doina Matei, la donna che uccise nel 2007 la giovane Vanessa Russo nella metro di Roma conficcandole la punta dell’ombrello nell’occhio. Dopo otto anni di carcere – la pena è di 16 anni di reclusione – ha ottenuto la semilibertà. Poi, a distanza di qualche giorno, la revoca per aver pubblicato delle fotografie che la ritraggono libera e sorridente su Facebook. Non voglio entrare nel merito della scelta del magistrato, giusta sbagliata che sia. Sono piuttosto incuriosito dalle motivazioni che spingono una ragazza, con due figli e dopo otto anni di reclusione, a portare in cima alle priorità quella di aggiornare il suo profilo su un social network.

Sempre in questi giorni sui social sta facendo il giro del mondo un video, ormai virale, girato a Rotterdam. Un cretino, certamente non ancora diciottenne, aggredisce una coetanea per la strada. Le arriva alle spalle e le dà un calcio sulle gambe, tanto forte da farla cadere a terra. Quando la ragazza si rialza, prova a reagire. Per tutta risposta, il giovane la sbatte nuovamente a terra con un altro calcio e le mette un piede in testa. Bella vittoria, complimenti. E i suoi compagni di avventure, cosa fanno? Ridono. Come ride lui. Anche in questo caso tenterò, con maggior difficoltà, di astenermi dal condividere considerazioni morali in merito all’accaduto. E ancora una volta, ciò che mi incuriosisce maggiormente è la ragione per la quale questo video è finito in rete. Anche se adesso sta circolando sotto forma di denuncia, è stato uploadato per vanto.

Tra l’altro il tema delle aggressioni gratuite, purtroppo non è nuovo. Ricordate il terribile knocking out game? Tra il 2013 ed il 2014 è nato e si è diffuso un gioco terribile: da una scommessa in rete tra un gruppo di partecipanti, vinceva chi dimostrava di aver atterrato al primo colpo una persona. Così un povero malcapitato, ignaro passante per la strada, si prendeva un pugno del tutto gratuito, così violento da mandarlo KO. Non sono mancate le vittime negli USA come anche in Italia, spesso con conseguenze fisiche e psicologiche gravi.

L’ultimo social che va di moda tra i giovani è Snap Chat; l’avete provato? Si realizzano dei video corti, di pochi secondi, e si spediscono in rete, magari accessoriati con qualche emoticon. E lì restano per 24 ore a raccontare la storia degli utenti. Mi fa paura pensare che i giovanissimi possano credere che un modello di comunicazione così sintetico, semplice, possa essere adeguato a descrivere chi sono, le loro emozioni, la realtà che li circonda. Ho piuttosto la sensazione che tutte quelle smorfie che circolano online siano invece un grido silenzioso di solitudine, un modo un po’ maldestro, pensando di mettersi in primo piano, per esorcizzare il terrore delle barriere di incomunicabilità, relazionali e fisiche che si stanno ergendo.

Nutro dei dubbi anche circa la positiva influenza di Wikipedia sui giovani studenti. Ammetto di fare una piccola donazione mensile, perché credo che la divulgazione della cultura rappresenti una valida azione a lungo termine per correggere buona parte dei disastri nel mondo. Ma la difficoltà nel compiere anche una ricerca scolastica, faceva in modo che i contenuti, una volta acquisiti, permeassero nella memoria. E più era difficile trovare informazioni e più, una volta acquisite, queste scendevano in profondità, radicandosi in modo forte nel sapere individuale.

Ormai siamo disposti a fare un po’ di tutto in rete, persino la spesa al supermercato. E crediamo che il fatto di poter pubblicare ci renda tutti autori, editori di noi stessi. Forse lo facciamo per noia, forse perché anche se viviamo nelle città, dentro ci sentiamo tutti quanti un po’ naufraghi spersi su di un’isola deserta e l’ultimo tentativo che ci resta per chiedere aiuto è quello di lanciare dei brevi messaggi (digitali) da inserire nelle bottiglie di vetro, affidandole alle correnti del mare nella speranza che qualcuno venga a salvarci. Ma al follower difficilmente importerà qualcosa, perché ascolta solamente per far vedere che c’è, e piano piano anche lui tenterà di convincerci a leggere il suo messaggio.

In un momento storico nel quale il diritto alla libertà d’espressione è oro per chi ha combattuto per garantirlo, non so se faccia tanto bene alla nuova generazione. Sta dimostrando abbastanza chiaramente di non sapere che farsene. Proviamo quindi a restituire un po’ di valore alla comunicazione e dignità al linguaggio, vittima ingiustificata di terribili violenze grammaticali. Altrimenti le future generazioni perderanno la capacità di comprendere il contesto attraverso l’analisi e, progressivamente nel tempo, la capacità di scrivere e poi, ancora più in là, perderanno persino l’uso della parola. Perderanno la memoria storica oltre al grande piacere della lettura (di testi scritti da chi lo sa fare).

E’ come se avessimo imboccato una traiettoria nefasta che mi sembra rivolta verso gli albori della storia dell’uomo piuttosto che al suo futuro, eppure i ragazzi vogliono restare online, connessi a tutti i costi.