eHealth: quali cambiamenti organizzativi e culturali con l’introduzione del Fascicolo sanitario elettronico?

di Flavio Fabbri |

Franco Pizzetti (All4i): ‘Un salto culturale importante per la nostra sanità, ma senza linee guida. Se abbiamo delle best practice è solo per merito del Garante privacy. Agli investimenti in eHealth non sono seguiti interventi normativi all’altezza’.

Italia


Sanità elettronica

In questi giorni il Consiglio dei Ministri ha presentato il “Decreto del Fare“, un provvedimento recante misure urgenti in materia di crescita e sviluppo che in gran parte ha accolto, assieme al Ddl Semplificazioni, alcune raccomandazioni che la Commissione europea ha rivolto proprio al nostro Paese. Per la sanità, sono state prese decisioni storiche, tra cui l’eliminazione di tutte le certificazioni mediche per impieghi pubblici e privati, l’accelerazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), l’obbligo per le regioni di presentare un piano di progetto sanitario elettronico all’Agenzia per l’Italia digitale entro la fine dell’anno in corso.

 

Proprio sul significato di fascicolo sanitario digitale, sul suo utilizzo, sul ruolo dei medici, degli operatori sanitari, delle amministrazioni pubbliche e dei cittadini stessi, si è svolto ieri a Roma, presso la LUISS Business School, il convegno “Fascicolo Sanitario Elettronico. Strategie di attuazione e impatto sugli attori coinvolti: Istituzioni, Aziende sanitarie e cittadini“, promosso dalla stessa LUISS, Federsanità Anci e Ordine dei Farmacisti di Roma. Un incontro in cui si è discusso, tra l’altro, dei cambiamenti culturali ed organizzativi che la diffusione dell’ehealth ha determinato e sta determinando, sia a livello di aziende sanitarie locali, sia di strutture ospedaliere. Dal processo di cambiamento non sono rimaste esenti le pubbliche amministrazioni che dovranno favorire il nuovo corso e coinvolgere i cittadini nell’utilizzo dell’FSE.

 

Secondo il nuovo decreto, i progetti regionali relativi anche all’FSE, dopo approvazione entro il 31 dicembre 2013 da parte del ministero della Sanità e dell’Agenzia per l’Italia Digitale, dovranno trovare attuazione entro la fine del 2014. Tra questi, sicuramente ci sono “i progetti degli enti pubblici che hanno fatto meglio e che si trovano in un’indiscussa posizione di vantaggio, come nel caso dell’Emilia-Romagna e della Lombardia”, ha evidenziato Massimo Mangia, responsabile eHealth di Federsanità ANCI e qui in veste di moderatore del convegno.

 

Cosa si intende per fascicolo sanitario elettronico?

 

C’è grande entusiasmo attorno alla tecnologia e le sue diffuse applicazioni. Ogni novità è portata in trionfo, attribuendoli doti miracolose ancora prima di averla utilizzata. Spesso di fronte all’innovazione manca una cultura informatica di base che ne minimizza le proprietà e ne limita i potenziali effetti positivi. Ecco perché bisogna saper usare i nuovi mezzi di comunicazione elettronica, conoscerne i linguaggi e le infinite sfumature culturali quante sono le applicazioni possibili. Oltre all’utilizzo del mezzo, poi, occorre in una seconda fase conoscere il grado di soddisfazione di cittadini, professionisti, addetti ai lavori, amministratori pubblici, che con questa tecnologica sono venuti a contatto.

 

Nel caso dell’FSE, su internet vengono raccolte in forma dematerializzata tutta una serie di informazioni relative ai pazienti. Dati che poi possono essere elaborati e conservati in base alle leggi vigenti sulla privacy. Il nostro rapporto con la Pubblica Amministrazione, con la sanità e i medici (certificati, analisi, esami, domande, interventi clinici) producono dati che sono immagazzinati in forma di bit in caselle informatiche disposte in rete. “Chi nasce oggi avrà tra qualche anno un fascicolo sanitario piuttosto corposo“, ha spiegato Mauro Moruzzi, Direttore Generale CUP 2000, società di eHealth ed eCare della Regione Emilia-Romagna. Dopo il decreto ministeriale e l’avvio dei piani regionali, c’è da procedere all’organizzazione dei dati e questo è possibile, in termini di interfaccia grafica, grazie ad una MyPage, con tutte le voci principali relative alla nostra storia sanitaria. “In Emilia- Romagna – ha specificato Moruzzi – 4,3 milioni di persone hanno già un account per accedere al proprio fascicolo sanitario elettronico offerto dal servizio sanitario regionale dell’Emilia-Romagna. Da un lato si interagisce con il servizio sanitario regionale, all’interno del quale fare richiesta di certificati e visite, prenotare e pagare i servizi, dall’altro, invece, si ha a che fare con la situazione sanitaria personale e sociale, più aperta alla comunicazione e alla condivisione delle informazioni, con personale specializzato, parenti, amici, contatti sulla rete, sempre nei limiti disposti dalla privacy“.

 

Il fascicolo sanitario elettronico è sotto la responsabilità diretta del cittadino, a differenza della Cartella Clinica Elettronica (CCE) di cui risponde il medico e funzionale ad una gestione organica e strutturata dei dati riferiti alla storia clinica di un paziente in regime di ricovero o ambulatoriale, garantendo il supporto dei processi clinici (diagnostico-terapeutici) e assistenziali nei singoli episodi di cura e favorendo la continuità di cura del paziente tra diversi episodi di cura afferenti alla stessa struttura ospedaliera mediante la condivisione e il recupero dei dati clinici in essi registrati. Se in fase iniziale dagli atomi si è passati ai bit, per la reale diffusione del nuovo strumento: “La nuova sanità dovrà riuscire a trasformare i bit in atomi di cura – ha affermato Moruzzi – per affermarsi e coinvolgere i cittadini in un nuovo processo di innovazione tecnologica e culturale“.


Quasi tutto il centro nord ha attuato ormai piattaforme FSE. Grazie a tale tecnologia si possono dematerializzare decine di milioni di documenti clinici, circa 65 milioni in Emilia-Romagna, per un risparmio pari a 30 milioni di euro. Risultato diretto di un minor utilizzo di personale, della riduzione di materiale di ordinario utilizzo e della spesa regionale per innovazione nei processi. Per ogni milione di euro investito in dematerializzazione, si risparmiano soì 2 milioni di costi per il personale e 10 milioni di euro per quelli relativi ai processi.

 

L’FSE in Europa e le best practice italiane

 

A partire dal 2009, il ministero della Salute ha coordinato il progetto pilota di quello che sarebbe poi divenuto l’FSE. C’era da creare una rete nazionale, di modo che ogni cittadino potesse utilizzare il proprio fascicolo elettronico in ogni regione, indipendentemente dalla provenienza e i percorsi individuali. Un progetto di interoperabilità su larga scala, che poi si è riversato nel progetto europeo epSOS, Smart Open Services for European Patients, dedicato proprio ai fascicoli sanitari elettronici. “Il patient summary, la cartella clinica elettronica, la prescrizione elettronica sono servizi che possono contribuire a rendere più sicure e appropriate le prestazioni, mettendo a disposizione dei professionisti dati e informazioni utili per una più efficace assistenza sanitaria. Il significativo incremento della mobilità dei cittadini europei ha reso indispensabile ricercare soluzioni che facilitino l’interoperabilità dei sistemi di sanità digitale attualmente in uso nei Paesi e nelle Regioni d’Europa, rendendo nel contempo disponibili i servizi a favore dei cittadini laddove essi si trovino“, ha affermato Paola Tarquini, Agenzia per l’Italia Digitale e dirigente Dipartimento per la Digitalizzazione della PA e l’Innovazione Tecnologica.

 

La regione Lombardia ha rappresentato l’Italia in un tavolo internazionale, organizzato proprio per accogliere le necessità dei cittadini europei di spostamento e accesso a servizi in tutta l’Unione. Per la rete italiana serviva un’infrastrutture tecnologica, utile a far viaggiare i dati, ma anche a standardizzare le informazioni e dare un valore semantico ai dati. Ad eseguire gli interventi necessari è stato chiamato il CNR, sia a livello nazionale, sia regionale. Il Decreto Fare ha aggiunto molto alla norma istitutiva del fascicolo, obbligando di fatto le regioni mancanti a presentare il proprio progetto di FSE.

Il decreto consente alle regioni di aiutare altri enti locali, andando a sviluppare sinergie locali e interregionali per l’attivazione dei servizi informatici connessi all’FSE. Chi è già pronto può partire, gli altri si devono però adeguare all’innovazione, adottando magari modelli già affermati e recuperando il tempo perduto.

 

Si nota subito una grande differenza a livello organizzativo tra le regioni italiane. Il tetto di spesa è diverso e le prestazioni variabili, in termini di efficienza e qualità. Queste considerazioni, a seconda delle risorse finanziarie disponibili, favoriscono l’innovazione o meno, anche a livello manageriale. La gestione dei pazienti, per le regioni meno attrezzate, richiede uno sforzo consistente in termini di elaborazione e condivisione dati che non sempre porta dei risultati concreti, annullando ogni possibilità di risparmio reale“, ha Sottolineato Enzo Chilelli, direttore generale Federsanità ANCI.

 

La sanità è governata dalle regioni. Le best practice delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, del Nord Est e della Toscana, anche se a livello sperimentale quest’ultima, sono le conseguenze pratiche di investimenti oculati, grande professionalità e competenza degli operatori. “L’FSE non è più solamente un discorso tecnologico, ma anche culturale. La sanità deve saper sfruttare al meglio l’ICT per assicurare livelli sanitari di qualità e ottimizzazione delle risorse. C’è da essere capaci di governare i processi informativi ed innovativi. Dobbiamo garantire l’accesso di tutti ai servizi, soprattutto nel Meridione, dove in molti ne sono esclusi. I risparmi sanitari rischiano di ricadere sulla popolazione, in termini di tagli, escludendone una larga parte di pazienti dalle cure di base“, ha osservato Tonino Pedicini, direttore generale dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori ‘Pascale’.

 

La sanità elettronica deve garantire la possibilità di aumentare l’inclusione sociale, deve saper gestire in trasparenza ed efficienza gran parte dei processi organizzativi del sistema, disporre quindi di una forte integrazione fra strumenti diagnostici, sistemi informatici e sistema organizzativo sanitario locale, regionale e nazionale. L’introduzione dell’ICT nella propria struttura rischia, se non governata, di far collassare tutti i processi pregressi. Per far fruttare l’innovazione servono competenze, autonomie, standard, strategie chiare, trasparenza, professionalità, padronanza dei linguaggi, interoperabilità diffusa. In Italia è pieno di reti locali, ma non sono interconnesse. Il rischio di mancare l’appuntamento con la storia e l’Europa è ancora attuale.

 

L’azione di governo ci ha dato una spinta forte alla realizzazione dell’FSE e dobbiamo sfruttarla a pieno per realizzare un piano nazionale concreto. Secondo Angelo Rossi Mori, Unità di Sanità elettronica dell’Istituto Tecnologie Biomediche del CNR, “Si devono implementare i nuovi modelli organizzativi, a partire dalle infrastrutture che stanno nascendo in tutta Italia. Sarà possibile gestire le malattie croniche, dimettere pazienti seguendoli in home care, far interagire strutture ospedaliere e medici di base, gestire la mobilità dei pazienti, integrare modelli di cura e molto altro. Tutte linee guida già presenti nel documento di lancio del 2007, dedicato al fascicolo sanitario personale, dove il termine elettronico era stato volontariamente omesso, ma che di fatto anticipava l’attuale modello FSE“.

 

La sanità è un settore che ha un elevato valore sociale, ma anche economico, solo in Lombardia vale 17 mld di euro. L’FSE ha diverse funzioni: sanitarie-diagnostiche, di ricerca e organizzative. “In Lombardia il cittadino è al centro del sistema, sia in termini di cure e assistenza, sia per la raccolta di dati su percorsi clinico assistenziali in atto. I numeri del Sistema Informativo Socio-Sanitario-SiSS della Lombardia ci dicono che i cittadini hanno attivato 6 mln di FSE e che i numeri sono in aumento. Al crescere dell’innovazione cresce la domanda di servizi e quindi gli investimenti e la spesa in sanità elettronica. Il sistema informativo richiede territorializzazione, semplificazione, empowerment e governance per poter dare i suoi frutti“, ha detto Antonio Barone, responsabile Governo Servizi SISS Regionali – Lombardia Informatica.

 

Serve più o meno privacy? Ruolo del Garante e del ministero della Salute

 

Nel tempo, da più parti, è stata avanzata l’ipotesi che la normativa sulla privacy non aiuta lo sviluppo di una efficiente sanità elettronica in Italia, per i severi vincoli di tutela dei dati personali che impediscono alle stesse strutture predisposte alla cura del paziente di elaborare i dati e soprattutto di condividerli in rete per il miglioramento stesso dei servizi.

in Italia abbiamo 4 regioni dove possiamo parlare concretamente di FSE. Per il resto possiamo solo constatare il ritardo spaventoso di cui soffre il Paese“, ha commentato nel suo intervento Francesco Pizzetti, presidente di Alleanza per Internet ed ex Garante per la Protezione dei Dati Personali. “In un contesto di per sé difficile e frammentario, è nato un processo innovativo già mancante di linee guida e per di più, lì dove si sono radicate delle best practice, come in Lombardia ed Emilia-Romagna, i sistemi adottati dalle regioni sono diversi fra loro e dunque difficilmente integrabili. Il Garante della privacy ha fatto un enorme lavoro di supplenza, in un settore delicato, fin dal 2006.I risultati ottenuti oggi non sono neanche immaginabili senza il lavoro svolto negli anni dal Garante privacy, che ha saputo colmare il vuoto lasciato dal mancato intervento del ministero della Sanità. Da allora sono stati fatti investimenti importanti, a cui però non sono seguiti interventi normativi all’altezza. L’FSE previsto dal Decreto Fare è stato concepito in modo complesso, con dei compiti nuovi, di governo, di valutazione della spesa e di organizzazione“.

 

Se l’FSE che deve diventare strumento di governo e di analisi economica da chi deve essere gestito? Solo dalla sanità? Dagli enti locali? Dalle strutture ospedaliere? Deve essere lasciato alla volontà dell’individuo, se vuole o no attivarlo? Forse va ripensato nel suo complesso“, ha suggerito Pizzetti. “Un conto è la funzione di controllo sociale per i decisori politici e pubblici, un’altra cosa è la sua funzione prettamente sanitaria e medica. Lo strumento dell’FSE è un salto culturale fondamentale, ma va evidentemente rafforzato e rivisto nelle sue funzioni. L’FSE è utile al medico per orientare le scelte. E’ utile come strumento di prevenzione e azioni sanitaria e per l’analisi generale delle condizioni del malato. Il problema è quando si vuole caricare su di esso le scelte di programmazione economica, il controllo di efficacia della struttura e tanto altro. Così si rischiano disfunzioni operative“, ha ammonito l’ex Garante privacy, che ha ricordato, come “solo i termini di privacy hanno reso possibile un avanzamento del settore in termini di trasparenza, chiarezza e semplicità“.

 

In risposta a Pizzetti, Rossana Ugenti, direttore generale del Sistema informativo e statistico sanitario del Ministero della Salute, ha ricordato che le linee guida in questione, oggetto di intesa Stato-Regioni, sono state emanate dal ministero già nel 2010. Ogni anno le regioni devono seguire tali norme per ottenere finanziamenti e il ministero verifica, controlla e assiste. “Per finalità diverse dalla cura, il Tavolo Stato-regioni ha lavorato ad una norma ad hoc per il monitoraggio dei livelli minimi di assistenza, che presupponeva l’accesso ai dati. Informazioni necessarie per definire azioni da porre in essere per sorreggere il sistema sanitario. La norma è disposta nella legge 221 di fine 2012. L’articolo 122 in questione prevede l’emanazione di un decreto attuativo a cui tuttora si sta lavorando. Il 25 ottobre prossimo entra in vigore la direttiva sui rapporti transfrontalieri e anche per lo scambio di informazioni sanitarie. Si stanno definendo proprio in questi giorni le norme base del modello europeo, che chiederà direttamente ai medici e agli operatori un parere diretto. Non sarà semplice e l’Italia non è l’unico paese in difficoltà. Le regioni sceglieranno il modello più idoneo alle proprie linee organizzative in base al proprio livello di autonomia. Il ministero, a riguardo, ha l’intenzione di condividere con le regioni le linee guida relative all’FSE e alla sanità elettronica in generale per uno sviluppo della piattaforma il più omogeneo ed equilibrato possibile“, ha confermato Ugenti.

 

In conclusione, Franco Fontana, direttore della LUISS Business School, ha voluto sottolineare la centralità di un approccio collaborativo all’argomento della sanità elettronica e dell’FSE, sostenendo che “Serve un grande lavoro interdisciplinare che coinvolga professionisti ed esperti di diverse aree del sapere. Ciò che manca è la condivisione di informazioni e di linguaggi. La comprensione di questi ultimi è centrale nella scelta tecnologica ed organizzativa”. “La sanita vede finalmente un salto culturale e tecnologico storico, in relazione al contesto europeo – ha infine dichiarato Fontana – non tutto va male, c’è ovviamente molto da fare, ma i miglioramenti sono evidenti e vanno messi in comune, spronando all’innovazione chi è rimasto indietro. L’obiettivo non è fare risparmio e basta, semmai ottenere migliori risultati da un punto di vista clinico, organizzativo, della sicurezza e nella tutela del paziente. Serve uno sforzo organizzativo e collaborativo di tutti, che implichi nuovi modelli formativi e culturali di riferimento“. La LUISS, a tal proposito, ha ricordato Fontana prima di salutare i partecipanti al convegno, è disponibile ad impegnarsi sul fronte formativo, con la nascita di un Osservatorio dedicato e nuovi master per creare e preparare figure professionali nuove che sappiano guidare i nuovi processi di cambiamento nel Paese.