eBook, l’arringa finale di Apple contro l’accusa di cartello: ‘Imputazioni fuorvianti e senza fondamento’

di Alessandra Talarico |

Secondo l’avvocato della società Orin Snyder non ci sarebbero prove a sostegno della tesi del Governo secondo cui le azioni di Apple avrebbero rappresentato uno schema ‘concertato, illegale’ e non una normale pratica di business.

Stati Uniti


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L’accusa di aver creato un cartello con gli editori per fissare i prezzi degli eBook a un livello superiore a quello stabilito da Amazon, è “fuorviante” e non è basata su prove concrete. E’ questa la tesi sostenuta dai legali di Apple nell’arringa finale del processo per sospetto cartello che si aperto tre settimane fa negli Usa.

Nel corso del dibattimento, il Dipartimento di Giustizia ha presentato una serie di email a sostegno delle sue tesi, tra cui una scritta da Steve Jobs, che proverebbe come Apple, dopo il lancio del suo iPad, aveva un obiettivo preciso: aumentare il prezzo dei libri digitali, ‘facendo fuori’ Amazon (leggi articolo Key4biz).

Secondo il Dipartimento di Giustizia USA, gli editori ritenevano troppo bassi i prezzi fissati da Amazon per le novità e i best-seller, e l’accordo con Apple ha consentito di aumentarli fino a 14,99 dollari.

La compagnia, allora guidata da Steve Jobs, ha lanciato nella primavera del 2010 l’iPad, da allora, “i prezzi della maggior parte degli eBook sono aumentati di oltre il 15%”, ha dichiarato, dati alla mano, l’avvocato del DoJ Lawrence Buterman davanti al tribunale di New York.

 

Questi aumenti, secondo il legale, avrebbero causato un danno economico ai consumatori per centinaia di milioni di dollari.

Ma secondo l’avvocato della società Orin Snyder il Governo non sarebbe riuscito a provare che le azioni di Apple avrebbero rappresentato uno schema “concertato, illegale” e non una normale pratica di business.

“Questa nuova industria, nata da meno di due anni, era nel pieno di un cambiamento fondamentale” e “Apple entro in rivolta e conflitto”, ha aggiunto Snyder.

 

Prima dell’ingresso del gruppo di Cupertino nel settore nel 2010, Amazon controllava circa il 90% del mercato dei libri digitali. Gli accordi tra editori e rivenditori venivano presi all’ingrosso: i retailer come Amazon, cioè, acquistavano i libri dalle case editrici e quindi stabilivano il prezzo di vendita ai consumatori. Amazon, ad esempio, acquistava gli eBook a 10 dollari e poi li rivendeva a 9,99 dollari.

Ma gli editori alla ricerca di nuovi business model che permettessero loro di incrementare i profitti, iniziarono a ritardare l’uscita in digitale dei titolo più popolari. Un ritardo che Amazon ha descritto come “un’assoluta dichiarazione di guerra”.

In vista del lancio del suo iBook store , Apple cominciò a incontrare gli editori dal dicembre 2009. Incontri che Snyder fa rientrare nelle normali negoziazioni d’affari, senza alcun intento di ‘collusione’. L’obiettivo, secondo l’avvocato, era quello di lanciare il bookstore con nuovi eBook e a prezzo competitivi.

A differenza di Amazon, Apple scelse il modello di rivendita stile ‘agenzia’, in cui gli editori fissavano il prezzo e la società tratteneva una commissione del 30%, con la garanzia, però, che i libri non venissero venduti a prezzi più bassi ad altri rivenditori.

Questo tipo di clausola, secondo il Governo, sarebbe stato un ‘veicolo’ dello schema di Apple per dare agli editori la possibilità di aumentare il prezzo dei libri e di cambiare le loro relazioni commerciali con Amazon tutti insieme.

 

Nel 2011, la quota di Amazon nel settore degli eBook era scesa al 63%.

 

I cinque editori coinvolti – Harper Collins, Hachette, Macmillan, Simon & Schuster e Penguin – hanno patteggiato e saranno sentiti solo come testimoni (Leggi Articolo Key4biz).

 

Il verdetto del Giudice Denise Cote è atteso per le prossime settimane.