Libri digitali, gli editori ricorrono contro il decreto Profumo: ‘Non tiene conto delle carenze infrastrutturali delle scuole’

di Alessandra Talarico |

Il ricorso al TAR per contestare tempi e i modi di diffusione dei libri digitali nelle scuole, la loro adozione 'forzata' nelle classi capiciclo e l'abbattimento dei tetti di spesa delle scuole.

Italia


Scuola digitale

Il decreto Profumo, che dovrebbe traghettare la scuola italiana nell’era dell’apprendimento digitale, non piace all’Associazione Italiana Editori (AIE), che ha presentato ricorso al TAR contestando l’adozione “forzata” di testi digitali imposta dal decreto per le classi ‘capiciclo’ (la prima classe della scuola primaria e secondaria) e, in secondo luogo, l’abbattimento previsto dei tetti di spesa del 20%-30% già dall’anno 2014/2015.

 

L’AIE, precisa il presidente Giorgio Palumbo, non ce l’ha certo con i libri digitali, ma contesta “i tempi e i modi di realizzarne la diffusione, che sono in contrasto rispetto alla legge votata dal Parlamento e non tengono conto delle carenze infrastrutturali della scuole”.

 

Il decreto ministeriale contestato, firmato dall’ex ministro Francesco Profumo, prevede tra le sue principali novità la disposizione per i Collegi dei docenti di adottare, dall’anno scolastico 2014/2015, solo libri nella versione digitale o mista. Un’innovazione che riguarderà inizialmente le classi prima e quarta della scuola primaria, la classe prima della scuola secondaria di I grado, la prima e la terza classe della secondaria di II grado.

Tra i benefici messi in conto dal decreto, oltre all’alleggerimento degli zaini dal peso, spesso eccessivo, dei libri di testo in formato cartaceo, anche un notevole risparmio per le famiglie, stimato tra il 20% e il 30% già per il prossimo anno scolastico.

 

Ma gli editori, contrariamente a chi giudicava il passaggio ai libri digitali fin troppo lento, contestano il decreto perchè, ha spiegato Palumbo, “viola i diritti patrimoniali di autori ed editori, espressamente tutelati dalla legge, creando al tempo stesso un danno di sistema a tutta la filiera – si pensi a stampatori, cartai, promotori, ma anche agli stessi autori – peraltro in modo arbitrario e giuridicamente illogico”.

Due, nello specifico, i punti del decreto impugnati: innanzitutto si contesta quella che viene definita una “adozione digitale forzata a dispetto delle autonomie delle scuole e delle stesse capacità tecniche di scuole, insegnanti e alunni ad essere pronti già per l’anno 2014/2015″.

In secondo luogo, AIE ritiene che nello stimare un abbattimento dei tetti di spesa per tutte le classi delle scuole secondarie del 20-30% già dall’anno 2014/2015, “…l’ex ministro si è basato sul falso presupposto che il passaggio al digitale comportasse un abbattimento dei costi di produzione, indimostrato peraltro. Al contrario esso richiede altre professionalità e altri costi e sconta un’iva di 17 punti percentuali (forse da luglio di 18) in più rispetto ai libri di carta. Il danno per noi e per tutta la filiera è ancora maggiore se si considera che dobbiamo stare in questi tetti di spesa non solo per i nuovi libri digitali ma anche per tutti gli altri già in utilizzo”.

 

Contestate dall’AIE anche le previsioni relative ai possibili risparmi per le famiglie “a maggior ragione se si considera che in base alla filosofia del decreto Profumo il risparmio sui contenuti dovrebbe essere da loro investito in tablet e device”.

 

Bisognerà ora attendere di sapere se il TAR accoglierà il ricorso, ma nel frattempo – mentre il mondo corre veloce verso il digitale – l’Italia rischia di impantanarsi ulteriormente in logiche corporative che, fermo restando i ben noti problemi che affliggono la scuola in Italia (partendo dagli edifici non agibili alla precarietà degli insegnanti) e la necessità di preservare l’occupazione per tutta la filiera dell’editoria, nulla sembrano avere a che fare con la sacrosanta necessità di migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento da cui dipende, non dimentichiamolo, la preparazione dei cittadini e della futura classe dirigente del Paese.