OTT e tasse, Google fa un passo indietro. Eric Schmidt: ‘Fate le leggi e le rispetteremo’

di Raffaella Natale |

Il presidente esecutivo di Google parla a Cambridge, dopo le dichiarazioni di David Cameron al WEF: ‘I tempi sono cambiati. Non possiamo più fare solo gli interessi degli azionisti’.

Europa


Eric Schmidt

“Pagheremo ciò che dobbiamo all’Erario britannico”. Con queste le parole il presidente esecutivo di Google, Eric Schmidt, ha replicato alla minaccia, non molto velata, lanciata dal Premier britannico, David Cameron, a Davos nel suo intervento al World Economic Forum (Leggi Articolo Key4biz).

 

Intervenendo a una conferenza all’università di Cambridge, il capo della più ricca web company del mondo, ha detto chiaramente che l’azienda “non si opporrà a un’eventuale azione del governo UK volta a inasprire il regime fiscale”.

La società, grazie a una sede nel paradiso fiscale delle Bermuda, si sottrae al pagamento delle tasse nel Regno Unito, ma anche negli altri Paesi europei, ricorrendo al cosiddetto meccanismo di profit shifting.

Una procedura ormai nel mirino di diversi Stati, della Ue e adesso anche dell’OCSE (Leggi Articolo Key4biz).

 

Si tratta di una pratica effettivamente legale, ma molto discutibile dal punto di vista etico, che sfrutta cavilli e ‘buchi’ delle leggi tributarie, per ottimizzare i guadagni e far pagare imposte al minimo.

Una pratica cui ricorrono tante, troppe, multinazionali e soprattutto web company come Google, ma anche Amazon, Facebook, eBay e Apple.

La Gran Bretagna ha aperto un’inchiesta a riguardo che coinvolge anche la catena di caffetteria americana Starbucks (Leggi Articolo Key4biz). Ma anche in Italia le autorità tributarie stanno indagando (Leggi Articolo Key4biz).

 

A Davos, Cameron l’ha detto chiaramente: “Gli inglesi sono stanchi. Se queste aziende pensano di poter continuare a sottrarsi al pagamento della propria parte (di tasse, ndr) e continuare a vendere i loro prodotti nel Regno Unito, ricorrendo a meccanismi sempre più complessi per ridurre il carico fiscale, dico loro svegliatevi (‘wake up and smell the coffee’ in inglese, con chiaro riferimento a Starbucks), perché gli inglesi ne hanno abbastanza”.

Queste pratiche commerciali, ha detto ancora Cameron, non privano solo gli Stati di entrate necessarie per fornire servizi essenziali, ma danneggiano le aziende corrette sulle quali ricade tutto il carico fiscale.

 

Il Premier britannico ha fatto anche di più, ha annunciato che con la presidenza del G8 verrà portata avanti un’azione globale contro le pratiche aggressive di evasione ed elusione fiscale. 

 

Google si sente alle corde. Nel 2012, l’azienda di Mountain View ha traghettato alle Bermuda operazioni per 6 miliardi di sterline, pagando solo 6 milioni nel Regno Unito d’imposte sulla società.

 

Per Google, la sede britannica è solo ‘ausiliaria’ e non una struttura operativa mentre la divisione irlandese serve solo a raccogliere le entrate pubblicitarie del Regno Unito e altri Paesi. L’azienda paga le royalties a un’altra controllata irlandese che poi trasferisce i pagamenti alla holding olandese che ha sede fiscale alle Bermuda.

Grazie a questa pratica, Google s’è ‘legalmente’ sottratta al pagamento di circa 200 milioni di sterline di tasse su 2,6 miliardi di revenue realizzate nel Regno Unito.

 

Cameron ha detto: “Non c’è niente di sbagliato nella pianificazione fiscale … ma ci sono alcune forme di evasione che sono diventate così aggressive che penso sia giusto dire che sollevano una questione morale”.

 

Eric Schmidt ha ammesso che la società è consapevole che “le cose sono cambiate e non sono più quelle di prima”.

“Sarà sempre più difficile per le aziende concentrarsi semplicemente sugli interessi degli azionisti”, che sono i beneficiari di queste pratiche di evasione fiscale che consentono di ottimizzare al massimo i profitti.

 

“La ragione per cui non potranno più farlo sono i loro dipendenti. Stiamo in Google perché condividiamo l’idea di rende il mondo un posto migliore e non per fare gli interessi degli azionisti”.

Il modello tradizionale di corporate “è ormai superato”, ha concluso Schmidt, “adesso i dipendenti sono informati su tutto ciò che fa l’azienda per cui lavorano”.