Streaming legale: mercato da 309 mln di dollari ma utili ancora modesti

di Raffaella Natale |

Da Coca-cola per Spotify alla holding Access Industries per Deezer, gli investitori scendono in campo ma si cerca ancora la giusta via per rendere redditizi i servizi.

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Lo streaming legale di musica e video attira sempre più investitori, ma se è vero che questi servizi sono in pieno sviluppo, è altrettanto vero che manca ancora il giusto modello d business per renderli redditizi.

Questa settimana, la holding del russo-americano Len Blavatnik, Access Industries, che già possiede la casa discografica Warner, ha ufficialmente annunciato di aver iniettato 130 milioni di dollari (100 mln di euro) nella francese Deezer. Il gigante della Coca-Cola si appresta a investire 10 mld di dollari in Spotify.

E, stando a indiscrezioni riportate dai media americani, Apple sarebbe in trattative con alcune etichette per ottenere i diritti necessari per il lancio del proprio servizio.

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rapida crescita di queste piattaforme che, spesso nate come illegali, consentono di ascoltare musica o guardare video senza effettuare alcun downloading.

Tra i più importanti, Spotify vanta oltre 15 milioni di utenti attivi nel mondo, Deezer 26 milioni, l’americana Pandora 58 milioni. Il colosso YouTube, acquistato nel 2006 da Google, ha annunciato più di 800 milioni di utenti.

 

Per quanto riguarda il cinema e le serie Tv, al momento non ci sono ancora, in termini di notorietà, piattaforme equiparabili a Spotify e Deezer, a parte la statunitense Netflix che, dopo il Regno Unito e l’Irlanda, presto potrebbe arrivare anche in Francia.

Secondo il parere di un esperto, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, lo sviluppo dello streaming per il cinema è frenato in particolare dal fatto che la distribuzione dei film (in sala, Dvd, o Tv…) è strettamente legata ai finanziamenti alla produzione.

 

L’industria della musica, per contro, vede nello streaming un’ancora di salvezza visto che il mercato è da dieci anni in caduta libera.

 

Stando alle cifre fornite dal sindacato francese dei produttori discografici (Snep), il fatturato mondiale dello streaming per abbonamento è cresciuto del 58% tra il primo semestre 2011 e il primo semestre 2012, per raggiungere 309 milioni di dollari.

Sul periodo, è aumentato del 78% negli USA, 83% in Gran Bretagna, 48% in Germania, 80% in Svezia e 24% in Francia.

Anche se si parla di crescita impressionante, gli utili generati dallo streaming sono ancora piuttosto modesti.

 

Sotto la spinta degli aventi diritto, che reclamano una migliore retribuzione per l’uso delle loro opere, negli ultimi anni la maggior parte dei siti di streaming ha modificato i propri modelli economici. All’inizio erano soprattutto gratuiti e finanziati unicamente dalla pubblicità, ma oggi offrono sempre più servizi premium per abbonamento, spesso fatturati nella bolletta telefonica.

La difficoltà più grossa sta proprio nel convertire i loro utenti, abituati a non pagare, in abbonati e da questo punto di vista il loro modello economico resta ancora fragile.

Nel 2011, Spotify ha registrato una perdita. Impegnato in un vasto piano di sviluppo, Dezeer spera di tornare in utile nel 2014, dopo esserlo stato nel 2010, secondo quanto dichiarato dal CEO Axel Dauchez al Wall Street Journal.

 

Per l’industria discografica ci sono ancora dei margini di crescita in termini di abbonamento, a condizione di investire nel marketing ma, secondo lo Snep, le offerte sono troppo rigide e poco pubblicizzate.