Sondaggi politici: i media danno i numeri senza tener conto dei margini di errore

di di Donato Speroni (Docente di Economia e Statistica - Istituto per la Formazione al Giornalismo dell'Università di Urbino) |

Le regole imposte dall’Agcom non sono pienamente rispettate.

Italia


Donato Speroni

Possiamo fidarci dei sondaggi politici? Sul mio blog Numerus, sul sito corriere.it, si parla della “statistica del 21° secolo” e anche dell’uso dei dati da parte dei media. Lo spunto per aprire la discussione mi è stato offerto dal sondaggio sulle opzioni di voto presentato ogni lunedì da Enrico Mentana nel corso del Tg serale di La7. Nella trasmissione, Mentana e il direttore della Emg Fabrizio Masia esaminano minuziosamente le variazioni settimanali delle opzioni per i diversi partiti e pongono  l’accento anche su cambiamenti minimi, dello 0,1%.

In sostanza ho posto due domande:

1)     Con campioni di circa mille intervistati, come sono abitualmente le rilevazioni sull’elettorato italiano, c’è un margine di errore abbastanza elevato: entro il 2,8% per un partito al 30%, l’1,9 per un partito al 10%, lo 0,6 per un partito all’1%. La tabella precisa degli errori campionari e il calcolo per determinarli si può vedere sul mio sito, grazie alle spiegazioni che mi ha fornito l’ex presidente dell’Istat Alberto Zuliani. Che senso ha esaminare variazioni di pochi decimali, nettamente inferiori ai margini di errore?

2)     Se si considera che dal calcolo delle percentuali vengono tolti gli incerti e quelli che dichiarano di non voler votare, si arriva a calcoli fatti su poco più di 500 intervistati. E allora a che cosa corrisponde una variazione dello 0,1%? A mezzo intervistato?

Nel dibattito seguito a queste osservazioni sono intervenuti tra gli altri Pietro Vento, direttore di Demopolis e Fabrizio Masia, direttore della Emg. In particolare, Masia ha spiegato che i dati delle interviste per La7 vengono ponderati tenendo conto dei voti precedenti degli intervistati, perché gli elettori di sinistra sono più propensi a dichiarare il proprio voto. La Emg corregge anche “il dato relativo all’astensione, tramite coefficienti di abbattimento dell’intenzione di partecipare al voto”.

Per quanto riguarda il valore delle variazioni, Vento ha dichiarato che Demopolis evita di analizzare le variazioni troppo piccole; Masia ha gettato acqua sul fuoco: “i nostri commenti sono sempre improntati ad una valutazione di tendenza dei dati medesimi con considerazioni ricche di ‘sembrerebbe..’, ‘tenderebbe..’, ‘la sensazione è che..’. In realtà questa prudenza dello statistico non è affatto condivisa dal conduttore televisivo Mentana che è invece piuttosto perentorio.

Mi sembra giusto,(e l’ho fatto in un post  conclusivo almeno di questa fase del dibattito)  avviare a questo punto una riflessione sul ruolo dell’Agenzia per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) che regolamenta i sondaggi. L’Agcom infatti ha diffuso un nuovo regolamento nel dicembre 2010 e ha dedicato a questo tema un seminario di studio nel marzo 2011.

Ecco le mie proposte:

“Le spiegazioni pubblicate obbligatoriamente dai media sono necessariamente sommarie, ma dovrebbero quanto meno essere corredate da un riferimento ben visibile al sito della presidenza del Consiglio sondaggipolitici.it dove le società che effettuano i sondaggi sono obbligate a pubblicare un documento esaustivo. Peraltro, le informazioni attualmente pubblicate su questo sito non sono sufficienti a dare un quadro tecnicamente corretto delle modalità di svolgimento del sondaggio: non spiegano chiaramente la configurazione del campione, tra panel e nuove interviste, tra Cati (telefoniche) e Cawi (via web) o eventualmente Capi (interviste personali condotte con l’ausilio del computer); non dicono come vengono valutati i non votanti (Demopolis li esclude dal campione, Emg ne tiene conto in parte) non ci dicono nulla sulle ponderazioni applicate per correggere i risultati, che invece fanno parte già oggi delle comunicazioni obbligatorie”.

La discussione che ho avviato non si propone di negare l’utilità dei sondaggi politici che, soprattutto per i maggiori partiti, ci danno effettivamente un’idea di massima della consistenza dell’elettorato, anche se con percentuali di non voto e incertezza del 50% i dati perdono molto significato, perché al momento di recarsi alle urne l’atteggiamento cambia. Però certi dati diffusi dai media senza tener conto dei limiti statistici di questi strumenti non hanno più valore degli oroscopi: divertenti da leggere, ma privi di attendibilità. E’ bene dunque, che l’Agcom torni ad affrontare questo tema per controllare il rispetto delle regole ed eventualmente renderle più stringenti.