Pacchetto telecom: dal cloud computing le risorse per le NGN?

di Alessandra Talarico |

Secondo Alex Smith di Canalys, la riforma Ue darà un vantaggio competitivo alle aziende in grado di sfruttare i servizi cloud, che a loro volta forniranno un incentivo per gli operatori che devono investire nell'aggiornamento delle infrastrutture.

Unione Europea


Viviane Reding

La riforma europea delle Tlc, che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio, avvantaggerà le telco attive nel cloud computing, che potranno modificare le loro offerte per includere servizi cloud e altri servizi hosted, generando così nuove entrate e guadagnando quote di mercato in Europa.

Queste nuove opportunità di guadagno, spiegano gli analisti di Canalys, forniranno un incentivo per gli operatori che devono investire nell’aggiornamento delle infrastrutture di rete. Investimenti caldeggiati con forza dalla Digital Agenda europea, che si pone come obbiettivo quello di garantire connessioni ultrabroadband al 50% dei cittadini entro il 2020.

Il nuovo pacchetto telecom dà alla Commissione europea una maggiore influenza sulle tariffe nazionali e sui livelli di qualità del servizio, assicurando una maggiore trasparenza negli accordi tra i service provider nei 27 Stati Ue. La riforma sostiene l’apertura e la neutralità di internet e dà ai fornitori di servizi la possibilità di vendere i loro prodotti su tutti i mercati dell’Unione.

“Un internet neutrale garantisce agli utenti un accesso equo alla rete ma dà anche un vantaggio competitivo a quelle aziende in grado di sfruttare i servizi cloud. Se vogliono restare competitivi, questi operatori devono investire nelle piattaforme di distribuzione dei contenuti ed accelerare la conversione verso la banda ultra larga”, ha spiegato l’analista Canalys Alex Smith.

 

La società sottolinea tuttavia che l’efficacia della riforma è messa a repentaglio dalle dispute in corso tra gli operatori telefonici e i fornitori di contenuti ‘Over-the-Top‘, con i primi ad accusare i secondi di sovraccaricare le reti coi loro servizi (come Skype o YouTube) senza contribuire al mantenimento o all’aggiornamento delle infrastrutture. Alcuni operatori, dunque, vorrebbero che società come Google, Apple o Facebook partecipassero alle spese per le nuove reti; altri vorrebbero applicare ai fornitori di contenuti tariffe differenziate per una distribuzione ‘prioritaria’ dei loro materiali video.
 

Secondo Smith, gli operatori Ue che stanno predisponendo l’offerta di servizi cloud potranno avere un vantaggio competitivo nel mercato pan-europeo, mentre gli Over-the-Top avranno la garanzia che i loro servizi non saranno in alcun modo bloccati, come avviene ad esempio in Cina

“Offrire servizi al di là dei confini nazionali – dove esistono differenze culturali, linguistiche e regolamentari – è una enorme sfida”, ha detto l’analista, secondo cui, però, la realizzazione di piattaforme cloud paneuropee efficienti, sicure e facili da usare – così come auspicato ieri anche dal Commissario Viviane Reding (leggi articolo Key4biz) – “…avvantaggerebbe aziende e consumatori e potrebbe cambiare le carte in tavola sia per i service provider che per l’economia europea nel suo complesso”.

Quando venne lanciata la digital Agenda europea, lo scorso anno, l’obiettivo della commissione era quello di replicare il modello di innovazione della Silicon Valley americana e di realizzare un mercato unico digitale in cui aziende e consumatori potessero accedere a un’ampia varietà di servizi internet-based.
L’attuale frammentazione del mercato europeo non consente infatti né agli utenti, né alle aziende di beneficiare di questi servizi.

Secondo i dati Ue, ad esempio, il mercato del download di musica dalla rete negli Usa è quattro volte maggiore di quello europeo e questa discrepanza è legata alle differenze legislative tra i diversi Stati in fatto di gestione dei diritti digitali, di concessione delle licenze e così via. Una società, dunque, che volesse operare in diversi Stati membri dovrebbe affrontare queste problematiche paese per paese, con gravi ripercussioni sulla competitività.
 

I provider di servizi cloud devono anche affrontare diversi ostacoli normativi in relazione alla protezione dei dati. Secondo l’attuale normativa Ue – che verrà rivista entro la fine dell’anno – c’è poca differenza tra le regole sui dati individuali e quelli corporate e le aziende devono rivolgersi a dei consulenti legali in ogni paese in cui operano. Le regole della direttiva si applicano se le strutture di elaborazione dei dati si trovano entro i confini europei, sollevando la questione delle piattaforme cloud e della loro trasparenza. La virtualizzazione complica ulteriormente la questione, essendo le macchine non legate a un server fisico o a una specifica location.
“Affrontare la protezione dei dati attraverso una regolamentazione piuttosto che con una direttiva è una questione molto delicata per la Commissione, poiché gli Stati membri sono intrinsecamente consapevoli dei pericoli che circondano la perdita di dati”, ha concluso Smith, sottolineando che molti governi nazionali si opporrebbero ad affidare la regolamentazione sulla protezione dei dati a un ente esterno, “quindi è improbabile che la Ue avrà mai una normativa uniforme” in questo settore, ha concluso l’analista.

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