NGN: Bernabè ribadisce ‘No a imposizioni ex lege per ingresso in società ad hoc’

di Alessandra Talarico |

L'Ad, in audizione alla Camera ha sottolineato il rischio per l'occupazione in vista del passaggio all'NGN, mentre Corrado Calabrò ha assicurato: 'probabilmente già nel 2013, frequenze da 61 a 69 dovranno essere assegnate alla banda larga mobile'.

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Franco Bernabè

La previsione di imporre ‘ex lege’ a Telecom Italia la partecipazione azionaria ad una società creata ad hoc per la realizzazione e la gestione di un’infrastruttura in fibra ottica di nuova generazione con regole di governance asseverate dall’Antitrust, è del tutto “inappropriata”. Lo ha ribadito stamani nel corso di un’audizione alla IX Commissione della Camera sul piano industriale del gruppo, l’amministratore delegato, Franco Bernabè , secondo cui l’ipotesi di una ‘società per la rete’, che coinvolga pubblico e privato nella gestione e realizzazione dell’NGN, rilanciata di recente dal presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, sarebbe in netto contrasto “con primari valori costituzionali, quali la libertà di iniziativa economica e il diritto di proprietà privata garantiti dagli articoli 41-42 della Costituzione” e si rifarebbe a “…una forma di neodirigismo economico che il nostro ordinamento ha conosciuto fino alla fine degli anni ottanta, in un regime nel quale l’iniziativa economica dei privati era surrogata dalla volontà politica e dall’azione pubblica”.

Oggi, ha aggiunto, una simile misura avrebbe il solo effetto di “indirizzare surrettiziamente il mercato, imponendo forme coattive di organizzazione del medesimo, gravando allo stesso tempo gli operatori privati di oneri e rischi che sono del tutto incoerenti sia con le regole del mercato, sia con gli obblighi regolatori di fonte comunitaria”.

Come per altro più volte ripetuto anche in altre sedi, Telecom Italia – ha detto ancora Bernabè – è interessata a collaborare con altri soggetti per la realizzazione della rete in fibra nelle aree a media e scarsa remunerazione, le cosiddette aree ‘grigie’ e ‘nere’, dove c’è la disponibilità a instaurare “forme di partnership pubblico-privata e progetti di coinvestimento con altri operatori, purché limitati alle sole infrastrutture passive che lascino in capo ai singoli soggetti l’installazione e l’esercizio delle componenti attive della rete”.

Dal momento poi che la rete in rame continuerà per diversi anni a garantire l’accesso alla banda larga a cittadini e imprese, è del tutto “irrealistica” anche l’ipotesi dina sua rapida dismissione, che comporterebbe, tra l’altro, la perdita di migliaia di posti di lavoro, dal momento che le nuove reti tenderanno sempre di più ad essere automatizzate nella configurazione, nella gestione e nel funzionamento.

“La migrazione dal rame alla fibra comporterà nel tempo un’inevitabile contrazione della forza lavoro”, ha sottolineato Bernabè, che prevede una riduzione da 10.400 a 2mila delle centrali locali e aggiunge che deprezzare la rete in rame non solo comprometterebbe la capacità di Telecom Italia di investire per il miglioramento della qualità e l’ammodernamento dell’infrastruttura, ma non servirebbe affatto ad accelerare la realizzazione della rete di accesso in fibra, anzi “…indurrebbe gli operatori alternativi a continuare a perseguire gli attuali modelli di business basati sulla semplice rivendita di servizi della rete di Telecom Italia, e di conseguenza, renderebbe ancora più incerto e lontano nel tempo il ritorno dei rischiosi investimenti nelle reti di nuova generazione”.

Un’appropriata valorizzazione della rete in rame, di contro, fornendo “segnali di mercato corretti per le decisioni di ‘make or buy’ degli operatori alternativi”, garantirebbe sia a Telecom Italia, sia agli OLO i necessari incentivi “ad investire in modo efficiente nelle nuove reti in fibra”.

Quello che serve, dunque, è una regolamentazione in grado di assicurare “…una remunerazione equa e ragionevole per la rete di accesso legacy, determinata sulla base del suo valore corrente attraverso la metodologia dei costi incrementali, già ampiamente diffusa nei principali paesi dell’Ue e definita da Agcom su espressa indicazione della Commissione europea”.

Bernabè si è soffermato inoltre sulla situazione della rete mobile, per la quale non esiste alcun rischio di collasso, nonostante il vistoso aumento del traffico veicolato.
“Il traffico cresce di circa il 100% su base annua, ma è un fenomeno gestito con le più avanzate tecniche di monitoraggio e di previsione che permettono di escludere qualsiasi rischio di collasso”, ha sottolineato Bernabè, ricordando che – grazie ai continui investimenti nell’ampliamento della capacità del network mobile – nell’ora di picco, il grado di occupazione della rete mobile “è nell’ordine del 53%, il che fa venir meno qualsiasi rischio di saturazione”.

Rimane tuttavia la necessità di acquisire ulteriori frequenze, quali quelle originate dal cosiddetto ‘dividendo digitale esterno’ per il potenziamento della rete mobile. Esigenza condivisa anche dal presidente Gabriele Galateri, secondo cui “…sarebbe opportuno procedere quanto prima alla liberazione delle risorse dello spettro radio, il cosiddetto dividendo digitale esterno, da destinare ai servizi di telefonia mobile”.

A questo proposito è intervenuto, nel corso di un’audizione al Senato, il presidente Agcom Corrado Calabrò, sottolineando che “…entro il 2015, ma probabilmente già entro il 2013, le frequenze da 61 a 69 utilizzate dalla televisione dovranno essere destinate in tutta Europa alla larga banda mobile”.

L’Agcom, ha aggiunto, “si sta organizzando per raggiungere questo obiettivo tempestivamente. Il percorso è quello delle aste, che devono svolgersi il più presto possibile”.

Le regole saranno stabilite sulla base di quanto già fatto in altri Paesi europei, anche se in Italia, dove le frequenze sulle bande 1.800 mhz, 2.500 e 2.600 mhz, sono occupate dal ministero della Difesa e da questo poco utilizzate, “…le aste potrebbero essere bandite anche con differimento della disponibilità dello spettro, le risorse derivanti possono essere utilizzate in parte per gli investimenti nella banda larga fissa e mobile e in parte per compensare emittenti televisive che abbiano ceduto frequenze, come affermato anche dal ministro Romani. Una mancata assegnazione a queste destinazioni dei proventi delle gare e una devoluzione di essi ad altre finalità mal si concilierebbero con l’indicazione della Commissione europea”.

Le regole da sole non bastano, però: per Calabrò, occorrono infatti anche i giusti incentivi alla liberazione dello spettro “…se si vuole procedere veramente alla liberazione delle frequenze e bandire le aste”.

Il presidente Galateri ha, infine, nuovamente sollecitato il governo a intervenire con un finanziamento pubblico per lo sviluppo della banda larga e la riduzione del divario digitale che interessa ancora molti italiani.

Degli 800 milioni stanziati e poi congelati per la crisi economica, non si ha più traccia e l’intervento previsto nel 2009 è ancora privo di un decreto attuativo.