Addio alla carta stampata. Il New York Times annuncia: dal 2015 solo versione online

di Antonietta Bruno |

Stati Uniti


New York Times

Ad appena due mesi dall’annuncio della superata crisi del New York Times a causa di un deficit di 57 milioni di dollari, la Compagnia editoriale lancia una nuova bomba e annuncia la fine della stampa del giornale che dovrebbe avvenire, comunque, entro il 2015, per passare all’edizione digitale

 

Ad annunciarlo durante un summit sui media a Londra, Arthur Ochs Sulzberger, editore del New York Times sin dal 1992 e attuale presidente del Consiglio di amministrazione della Compagnia.

 

“Smetteremo di stampare il New York Times – ha detto – anche se la data è ancora da stabilire”.

La cosa però, poco importa considerato che l’intenzione c’è e pare anche ben radicata nella mente del proprietario, così come chiare e puntuali sono le polemiche che il ‘caso’ ha scatenato.

 

In primis, quelle di Henry Blodget, fondatore di Business Insider che così ha commentato l’inaspettata notizia: “le caratteristiche economiche dell’attività online non saranno in grado di sostenere l’infrastruttura della redazione come fa il giornale cartaceo. A meno che la New York Times Company non escogiti una nuova formula miracolosa per generare fatturato digitale”.

 

Un fatto straordinario per invertire la rotta di una crisi annunciata che non risparmia proprio nessuno.

L’editoria giornalistica, infatti, da tempo è immersa in un forte stato di crisi per via del calo di pubblicità, fatturato e margine operativo lordo. Indicatori in negativo che colpiscono anche il mercato italiano. Basti pensare che, secondo una recente analisi della Fieg che ribatte su un controllo più rigoroso sulla struttura dei ricavi, sia in ragione di “una domanda interna ancora ferma su livelli di deprimente contenimento sia perché le nuove vie della comunicazione online intraprese con convinzione dagli editori non offrono ancora ritorni significativi”, nei primi mesi di quest’anno, la pubblicità sui quotidiani ha mostrato sintomi di ripresa ma l’incremento dello 0,6% viene dopo un calo del 16,4% del 2009. Va peggio per i periodici che a una flessione del 29,3% lo scorso anno anche nel primo trimestre 2010 registrano un calo del 13,5%. Stesso trend per le vendite che per i quotidiani mostrano un calo del 6% nei primi 3 mesi dell’anno, in linea con il -5,9% del 2009.

 

L’andamento negativo della pubblicità si riflette sui fatturati che hanno subito, nel triennio in esame, tre flessioni consecutive: -1,4% nel 2007, -4,5% nel 2008 e -9% nel 2009. Anche i costi industriali sono diminuiti ma in misura nettamente inferiore: -0,8%, -1,7% e -5% rispettivamente nei tre anni. Ne è derivato che il margine operativo lordo (mol) ha subito un forte deterioramento, passando dai 261,6 milioni di euro del 2007 ai 16,2 milioni del 2009. Una contrazione del 93,8% che esprime “il graduale esaurimento della capacità della gestione industriale di assicurare risorse adeguate alla copertura dei costi complessivi di esercizio”.

 

E così come in Italia, meglio non va per gli altri paesi e l’annuncio del New York Times ne è la prova provata. Curiosa invece è la ‘profezia’ comunicata qualche anno fa da Philip Meyer, uno dei più seri e competenti studiosi dell’editoria americana che secondo alcuni suoi calcoli, sostenne che “l’ultima sgualcita copia su carta del New York Times sarà acquistata nel 2043”.

 

Un profeta in patria che bene ha analizzato la crisi delle vendite che affligge i quotidiani tradizionali ormai da una ventina d’anni. Vittime predestinate delle nuove tecnologie di comunicazione che continuano ad avere un impatto sempre più forte e determinante sui destini dei giornali di carta.