NewTv: Oprah e le web-mamme fanno tremare i broadcaster, Facebook fa tremare YouTube

di di Andrea Materia |

Nel 2015 Vespa, Costanzo e Fiorello avranno veramente ancora bisogno di RAI, Mediaset e Sky?

Italia


Oprah Winfrey

La risposta è “probabilmente no”, se accettate i miei presupposti teorici di sempre. Ergo: poichè siamo indietro di 3-4 anni rispetto ai mercati più evoluti nella convergenza crossmediale – colpa di ritardi infrastrutturali e deficit di cultura digitale tra gli over 35 – osservare l’ecosistema mediatico USA attuale ci offre una preziosa fotografia di quanto accadrà in Italia, mutatis mutandis, durante la prima metà del prossimo decennio. Ebbene, questa settimana gli Stati Uniti ci raccontano la sconvolgente rivoluzione nel modello di business del “prodotto-base” Oprah Winfrey, regina dei talk e gallina dalle uova d’oro della daytime TV da 23 anni in qua. Oprah ha deciso di chiudere nel 2011 il suo ultraventennale show in chiaro, distribuito a zilioni di emittenti regionali da CBS, per aprire un canale proprietario, Oprah Winfrey Network, diffuso via cavo in 70 milioni di case americane (in partnership con Discovery) e ovviamente online con formule da definire.

 

Leggi: il content provider si disfa dell’intermediario broadcaster, espande a 24 ore / 7 giorni su 7 il catalogo, e distribuisce autonomamente. Per nulla dissimile da operazioni come Epix di Paramount/MGM, ma desta scalpore perché stavolta dietro non ci sono le major, bensì una persona fisica, una singola, fulgida, stella della OldTV (seguita in media nel 2009 da 6.8 milioni di spettatori; per dare un metro di paragone, altri big della syndication come l’Ellen DeGeneres Show e il Dr. Phil non superano rispettivamente i 2.78 e i 3.75 milioni di spettatori al giorno).

 

Nei primi 8 mesi dell’anno i pubblicitari hanno investito 198.6 milioni di dollari su Oprah, con acquisto diretto di spot dentro lo show o in via indiretta rilevando spazi sulle stazioni locali che trasmettono in syndication il programma, spesso usato come lead-in per trainare i TG. Nei primi 8 mesi del 2008 la spesa era stata di 147.1 milioni di dollari. La crisi economica e la ritrovata obesità sembrano indifferenti alla non-più-magra-né-tantomeno-sexy Oprah. Peraltro il vero sacro Graal per i media buyers sono gli endorsements di Oprah, i suoi consigli per gli acquisti dettati da gusti e simpatie personali. E non c’è modo di pagarli. Per scelta editoriale, Oprah non accetta product placement; questo rende ancora più autorevoli le sue raccomandazioni (a volte una banale citazione in diretta crasha all’istante i siti delle aziende menzionate), e dunque più pregiate.

 

In parole povere, la pubblicità è e rimane l’anima del business. Una volta che colossi come Procter & Gamble e Kraft cominciano a inseguire i consumatori online, chi produce contenuti può solo e soltanto adeguarsi e mettersi in coda. Talvolta muovendosi in maniera contraddittoria.

 

È il caso di NBC, che ha appena lanciato l’applicazione gratuita NBC Communicator per attrarre navigatori e inserzionisti a guardare i serial NBC in streaming su NBC.com invece che su Hulu… ovvero una proprietà di NBC (condivisa con News Corp. e ABC/Disney)! La guerra intestina sembrerebbe giocarsi sui CPM, costo-per-migliaia di views. NBC.com chiede in media CPM sui 40 dollari, Hulu qualcosa di meno. Di recente però la squadra di Hulu è stata accusata di concorrenza sleale e vendite sottocosto, che si traducono in clienti rubati a chi era abituato a non dover faticare per averne (appunto broadcaster come NBC). Da qui la contromossa di NBC Communicator, in aggiunta a un fiume di polemiche e veleni destinati ad esacerbarsi nel tempo…

 

È una torta che non si può più trascurare, quella della NewTV. Non la trascura neppure Topolino. La scorsa settimana su Disney Online ha debuttato infatti il primo web show Disney brandizzato, The Possibility Shop, realizzato dal team di Jim Henson Co. e profumatamente finanziato dalla Clorox (disinfettanti e spugnette varie per la pulizia domestica). La target audience dichiarata di The Possibility Shop sono le mamme, ma Clorox si attende risultati eclatanti dalla co-visione collettiva di genitori e figli. Fino a ieri nessuno immaginava mamma, papà e pupetto insieme davanti al pc a guardare webisodes. Era roba da canale catodico per famiglie. Oggi – premesso che gli schermi LCD dei pc odierni fanno mangiare la polvere alle TV di 10 anni fa – ci investono sopra persino gli igienizzanti da toilette. Partendo dai 31 milioni di visitatori unici sui siti del gruppo Disney nel mese di Ottobre 2009 (dati ComScore).

 

Momversation: How Do You Make Your Interfaith Marriage Work?

D’altro canto, mamme e web video sono una combinazione già rodata e vincente. Lo dimostrano i talk prodotti dalla DECA, come Momversation (100 puntate in pochi mesi) e Cool Mom della tele-presentatrice convertita in blogger Daphne Brogdon. L’ultima creatura sfornata dall’ex-Yahoo, ex-Sony Pictures Michael Wayne con i soldi dei venture capital che alimentano la sua DECA si intitola Parents Ask. Un panel di esperti (pediatri e psicologi soprattutto) risponde ogni settimana, in video e sul sito dedicato, a ogni sorta di domanda sul rapporto genitori-figli. Se dal 2005 all’altroieri, agli albori della NewTV, aveva senso attendersi solo web show tematici per geeks e smanettoni sulla falsariga di Diggnation by Revision3, la proliferazione di cloni di Momversation e il rafforzarsi di una factory come DECA costruita sull’offerta di intrattenimento audiovideo online per famiglie la dice lunga sull’evoluzione del consumo di media attraverso device IP-based negli Stati Uniti.

 

Allo stesso modo, se nel 2007 ABC lanciava i suoi primi webisodes legandoli al fantascientifico Lost, telefilm per un pubblico maschile di giovani adulti, nel 2009 la priorità ABC nei webisodes viene data al medical drama Grey’s Anatomy, 17 milioni e passa di spettatori regolari in TV, forte in tutti i demografici chiave 18/49 anni, sia maschi che femmine. Nello specifico questo spin-off inaugurale Internet-only si intitola Seattle Grace: On Call, 6 puntate da 3-4 minuti l’una, online ogni mercoledì dal 19 Novembre fino a Gennaio, girate in stile finto documentario e ambientate nell’Emerald City Bar di Joe. Purtroppo nutro una naturale ritrosia verso qualsiasi forma di telefilm ospedaliero, ragion per cui, sorry, non attendetevi ulteriori approfondimenti al riguardo dal sottoscritto…

 

Mi attrae molto di più l’evoluzione della PBS, il negletto e nondimeno tuttora attivo servizio pubblico radiotelevisivo americano. Un po’ come per la RAI, l’età media degli spettatori PBS televisivi si avvicina ormai pericolosamente ai 60 anni; e la media è tenuta artificiosamente giù da Sesame Street e il suo eterno appeal verso i bambini. Con tutto il rispetto, non me ne vogliano i miei lettori nati prima del 1950, agli occhi di chi spende in pubblicità – almeno nella giovane America, magari nella vetusta e gerontocratica Italia sarà diverso – si tratta di cadaveri ambulanti. La soluzione al problema per PBS è Internet. La piattaforma di online video PBS varata in primavera ha un 48% di utenti sotto i 35 anni, con una media di permanenza sugli stream di 26 minuti per navigatore. E badate, 26 minuti sono tanti, tantissimi, assai più delle performance di YouTube.

 

Al momento il videoportale PBS vanta 12 milioni di visitatori unici al mese, con un tasso di incremento mensile dell’80%. Da qui al 2011 potrebbe diventare più importante dell’emittente televisiva originale. Tra l’altro il videoportale funge anche da archivio di contenuti per le 357 stazioni locali che attingono al catalogo PBS; gli affiliati possono scaricare e combinare la programmazione PBS con le news regionali, e nell’immediato futuro sarà implementato anche un meccanismo opposto (sempre tramite video.pbs.org PBS distribuirà in syndication nazionale le trasmissioni realizzate a livello locale dai suoi affiliati).

 

Morale della favola, visto che l’ho appena citato, non si vive di solo YouTube nello streamingverso. Lo certifica anche la Nielsen con il VideoCensus di Ottobre. Per la prima volta dietro YouTube e Hulu nella classifica degli stream totali generati si piazza un concorrente davvero temibile e con reali potenzialità di concorrenza diretta con Google e le major. Esatto, avete indovinato, proprio Facebook. Dal decimo posto di Settembre, al terzo in Ottobre. Da 23 milioni di spettatori con 110 milioni di clip consumate a 31.5 milioni di consumatori di stream con 217 milioni di clip viste.

 

Naturalmente sono dati che vanno presi con sale in zucca. I 13.5 milioni di aficionados di Hulu guardano episodi completi di serie TV, i 31 milioni di videomani iscritti a Facebook streammano brevi video casalinghi o roba user-generata virale. E tuttavia, Facebook è Facebook. Secondo l’osservatorio di Vincenzo Cosenza 12 milioni di italiani, uno su 5 (il 57% di chi usa Internet, il 70% di chi ha tra 19 e 24 anni), hanno un profilo personale sul social network per eccellenza, e ci passano sopra 23 minuti al giorno. Chissà quanta gente passa quanti minuti al giorno su RAI 3 o Retequattro…

 

Negli Stati Uniti gli iscritti a Facebook sono 85 milioni, contro 138-139 milioni di fruitori abituali di online video. Poiché size matters, la massa conta, non c’è da stupirsi se su Facebook arrivino esclusive premium [come quella per il debutto della sitcom NBC Community, guarda caso ancora una volta un prodotto di quella NBC comproprietaria polemica di Hulu] e se in casa Google e Hulu si inizi a sudare freddo. In attesa di assistere agli sviluppi di questa sfida tra giganti, questa la classifica Nielsen di consumo web video negli USA a Ottobre:

 

1. YouTube 6 miliardi e 632 milioni di stream (106 milioni di viewers)

2. Hulu 632 milioni di stream (13,5 milioni di viewers)

3. Facebook 217 milioni di stream (31,5 milioni di viewers)

4. MSN/WindowsLive/Bing 183 milioni di stream (17 milioni di viewers)

5. Yahoo! 173 milioni di stream (24 milioni di viewers)

 

§§§ In chiusura, un’ultima curiosità statistica. Il live webcast del 16 Novembre dedicato alla passerella del “tappeto rosso” per la premiere cinematografica di The Twilight Saga: New Moon, hostato da MySpace sui server Ustream, ha polverizzato con 3 milioni di views e 2 milioni di spettatori unici il precedente record per una diretta gestita da Ustream (il record era detenuto dal livecast del “red carpet” di Michael Jackson’s This Is It, 1.8 milioni di views). Non sono i numeri di YouTube con gli U2, e non si trovano tutti i giorni eventi mediatici paragonabili al ritorno dei vampiri innamorati di Stephenie Meyer, ma è l’ennesimo segno di quanto le platee del livecasting, che è bestia anomala e invero ben diversa dal netcasting on-demand, stiano rapidamente raggiungendo dimensioni competitive rispetto alle tradizionali platee televisive.

 

 

Coming up next in NewTV: social gaming. Per aggiornamenti e link in anteprima seguitemi sul mio Twitter.

 

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