Tv digitale: decoder unico con standard comune per l’Iptv di Telecom Italia, Fastweb e Wind

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di Francesca Burichetti

Italia


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Che la convergenza tra il mondo del broadband e del broadcasting sia ormai un fenomeno inarrestabile non è una novità. Ma un’importante svolta nel mercato italiano delle tv digitali arriva proprio in questi giorni con l’annuncio, da parte di Telecom Italia, Fastweb e Wind, di voler procedere alla realizzazione di un decoder unico per l’Iptv, che funzioni con uno standard comune.

Il nuovo dispositivo verrà lanciato sul mercato già a novembre 2009 e rappresenta l’ulteriore spinta che gli operatori di rete italiani intendono dare al processo di switch-off e allo sviluppo della televisione via Internet. Alla fine di gennaio 2009 i tre player avevano infatti siglato un accordo, fondando l’associazione italiana dell’Iptv, per contribuire attivamente al definitivo passaggio al digitale, che in Italia deve compiersi entro la fine del 2012.

 

Il processo, già ultimato in Sardegna e avviato in Piemonte e nel Lazio, è strategico per il sistema economico del nostro Paese. Switch-off non significa soltanto spegnimento delle tv analogiche e avvio delle trasmissioni sul digitale terrestre. Si tratta piuttosto di un fenomeno di maggiore respiro: i contenuti televisivi verranno distribuiti contemporaneamente su digitale terrestre, satellite e Iptv. Questa è la premessa per la nascita di un mercato a tre punte, con piattaforme complementari e interoperabili e non in diretta concorrenza.

Il decoder unico  permetterà agli utenti di accedere all’intera offerta televisiva, tanto che con un solo telecomando potranno passare agilmente dai contenuti di Sky a quelli di Mediaset Premium; dalla Dahlia Tv, all’offerta in chiaro tradizionale.

Convergenza tecnologica è la parola chiave. Finalmente sarà possibile “una concorrenza tra i contenuti e non tra le piattaforme”, come sostenuto da Paolo Romani, Sottosegretario alle Comunicazioni, intervenuto lo scorso mese alla presentazione del’Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione‘ di Ruben Razzante.

 

L’impiego di uno standard comune permette di ridurre i costi di produzione dei dispositivi e di spalmare le spese per gli investimenti in ricerca e sviluppo tra più attori. A minori costi corrispondono generalmente anche prezzi finali di vendita più bassi, con piena soddisfazione degli utenti.

Ma c’è di più, perché standard aperti tendono a favorire lo sviluppo di un’innovazione. E, dato che l’Iptv è una piattaforma emergente, il decoder unico sembra la soluzione migliore per raggiungere una massa critica di consumatori e consolidare la tecnologia.

Attraverso la cooperazione è possibile accrescere la domanda del consumatore finale, incentivo per investire nelle infrastrutture. E gli incentivi economici, si sa, sono fondamentali per lo sviluppo di un settore. La strategia di Lisbona, con cui gli Stati UE si impegnano a consolidare la Società dell’Informazione, soprattutto attraverso la crescita degli accessi alla banda larga, non è pensabile in assenza di una domanda vivace, che giustifichi seri investimenti da parte delle società di telecomunicazione.

 

A ben vedere, l’Iptv sembra un’ottima opportunità. Che sia la ricetta per fronteggiare la crisi del settore della telefonia fissa e rilanciare gli operatori di rete? L’Iptv è ancora una piattaforma nuova, con un mercato ristretto. È stata sperimentata in Italia da Fastweb all’inizio degli anni Duemila, ma ha iniziato a svilupparsi soltanto dal 2005, per effetto della concorrenza di Telecom Italia. Wind, invece, è l’ultimo arrivato. Ha lanciato la sua offerta alla fine del 2007 e attualmente conta appena qualche migliaia di utenti, contro i 365mila abbonati di Telecom e i 350mila di Fastweb.

I numeri dell’Iptv sembrano irrisori se confrontati con quelli del digitale terrestre e del satellite, che, alla fine del 2008, raggiungevano rispettivamente 5,7 e 6,3 milioni di famiglie, come si legge nel terzo Rapporto sulla Tv Digitale Terrestre, presentato da DGTVi. Ma i valori assumono tutta un’altra luce se guardati in un’ottica di medio periodo. Sembra infatti che nei prossimi anni l’Iptv coprirà un’ampia fetta del mercato delle tv digitali, soprattutto in quelle aree dove non si è mai sviluppata la televisione via cavo tradizionale. La Gartner (http://www.gartner.com), importante società di consulenza, in un rapporto presentato a inizio anno, ha stimato che nel 2007 si contavano 6,5 milioni di abbonati ai servizi di Iptv nel mondo. La cifra è triplicata nel corso del 2008, raggiungendo un valore pari a 19,6 milioni di utenti.

 

Guardando nel dettaglio al quadro europeo, la Francia rappresenta il mercato più sviluppato con oltre due milioni di abbonati ed è seguita da Spagna e Italia. Nel nostro Paese il settore dell’Iptv è in fase di start up, con circa 535mila abbonati al servizio, alla fine del 2008. Ma non è tutto qui. Confindustria, nell’ultimo rapporto e-Content, prevede che il mercato crescerà del 71%, superando i 900mila iscritti al termine del 2009.

Gli operatori TLC italiani stanno scommettendo sul futuro dell’Iptv. Con il progressivo abbandono del ruolo di media company, concentrano le risorse sul loro core business: le infrastrutture. È quanto sta accadendo soprattutto in casa Telecom, che già nell’ottobre 2008 aveva rinunciato alla sua offerta pay sul digitale terrestre, vendendo La7 Carta Più ad Airplus Tv,.

Insomma, un set top box con standard comuni è l’ulteriore segnale che qualcosa sta cambiando. La tendenza in atto è la progressiva disintegrazione della filiera e l’aumento del potere del consumatore, in termini di maggiore libertà di scelta e capacità di espressione. In questo quadro, i contenuti diventano la risorsa strategica e si intensifica la competizione tra le emittenti, piuttosto che tra chi gestisce i canali per la distribuzione.

 

 

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