Rai senza pubblicità e auditel: Bondi torna sull’argomento, ma per l’opposizione bisogna prima risolvere il conflitto di interesse

di Raffaella Natale |

Italia


Sandro Bondi

Con l’arrivo del digitale “ipotizzare un nuovo corso per la Rai non è solo auspicabile ma doveroso”, ha dichiarato Sandro Bondi, Ministro per i Beni e le Attività culturali, che in una lettera a Libero ha ribadito la sua idea di una Tv senza spot.

“…La proposta che ho articolato credo sia importante”, ha scritto Bondi spiegando che “chiedere ai vertici della Rai di svincolare una rete dal sistema di rilevazione dell’auditel e dalla pubblicità, come tra l’altro è stato deciso in Francia dal presidente Sarkozy, permetterebbe di difendere la nostra identità culturale dove essa è più vilipesa“.

Certo – ha detto ancora – so bene che la pubblicità domina il mercato televisivo e che le trasmissioni di interesse culturale finiscono per essere trasmesse in ore impossibili, soprattutto la notte. So anche che la pubblicità impone le sue leggi, che spesso tende a ridurre l’individuo a consumatore senza ideali, idee e principi. Ma a maggior ragione, la mia proposta è un tentativo di risalire la china che ha ridotto la cultura (televisiva) a ben poca cosa”.

 

E ha aggiunto: “Un canale veramente libero, culturalmente indipendente, ritengo che aumenterebbe la possibilità dei giovani, delle generazioni emergenti di formarsi senza fare propria una filosofia negativa della vita che contribuisce al declino dell’Europa di fronte all’esplosiva espansione economica e demografica di popoli di altri continenti”.

Il ministro ha ribadito che “o si tratta di una televisione commerciale che dà soltanto quello che richiede il mercato, oppure è un organismo pubblico che offre anzitutto un servizio pubblico”.

Quello più importante? “Contribuire, con l’aiuto della cultura, a informare gli abitanti di questo paese, come sommessamente ha indicato anche Dario Franceschini”, con cui si augura di “costruire un dialogo proficuo per il paese” proprio in nome della cultura.

 

In una nota, Giorgio Merlo (Pd), vicepresidente commissione Vigilanza Rai, ha però commentato: “…C’è poco da fare. Il ministro Bondi da quell’orecchio non ci sente. E’ inutile parlare di una ‘rete pubblica’ dedicata alla qualità e alla cultura sganciata dall’auditel ecc. ecc. e poi tacere misteriosamente su qualunque proposta che punta a riequilibrare il tetto degli affollamenti pubblicitari e a riportare un pizzico di normalità nel panorama televisivo del nostro paese. Ma possibile che il ministro Bondi non si accorga di questa macroscopica contraddizione? Tutti conosciamo la sua venerazione e la sua stima per il premier. Ma un ministro della Repubblica, soprattutto quando di Tv, ha il dovere di dire la verità, anche quando può essere scomoda”.

 

Paolo Romani, sottosegretario alle Comunicazioni, ha già evidenziato che la proposta di Bondi “…può per certi versi ritenersi superata dal passaggio al digitale, che fra un anno e mezzo vedrà digitalizzato il 70% dell’Italia. E digitale vuol dire moltiplicare per cinque l’offerta televisiva, con tanti canali di servizio pubblico, anche tematici, che probabilmente non avranno al loro interno la pubblicità. In tal senso la proposta di Bondi trova la sua collocazione naturale all’interno della nuova tv digitale“.

 

Romani ha anche sottolineato che “…è allo studio una riforma del contratto di servizio con la Rai, che scade a fine 2009: tra le ipotesi c’é quella di riperimetrare il servizio pubblico, definendo meglio cosa si intende appunto per tv pubblica, che ovviamente deve avere una proiezione più culturale che commerciale. Dal combinato disposto tra le due cose, il passaggio al digitale e la ridefinizione del contratto di servizio – ha concluso romani – si può ragionevolmente risolvere il problema”.

 

Lo scorso 24 febbraio, sul Corriere della Sera, Giuseppe Richeri, economista e docente di scienze della comunicazione all’Università di Lugano, ha sottolineato che sono due le cose che l’Italia dovrebbe copiare dall’ Inghilterra: finanziare la Rai con il solo canone, togliendole la pubblicità, ed estendere il concetto di sistema televisivo pubblico alla televisione commerciale, cioè a Mediaset, attribuendole alcune finalità che il ruolo comporta. “La Rai – ha sottolineato Richeri – va perciò ripensata non alla luce del cambiamento tecnologico ma dei cambiamenti della società”. Per adeguarsi alle trasformazioni, dicono alcuni, la tivù pubblica deve cambiare, ma per cambiare dev’essere rifinanziata. E indicano l’ esempio della Bbc, che incassa dal canone molto più della Rai (139,50 sterline, ovvero 155 euro, per abbonato contro 107,50 euro). 

No, rispondono altri, nessun aumento del canone, a meno che non salga di pari passo anche la qualità dei programmi. E se l’emittente pubblica potesse creare servizi a pagamento basati sugli archivi digitali, come propone qualcuno? Ma gli archivi appartengono già a chi ha sempre pagato il canone, si obietta. Perché dovrebbe pagarli una seconda volta? Che fare allora? 
“La Rai – ha detto Richeri – dovrebbe essere finanziata soltanto con il canone, come la Bbc, la sua missione ridefinita con l’ obiettivo di alzare nettamente la qualità dei programmi e l’ organico snellito valorizzando le molte professionalità interne e facendo più ampio ricorso alle produzioni esterne. Questo aumenterebbe il pluralismo delle fonti e renderebbe più dinamico il sistema”.

 

Per Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21, “…in qualsiasi altro paese europeo, la proposta del ministro Bondi relativa alla possibilità di togliere pubblicità ad una rete Rai per sganciarla dalla rilevazione Auditel, potrebbe essere considerata interessante comunque discutibile e tutt’altro da disprezzare. L’obiettivo di riformare il sistema televisivo e migliorarne la qualità non può che essere condiviso”.

“…Il medesimo Ministro, tuttavia, è troppo intelligente per non sapere che – ha sottolineato Giulietti – in Italia dal momento che il conflitto di interessi non è stato né affrontato né risolto, e non solo per responsabilità del centrodestra, qualsiasi intervento unilaterale sulla pubblicità non può che favorire il diretto concorrente della Rai che è di diretta proprietà del Presidente del Consiglio“.

 

Soddisfazione per la proposta di Bondi da parte di Luca Borgomeo, presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu), organismo dell’Agcom, che ha commentato: “…Positiva per una rete Rai senza spot e Auditel, ma la risposta non può arrivare dai nuovi canali introdotti con il digitale. La pubblicità deve infatti sparire da una delle tre reti attualmente visibili sull’analogico, perché è su queste che si concentra l’ascolto”.

“…Abbiamo il massimo rispetto per Rai4 o per Rai Storia – ha continuato Borgomeo – ma si tratta di canali di nicchia. Se davvero vogliamo abolire la pubblicità dobbiamo farlo su Raiuno, Raidue, o Raitre, reti generaliste che raccolgano la stragrande maggioranza dell’ascolto. Se vogliamo imitare la Francia facciamolo fino in fondo”.

 

Questo dibattito si sta consumando mentre il direttore generale di Auditel, Walter Pancini,  discute la possibilità di accogliere Sky nel Cda.

Pancini ha sottolineato “la neutralità massima del sistema” adottato da Auditel, ricordando che la società “ha già modificato lo statuto per consentire l’ingresso di Sky tra i soci”. La proprietà di Auditel, ha detto il direttore generale, è basata su “un sistema tripartito: un terzo alla Rai, che è in posizione di tutela in quanto tv pubblica; un terzo alle emittenti private (di cui circa il 27% a Mediaset) e un terzo al mondo della pubblicità. E proprio l’Upa – ha precisato Pancini – ha in mano le chiavi di controllo, in quanto nomina il direttore generale ed esprime il presidente e il coordinatore del Comitato tecnico”.

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