NewTV 1.04: ‘Internet killed the Video Stars’. I pionieri dell’UGC monetizzano la NewTV o è una favoletta per gli ingenui?

di di Andrea Materia |

Mondo


Michael Buckley

Dopo il pappone della scorsa settimana sui metrics dello streaming abbandoniamo il grigiore tecnico che tanto mi appassiona e coloriamo di verde questa rubrica. Verde dollaro. Che tra i più rapaci seguaci del culto di Giorgetto Washington si annidino schiere di imprenditori del web è fatto noto persino ai bambini. Idea online vincente = montagne di soldi rapidi. Naturalmente, parliamo del Web 1.0 di Google, Amazon, eBay e Adult Friend Finder. Con il Web 2.0 monetizzare è già più una formula magica esoterica, ma nessuno si sogna che ai tipi di Facebook, Twitter e cugini gli ingredienti della formula restino ignoti troppo a lungo…

 

L’unico Calimero nero nero, a oggi, è stata proprio la NewTV con i suoi investimenti a perdere in pubblicità, diritti e banda. Non durerà. Ne abbiamo già parlato, la NewTV punta a mangiarsi l’intera torta pubblicitaria globale, e trasformarsi da rospo in principe azzurro in un decennio. Quantomeno sul versante corporate (leggi: metamorfosi dei TV network USA in “social network”-ed broad[band]caster planetari).

 

Oggi proviamo a sbirciare invece nei conti in banca dei produttori indipendenti di videocontenuti per lo streaming. Quelli che a parte il tempo più di tanto non possono perdere, perché di partenza le risorse finanziarie spese sono prossime allo zero. Ma il punto è: tutta sperimentazione o c’è speranza di guadagnarci da subito?

 

Spezziamo subito il campo a metà. Da una parte i contenuti user-generated amatoriali ed estemporanei, dall’altro i long-form con ambizioni professionali (un’infinita pletora di talk con scenografie miserimme e inquadratura statiche, webserial di fiction a puntate settimanali, giochi a quiz e sketch comici; schiere di generi radiotelevisivi classici reintepretati in chiave low budget e incastrati in uno scenario distributivo radicalmente mutato).

 

Né gli uni né gli altri hanno finora all’attivo un caso di studio talmente stratosferico da disintegrare i modelli di business consolidati e sconfiggere sul piano dello sporco denaro contante gli economics della TV analogica. C’è in compenso una massa strabordante di prodotti e produttori che hanno trovato nella NewTV un veicolo inedito, privo delle barriere d’ingresso della struttura mediatica 1.0. Tutti alla ricerca del segreto per tramutare le netviews in ricavi, che per forza di cose è sinonimo di pubblicità.

 

A ostacolarli c’è l’ormai comprovata avversione degli inserzionisti danarosi ad associare i loro preziosi brand all’imprevedibile anarchia dei video user-generati. Tillman, il Cane sullo Skateboard e Nora, il Gatto Pianista, in coppia hanno accumulato 30 e passa milioni di views su YouTube, ma quegli occhi non suscitano salivazione – e qui direi che i Gross Rating Points davvero non c’entrano, è una questione psicologica – nel mondo dell’advertising.

 

* Ergo 1: YouTube non monetizza a dovere i 50 video di media al mese dei suoi “cliccate-su-comScore-o-NewTV 1.01-per-l’ultimo-dato” milioni di visitatori regolari.

 

* Ergo 2: le migliaia di YouTube Partners, utenti eletti per la regolarità dei loro upload e per la popolarità delle loro clip a spartirsi con Google i ricavi della piattaforma, non riescono a fare il bagno nei dobloni d’oro, anche se alcuni hanno iniziato almeno a potersi lavare i denti con monete d’argento.

 

* Ergo 3: le meteore dello streaming, i video virali di perfetti sconosciuti che dal nulla arrivano e di crosslink in crosslink esplodono come Nora e Tillman, non beccano neppure un nichelino, visto che non rientrano in quanto new entries senza follow up negli YouTube Partners e di conseguenza non hanno diritto al revenue sharing dei pur modesti introiti pubblicitari. A guardarla con gli occhi di un avido, è solo banda sprecata…

 

Mettiamo dunque da parte le meteore, variabili impazzite della NewTV, e proviamo a definire le potenzialità attuali degli YouTube Partners, ovvero content provider costanti nel tempo a dispetto dei mezzi a malapena semi-professionali a disposizione. Long-form o meno che siano i loro format, e sebbene sempre tecnicamente UGC, gli YouTube Partners rappresentano un’evoluzione evidente del gigante dello user-generated. Il più vibrante tentativo di emancipazione da Tillman e Nora.

 

Ora, non illudiamoci. Tra i Partners c’è chi non intasca niente. Ad esempio Massimo Mascoli, conduttore del canale Freedom and Democracy con 2,700 iscritti. Niente gloria né caviale per chi è sotto i 50,000 viewers regolari.

 

C’è chi invece dichiara almeno 5,000 dollari di gruzzolo mensile, come Tay Zonday (al secolo Adam Nyerere Bahner, ventiseienne musicista e doppiatore californiano reso celebre dal video Chocolate Rain nel 2007); la sua hit si avvicina alle 35 milioni di views e il suo canale ha quasi 100.000 iscritti. Secondo Zonday però gran parte degli introiti non derivano dai video ads gestiti da GoogleTube, bensì dalle e-vendite di suonerie e canzoni dei suoi brani.

 

Più o meno guadagni simili li dichiarano Spencer e Dylan, conduttori del canale Household Hacker, un Top 20 di YouTube Partners con i suoi 210.000 subscribers. Nonostante le 28 milioni di views complessive nell’universo web certificate da TubeMogul (98% su YouTube, 2% su MySpace), i due “hacker di casa”, anche loro californiani, sostengono di non potersi permettere di andare full time con i loro video licenziandosi da ogni altro lavoro. Riescono però a pagarsi l’affitto e finanziare la vasta collezione di gadget elettronici.

 

Non si sa quanto sia dispendiosa la collezione hi tech di Spencer e Dylan, ma dev’esserlo, perchè Greg Benson con il suo Mediocre Films, attualmente appena in posizione 22 tra gli YouTube Partners con 175.000 iscritti (ma TubeMogul lo accredita di 50 milioni di views complessive in giro per il Net, di cui 49 su GoogleTube; quindi meno “abbonati” al canale e tante, tante views “casuali”), ha smesso di fare provini da attori dopo un ventennio di fatiche e si dedica ora solo e soltanto alle sue produzioni youtubose.

 

Immagino che ognuno abbia i suoi parametri nel definire quanti soldi bastano per una vita dignitosa, e in ogni caso il contratto con Google impedisce ai Partners di entrare pubblicamente nel dettaglio sui propri introiti. Eccettuati i pochi chiaccheroni, infatti, sappiamo solo che “centinaia di YouTube Partners incassano più di 1.000 dollari al mese” (sono parole di un portavoce di Google, tale Aaron Zamost). Niente di trascendentale, briciole rispetto alla OldTV, ma è pur vero che solo il 3% dei video su GoogleTube è supportato dalla pubblicità. Non mancano i margini di crescita…

 

Il principale sospetto tuttavia è che la torta non sia divisa in maniera salomonica, un tot proporzionale unico per view. Forse c’è canale e canale, e alcune views pesano più delle altre. Forse i pionieri della pubblicità sulle piattaforme di video sharing ancora non se la sentono di piazzare videospot dentro un programma di hacking (sorry, Spenser e Dylan!) e preferiscono canali più innocenti come WhatTheBuckShow! di Michael Buckley, ovvero gossip demenziale sui VIP di Hollywood in stile Enrico Papi anni ’90, compresi gli occhialetti.

 

Buckley, ex contabile di una società del Connecticut legata alle promozioni discografiche, 33 anni, produce 3-4 clip alla settimana. Utilizza una Canon da 1500 euro. Ha passato le 100 milioni di views complessive; le clip più gettonate hanno superato i 3 milioni di spettatori ciascuna. All’inizio ha impiegato 40 ore la settimana su YouTube ad autopubblicizzarsi, senza vedere l’ombra di un dollaro. Poi il boom, con una media al momento tra i 17.000 e i 20.000 dollari al mese.

 

Cifre analoghe per Cory Williams, 27 anni, da Malibu, in arte SmpFilms, esploso a fine 2007 con il parodistico The Mean Kitty Song (quasi 18 milioni di views). Anche qui, vale la regola c’è canale e canale. Di recente su quello comico di Williams ha fatto capolino uno spot della Coca-Cola… Con 210.000 iscritti Williams è riuscito ad attrarre anche sponsor e persino product placement, tanto che queste ultime due voci rappresentano ormai la metà dei suoi introiti mensili.

 

È interessante osservare le tattiche utilizzate dall’esercito degli early adopters della distribuzione 2.0, dalla scomposizione in archi narrativi segmentati a periodicità bi- o tri-settimanali delle proprie fiction, dei talk, dei review e dei variety show alla syndication “artigianale” di clip selezionate su decine di differenti piattaforme (crosspollinazione del contenuto per generare feedback su blog e social network e così attrarre visitatori verso il canale YouTube, quello monetizzabile). Trucchi drammaturgici e trovate commerciali, vedi gli accordi di product placement del giovane Cory Williams, e persino a volte rischi di sovraesposizione mutuati dall’esperienza dei broadcast media tradizionali…

 

Usciamo dal noioso seminato di GoogleTube ed entriamo negli altri mondo dello streaming non-corporate. Uno che ha deciso di rischiare la faccia su una webtrasmissione QUOTIDIANA è Alex Albrecht, già vincitore di due Webby per Diggnation and The Totally Rad Show. Albrecht dall’estate 2008 presenta Project Lore, videomagazine su World of Warcraft con ricco sito+blog per approfondimenti, annessi e connessi. Le puntate di Project Lore sono visibili sul sito ufficiale, sui siti del gruppo ZAM Network dedicati a WoW (Wowhead, Thottbot e Allakhazam), su blip.tv e su iTunes, nonché via RSS per chi sottoscrive il feed. Al tempo stesso Albrecht continua a presentare, come fa ormai dal 2005, Diggnation, streammato ogni settimana su Revision3 [vedi NewTV 1.03 per info su Revision3]. Con 200,000 spettatori regolari e addirittura diversi special in diretta, è una sarcastica, a tratti anche volgare analisi delle storie più calde postate su Digg, il sito di social bookmarking per antonomasia. In ogni puntata ci sono false e vere pubblicità, il canonico discorso rituale sulle marche di birra trangugiate dai conduttori (di recente sono passati al tè!), e ovviamente uno sproposito di news e fatti di interesse per il popolo del Web 2.0.

 

Lasciamo da parte il banale inciso “perché in Italia a proporre questo genere di format ti ridono in faccia”, e veniamo alla domanda: il trentatreenne Albrecht rischia di annacquare la sua immagine, o è lanciato a diventare una delle prime, reali, non-virali, non-youtubose, monetizzabili star della NewTV?

NewTV 1.04


Project Lore Episode 1.1


How to make a USB Spy Camera

 

Un’altra possibile stella è Veronica Belmont. Anche lei è su Revision3, dove conduce un programma di consigli informatici (Tekzilla) e di recente ha aggiunto in palinsesto un game show mensile (Qore), disponibile per tutti i possessori di Sony Playstation. Albrecht e Belmont sono curati dallo stesso agente, George Ruiz, guarda caso… Il loro obiettivo è di traghettare la maggioranza degli spettatori dei loro show regolari verso le nuove streaming-avventure, aggiungendone altri nel percorso. Strategie da televisione catodica applicate all’era dell’IP-based.

 

Strategie che a volte pagano. Come nel caso dei tipi di Ask A Ninja, Kent Nichols e Douglas Sarine, 85 episodi + 23 speciali da 4-7 minuti realizzati in un paio d’anni, tutti fino a poco tempo fa ospitati su askaninja.com. Le ninja-risposte nonsense di Nichols e Sarine apparentemente procurano al duo 100.000 dollari al mese di ricavi tra pubblicità e merchandising. Andy Plesser, vlogger e fondatore di Beet.TV, sostiene di intascare 15.000 dollari al mese dalle sue video-interviste con i top manager dell’IT.

 

Le Streaming Stars timidamente gongolano, sebbene il gioco divenga ogni giorno più tosto. Se nel 2007, si intende fuori dall’eccezione YouTube, con 100.000 views a clip (nelle prime 48 ore, mezzo milione di views in un anno) si entrava tra i campioni della NewTV, ora la soglia si è vistosamente alzata. CollegeHumor neppure ti calcola se non gli procuri 500.000 plays nelle due settimane iniziali. A FunnyorDie chiedono un milione di views nel primo giorno per regalarti il gagliardetto di stella. A JibJab restano delusi se non fai almeno 3 milioni di views in una settimana. Iniziate il porta-a-porta per tutta Roma…

 

Realtà consolidate come Revver e Heavy.com continuano però a festeggiare ogni singolo video che superi le 100.000 views al debutto. C’è ancora possibilità di illudersi, insomma.

 

Senza indugiare oltre in elenchi di web-personalità e rispettivi golosi redditi, il trend rimarchevole è la proliferazione di centinaia di siti minori, slegati dall’immensa platea di YouTube e spesso del tutto ignoti nella vecchia Europa, capaci di vivere e talvolta prosperare con un’idea o un mix di idee originali. TubeMogul [inciso: chi si abbona a TubeMogul molla le username/password per tutti i servizi di video sharing a cui è iscritto, e loro uploadano al posto tuo i tuoi video, aggiungono tutti i metadati pertinenti dalle tag alle sinossi, e in più contabilizzano ogni possibile statistica] con la sua Top 40 ne indicizza trentamila di questi content provider 2.0.

 

Esatto, trentamila.

 

Un esercito. E molto, molto più interessanti come analisi del modello di business del noioso gigante GoogleTube. Non fosse altro per l’ambizione di voler gestire in prima persona i deal con gli inserzionisti, fissando in autonomia i CPM e investendo in struttura e risorse umane con uno sforzo produttivo ben più significativo del consuetudinario artista solitario inglobato in YouTube Partners. I CPM (cost-per-mille, nel nostro caso il costo di una pubblicità per ogni 1000 views di un spot infilato come pre-roll all’intero di un stream) tendono su questi siti di nicchia a raggiungere multipli dei CPM sui portali generalisti. È il plusvalore di audience con precisi confini demosociografici: non a tutti fanno acquolina in gola le nicchie, ma le aziende interessate pagano volentieri il premium. Torneremo sui CPM in via più estesa, per adesso mi limito a citare alcuni benchmarks del 2008 (warning: le tariffe si sono sgonfiate da Ottobre in avanti, solo gli idraulici riescono a tenere botta di questi tempi)…

 

Blip.tv: CPM tra i 10 e i 30 dollari, sponsorizzazioni tra i 30 e i 100.

Revision3.com: CPM tra i 60 e gli 80 dollari.

ForYourImagination.com (uno studio di New York che produce e distribuisce comedy show settimanali di 5-8 minuti e video blog per giovani adulti): CPM tra i 20 e i 60 dollari.

ManiaTV.com: CPM tra i 10 e i 30 dollari.

 

Il finto TG satirico GoodnightBurbank.com faceva pagare fino a 3.000 dollari per un product placement nei 32 episodi della sua serie (spalmata prima di interrompersi a inizi 2008 tra iTunes, Veoh, Blip, iFilm, YouTube e chissà quanti altri). Per fare un confronto, la “generalista” CNN applicava l’anno scorso un CPM intorno ai 25 dollari.

 

Quanti resisteranno alla crisi, se gli inserzionisti abbandoneranno questi approdi segmentati e “su misura” costringendoli a prematura morte, o se invece ci sarà una riequilibratura nei rapporti di forza tra i David e i Golia, non si sa. Probabilmente assisteremo a uno schizofrenico alternarsi di storie di successo e di flop deprimenti, influenzati da una congerie di fattori congiunturali quasi mai ascrivibili a regole universali.

 

Di sicuro peserà il catalogo. Più video circolano online, meno si può tirare sui CPM. Se si inizierà ad accettare l’idea degli spot dentro le clip UGC di YouTube, il catalogo esploderà e i CPM crolleranno.

 

Anche la diffusione dei video widget va a incidere. Tutti i ragazzini con un profilo su MySpace adorano adottare i video widget brandizzati dei loro comedy/music/whatever videositi preferiti. Questo aumenta le views e diminuisce i CPM. Tra parentesi, i video widget funzionano un po’ come gli embed nei blog, e in effetti si tratta anche qui di semplici stringhe di codice da integrare nell’html dei siti, ma sono graficamente più gradevoli (le thumbnail cliccabili dei video sono inserite dentro una “gabbietta” colorata e pulsantosa) e più dinamici (si possono alternare più video dentro un widget, volendo pure randomizzare la selezione). Attenzione però a non abusarne, perché questi widget consumano cpu, e i vecchi pc con vecchi browser vanno spesso in palla a leggerli. Come imparai sul sito della mia defunta trasmissione per Radio 2, www.versionebeta.it, quando a furia di aggiungere widget non si riusciva più ad aprire l’homepage… Chiusa parentesi.

 

In compenso, a bilanciare l’effetto discesa-tariffe da eccesso di offerta e crisi globale c’è la migrazione dei budget pubblicitari dalla TV e dalla stampa verso Internet. Almeno negli Stati Uniti, lasciamo perdere le nazioni preistoriche con forma a Stivale. Negli USA il costo del break di 30 secondi in prime time è sceso del 4% nel 2008, con punte del 10% sulla CBS, che al momento fa altissimi ascolti ma costa poco (in media 116.000 dollari a spot) perché il suo è un pubblico anziano, tipo RAI 1 per intenderci. Il network che regge meglio è Fox, che vince quasi sempre tra i 18/49 anni con il Dottor House, 24, Fringe, gli intramontabili Simpson, il reality sulle aspiranti idol, e chiede 195.000 dollari a spot. Curioso come cambi il business cambiando continente…

 

Ma torniamo alla NewTV e saliamo ulteriormente di livello. Su, su, fino ai video-aggregatori della fascia alta di comScore e ai webimprenditori con le tasche abbastanza larghe da poter sfidare chiunque ai più alti livelli. Gente lontana anni luce dallo sgomitare affannoso delle moltitudini di creatori di user-generated content, e decisa a battere sul tempo nella conquista del nuovo Eldorado i colossi della OldTV e i simboli della loro riconversione (Hulu, Hulu, intoniamo Hulu, Hulu tutti insieme!!! …anche se TV.com a Gennaio ha fatto un boom assurdo e superato Hulu di slancio…).

 

L’equazione di base rimane identica: gli internauti divorano video, a ritmo sempre più accelerato, i portali devono sostituire quindi i contenuti rapidamente e coinvolgono i produttori in accordi di revenue sharing, ma la corda si spezza se queste revenues (pubblicità o altro) non arrivano in tempo per rifinanziare le operazioni day-to-day, per via della crisi o di metrics non affidabili che impauriscono gli ad spender [vedi NewTV 1.03] o del surplus di offerta o della scalogna. Conoscete a memoria il mantra.

 

Michael Eisner, ex imperatore della Disney, un paio di anni fa si è convinto di poterla plasmare a suo piacimento l’equazione di cui sopra e ha investito in Vuguru, una casa di produzione di webserial a basso costo. Ha esordito bene con il mystery Prom Queen: episodi da 90 secondi, 3.000 dollari l’uno di costo, gran successo da 15 milioni di views trainato da MySpace, persino un remake localizzato in Giappone. Ha proseguito male con Foreign Body, uno spin-off del nuovo romanzo thriller di Robin Cook, 50 episodi da 2 minuti con 10.000 dollari di budget l’uno e riprese in esotiche location indiane: miserevoli 10.000 views di media a puntata tra Blip, Veoh che è di proprietà di Eisner stesso e YouTube. Ipotizzando che i costi di Foreign Body siano stati sopportati dall’editore di Cook, la Penguin, e dallo sponsor Dodge, le due aziende hanno pagato un CPM di circa 400 dollari. Bella fregatura. Dal punto di vista di Eisner è una sofferta sperimentazione, rientra nella curva di apprendimento del business.

 

Altro caso di scuola è quello di Quarterlife, una fiction di genere drammatico con protagonisti 6 artistoidi ventenni integrati mani e piedi nella digital age. Viene commissionato a due esperti produttori televisivi nel 2007 da MySpace come serie di 36 episodi da 8 minuti, ma all’astronomico, web-illogico costo di 85.000 dollari a puntata. Calcolando un CPM tra i 15 e i 25 dollari e nessun introito ancillario, si ottiene un break even a 2.5 milioni di views (centomila più, centomila meno). Non impossibile, in linea teorica; si era all’epoca intorno alle cifre dei video nella Top 50 All-Time. Senza contare il ritorno in termini di copertura stampa. A MySpace si sono detti “rischiamocela”. Gli è andata bene. Quarterlife tra MySpace, il sito ufficiale e YouTube accumulò quasi 10 milioni di views nei primi 6 mesi, terza performance di sempre per MySpace TV tra le scripted series [quindi: esclusi gli UGC dei cani skaters e dei gatti pianisti]. Sotto il teorico punto di pareggio, non di troppo però. A quel punto subentra la NBC e acquista i diritti per mettere in onda l’opera, reimpacchettata in 6 puntate da un’ora. E qui sono dolori. Record negativo di ascolti di ogni tempo per la NBC nella fascia 22-23 di sera. Quarterlife sparisce di palinsesto dopo la prima puntata, viene riciclato in seguito sulla TV via cavo, e di recente è approdato in Italia su RAI 4.

 

Troppo semplice osservare e magari schernire i disastri dei marpioni della OldTV quando affrontano il nuovo palcoscenico stream-mediatico, e analiticamente arduo effettuare comparazioni dirette con i macro-risultati dell’esercito di content provider indipendenti, dagli YouTube Partners ai siti tipo Revision3. Continueremo a osservare nel corso del 2009 l’evoluzione del mercato. Credo non siano da escludere sorprese, incluso l’arrivo del primo format crossmediale autenticamente NewTV [nato su web, poi trasmesso anche in TV ma senza chiudere l’esperienza online, anzi].

 

Quello che non mi azzardo a prevedere sono i numeri. Potrebbe nascere una hit virale planetaria con 100 milioni di spettatori dal giorno alla notte così come invece magari celebreremo un nutrito pacchetto di show e webserial con pochi milioni di views stabili e targetizzate, in grado di produrre profitto dalla frammentazione dei media.

 

È la profezia di Jimmy Kimmel, comico e mattatore del Jimmy Kimmel Live in seconda serata sulla ABC. Un giovane erede di David Letterman, per intenderci. Kimmel è convinto che la NewTV frazionerà a tal punto gli ascolti, atomizzando il pubblico tra miriadi di trasmissioni, che i grandi network saranno presto costretti a tagliare i compensi cosmici dei conduttori dei late night talk show. A Broadcasting & Cable Kimmel ha dichiarato “Sono entrato un istante prima che chiudessero le porte“. Ma se le porte si chiuderanno in faccia a una manciata di talentuosi privilegiati, visto che lo Zero-Sum Game funziona sia in negativo che in positivo, allora si spalancheranno più modeste ma sempre piacevoli porticine a migliaia e migliaia di validi creativi dell’online video.

 

 

 

Coming up next: sport in streaming, una “partita” chiave e il risultato non è affatto scontato…

 

NewTV. Non è più troppo presto, non è ancora troppo tardi.

 

 

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