IV Conferenza sulla TDT: Ambrogetti (DGTVi), ‘Possiamo farcela, ma serve l’impegno di ognuno di noi per il successo di tutti’

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Andrea Ambrogetti

Riportiamo di seguito l’intervento di Andrea Ambrogetti, presidente DGTVi, alla IV Conferenza sulla Tv digitale terrestre, tenutasi a Roma il 20 e 21 gennaio 2009.

 

 

Buongiorno a tutti e grazie di essere qui. A me, come presidente di DGTVi, il compito oggi di rappresentare Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, DFree e tutte le emittenti locali associate in Aeranticorallo e FRT, e, soprattutto, di  spiegare perché “niente è come prima“.

Vi prometto che ci proverò.

 

Noi oggi andremo alla ricerca di risposte, di quelle risposte utili per portare a compimento la transizione al digitale del sistema televisivo italiano. Per svolgere questo compito, usandolo a pretesto, mi farò aiutare dalle immagini di un recente film in cui il protagonista, come si ricorda chi lo ha visto, trova nella sua storia un alleato importante nel famoso cubo di Rubik. Infatti  la ricerca delle risposte sul digitale terrestre,  insieme a quelle che abbiamo già trovato, assomiglia ancora un po’ ad un rompicapo, rappresentato proprio dal famoso cubo in cui ogni mossa è legata ad una successiva. Anche noi proveremo allora a farci aiutare dal cubo.

 

E allora per capire perché nulla è come prima intanto vediamo com’era “prima”. A partire dalle tre conferenze nazionali precedenti. Da Cagliari, Napoli e Torino in cui pure sono avvenuti alcuni passaggi fondamentali: dai primi protocolli d’intesa per la Sardegna e Val d’Aosta, al lancio di Tivù, alla costituzione del Comitato Nazionale Italia Digitale, fino alla istituzione del bollino DGTVi per i decoder e i televisori integrati. Anche quest’anno la Conferenza sarà luogo di proposte concrete e nuove sfide: lo abbiamo visto ieri e lo vedremo più avanti nel corso della mattinata.

 

Incominciamo allora a vedere a quali domande abbiamo trovato risposte, quali facce del rompicapo sono state risolte. A quali interrogativi solo pochi mesi fa, alle precedenti Conferenze, non avremmo saputo rispondere e che invece oggi sono già certezze. Incominciamo a vedere insomma perché niente è più come prima.

 

Innanzitutto le risposte agli interrogativi che riguardano gli utenti. Fino a poco tempo fa nessuno aveva soluzioni rispetto al quesito: come faremo a dotare entro lo switch-off tutte le case degli italiani di ricevitori digitali?

Gli utenti e le dinamiche del mercato hanno fornito la risposta: questi sono i dati relativi ai televisori già dotati oggi di ricevitori digitali integrati e di decoder. Considerando cioè l’attuale diffusione, il ritmo ormai fisiologico di vendita e l’accelerazione imposta dagli switch-off calendarizzati, già prima del 2012 tutti riceveranno la tv digitale senza traumi e ritardi. Nessuno resterà indietro.

 

 

Un’altra domanda che ci preoccupava: come faremo a garantire un passaggio dall’analogico al digitale senza proteste, disagi e disservizi. Come gestiremo un passaggio di trasmissione senza che nessuno resti con lo schermo nero? Ancora una volta gli utenti ci hanno dato la risposta. I dati della Sardegna parlano chiaro: il 75% degli utenti al momento fatidico del passaggio non ha avuto alcun problema o lo ha facilmente risolto in modo autonomo. E il restante 25% che ha dovuto chiedere aiuto (al call center, a familiari o a amici o a tecnici) per i problemi di ricezione o sintonizzazione li ha comunque superati in modo agevole. Anche in questo caso, aldilà di qualche limitato e fisiologico problema che non deve essere strumentalizzato, anche in questo caso nessuno è rimasto indietro. Si può fare dunque.

Ecco una delle prime facce del cubo che è andata posto: ce la si può fare.

 

La seconda questione riguarda le frequenze di trasmissione televisive sulle quali si è consumata una vera e propria guerra dei trent’anni: uno scontro politico furibondo sul cosiddetto far west dell’etere. Mai nessuna amministrazione è riuscita a realizzare e ad attuare sinora un piano nazionale delle frequenze. Come risolvere allora, nel momento del passaggio al digitale, una redistribuzione tra tutti gli operatori di quelle stesse frequenze che sono da sempre un bene sacro ed intoccabile per ogni emittente? Come rispondere all’Europa che con la Conferenza di Ginevra ha ridotto sensibilmente le risorse utilizzabili?

Ancora ci viene in soccorso la Sardegna.  Infatti , attraverso un lavoro di eccellenza di cui sono stati protagonisti AGCOM, Ministero delle Comunicazioni e Fondazione Bordoni , è stata possibile la pianificazione di ben 43 multiplex regionali e provinciali e quindi è stato possibile assegnare a tutti i soggetti nazionali e locali le risorse trasmissive necessarie. Lo sappiamo bene che non sarà sempre così e che ci saranno alcune zone d’Italia in cui l’equilibrio tra soggetti operanti e risorse disponibili sarà assai più difficile da raggiungere. Ma intanto la Sardegna ci insegna chiaramente che un’altra faccia del cubo è andata a posto, e che è possibile trovare una risposta anche a questa domanda.

Ancora posso dirvi: possiamo farcela.

 

La terza questione riguarda il mondo della politica. Il quale, come avviene da decenni a questa parte, vede la questione televisiva come argomento incandescente di scontro. E la domanda inevitabile è: come fare a sottrarre questo grande processo industriale e tecnologico al conflitto politico?

Come liberare l’ostaggio digitale terrestre da chi lo appoggia o l’osteggia a seconda delle appartenenze politiche?

E anche qui il modello Sardegna ha provocato una riconversione delle posizioni. Se fino a ieri il passaggio al digitale veniva letto – per dircelo chiaramente – solo come questione pro o contro Mediaset, di destra o di sinistra, già a partire dalle ultime elezioni le due coalizioni hanno trovato un punto comune nei rispettivi programmi elettorali proprio sul digitale terrestre. Con il passaggio in Sardegna finalmente si è infatti compresa la neutralità di questo processo e la sua utilità per il Paese, a destra come a sinistra, dal Governo come dall’opposizione. Si è compreso che il conflitto sul digitale terrestre era un falso dibattito tutto italiano e provinciale di fronte al processo in atto nell’intera Europa.

Anche a questa domanda è stata data una risposta, anche questa faccia del cubo è risolta.

 

Credo già si incominci a capire perché niente è come prima: avere già sistemato rispetto a “prima” tre  facce del nostro cubo è un buon risultato. Ma ci sono anche altri elementi che possono aiutarci nella nostra ricerca di soluzione finale del rompicapo. Mi riferisco ai dati contenuti nella ricerca presentata ieri che ci confermano in modo inequivocabile l’inarrestabile cammino del digitale terrestre che in Europa ha compiuto nel 2008 il doppio e definitivo sorpasso: non solo ha praticamente raggiunto le case dotate di vecchi televisori analogici, ma ha definitivamente superato il satellite. Mi riferisco ancora alla impetuosa diffusione italiana che ci ha ormai portato anche nel nostro Paese non solo a superare il satellite a pagamento quale piattaforma digitale maggiormente diffusa, come ormai conferma Auditel , non solo ad essere già presenti ed utilizzati in oltre 7 milioni di case, non solo a viaggiare ad un ritmo che sfiora (tra decoder e tv integrati) la vendita media di 500.000 unità mensili, ma anche ad essere la piattaforma che trimestre dopo trimestre moltiplica i propri ascolti: se appena un anno fa il tempo di consumo del digitale terrestre rispetto al totale tv era inferiore al 4% siamo già arrivati a doppiare questo dato e a raggiungere quasi l’8%. In un triennio appena abbiamo raccolto quei risultati che il satellite non aveva raggiunto in un decennio di attività.

 

E poi c’è il laboratorio Sardegna (stiamo vedendo lo spot che ha accompagnato il passaggio). L’attenzione dei media di questo periodo si è rivolta quasi esclusivamente verso gli ascolti dopo lo switch-off.

Dati significativi soprattutto per quello che riguarda la crescita degli ascolti delle nuove offerte digitali, peraltro pienamente in linea con gli altri Paesi Europei. Dati che segnano un significativo assestamento su valori assai vicini alla media nazionale già nello scorso mese di dicembre. Meno si sono però sottolineati altri aspetti ancor più importanti. Uno su tutti: la moltiplicazione delle offerte. Siamo passati da 26 programmi locali e nazionali a 92 programmi gratuiti di cui 64 locali senza contare l’aggiunta delle offerte a pagamento, dei canali in alta definizione, dei nuovi servizi. E’ questo un dato fondamentale che spiega da solo i motivi di grande cambiamento, non unicamente tecnologico, del passaggio al digitale. Sapevamo che con questo passaggio la tv avrebbe moltiplicato i contenuti, si sarebbe arricchita, sarebbero nati nuovi servizi e nuovi programmi, la stessa tv a pagamento sarebbe diventata più accessibile a tutti.

Adesso lo abbiamo visto nei fatti.

 

E se la Sardegna, un vero e proprio laboratorio in cui abbiamo sperimentato davvero per capire e per avere elementi da ripetere ma anche da correggere nelle altre regioni, ci ha insegnato, come abbiamo visto, che “si può fare”, al tempo stesso introduce una questione assai importante e delicata. Una delle facce del cubo a cui ancora bisogna lavorare. Sto parlando del ruolo e del futuro dei broadcaster. Del servizio pubblico, delle emittenti private, vecchie e nuove, delle tv locali. Il futuro dell’offerta, dei canali, dei palinsesti, dei contenuti che andranno a comporre il nuovo ambiente digitale con decine, se non centinaia, di programmi.

Quale è  il ruolo del servizio pubblico in un ambiente di decine di offerte?

 

Un servizio pubblico indispensabile, in Italia come in tutta Europa, per il passaggio al digitale e che ha visto la RAI recuperare in quest’ultimo periodo un proprio ruolo da protagonista con iniziative di grande rilievo come Rai Quattro o Rai Gulp. Una RAI che giustamente sta ancora riflettendo sul suo futuro digitale complessivo. E ancora come un’emittente privata dovrà ripensare la sua offerta futura. Su tre, su sette, su nove canali?

E con quali programmi? Semigeneralisti o tematici?

E ancora, come può essere riorganizzato, ripensato e rafforzato il ruolo dell’emittenza locale in un ambiente assai più numeroso e competitivo?

 

Abbiamo sentito ieri nel confronto sulle offerte a che punto siamo. Ma per incominciare a trovare risposte a questi interrogativi, in Italia come in tutta Europa, occorre però innanzitutto sfatare alcuni luoghi comuni e alcune false insinuazioni.

 

Vedete, in questi oltre cinquanta anni, la televisione a cui siamo abituati da sempre, ci ha fatto spesso discutere, ed è stata ripetutamente criticata a volte anche con ragione. E’ vero. Ma ci ha anche portato le emozioni del nostro tempo. Ha fatto entrare il mondo dentro le nostre case. Ci ha raccontato le storie, la vita. E spesso ci ha anche fatto sorridere. Ed è proprio questa stessa televisione, anche con tutte le sue contraddizioni, che sta cambiando pelle e che sta divenendo, proprio attraverso il passaggio al digitale, ancora più completa e ricca. Con più informazione e divertimento, con più notizie, con più emozioni, con più scelta per tutti anche per i più piccoli, con nuovi programmi e servizi rivolti alla educazione e alla formazione.

 

C’è un luogo comune da sfatare: la contrapposizione tra una presunta vecchia televisione e una immaginata nuova televisione. Sono emersi infatti, soprattutto tra gli operatori, in questi anni due atteggiamenti: un primo secondo cui l’offerta televisiva tradizionale sarebbe ormai vecchia, superata, stantia e destinata progressivamente a soccombere nei confronti di una tv digitale che, entusiasticamente, rappresenterebbe da sola il cambiamento, l’innovazione, la qualità; e un secondo atteggiamento, esattamente opposto, che ritiene invece la tv tradizionale l’unica vera televisione, quella meritevole di attenzione e investimenti e, di risulta, la tv digitale un prodotto secondario, poco più che ancillare, di poco interesse e a cui dedicare unicamente gli avanzi degli investimenti e dei programmi.

 

Entrambi gli atteggiamenti sono sbagliati perché non c’è una vecchia televisione analogica e una nuova televisione digitale e, soprattutto, non c’è contraddizione tra queste due. La vecchia tv si è trasformata e pur  rimanendo se stessa, sta diventando la nuova tv. La verità è che la moltiplicazione dei contenuti e dei generi, è che l’arricchimento dell’offerta ha portato la tv digitale terrestre non più a candidarsi ad essere la nuova tv per tutti, come dicevamo a Napoli, ma semplicemente a diventarlo di fatto. Oggi, dopo la Sardegna, possiamo dirlo con certezza: dopo lo switch off oltre il 90% degli utenti sardi usa il digitale terrestre per guardare la tv. Solo il 20% delle famiglie lo utilizzano in condominio con il satellite e addirittura meno del  10% utilizza esclusivamente il satellite (gratuito o pay) per accedere alla tv.

 

Questo significa che il digitale terrestre è definitivamente la principale porta di ingresso della televisione. Questo significa che il digitale terrestre ha trasformato la tv di sempre in una nuova tv ancora più ricca e completa, una tv ancora di più di tutti, ancora di più per tutti. L’unica porta di ingresso accessibile a tutti e non più solo per pochi o, peggio, solo per chi può permetterselo. Se qualcuno pensa che ci sia ancora discussione su questo punto si sbaglia.

 

In Italia, come in Europa, una parabola è stata superata. E’ la parabola di una tv satellitare a pagamento ricca, completa e attrattiva, che aveva ed ha tutto e una tv terrestre vecchia, desueta, povera di contenuti, arretrata e verso il declino. Questa parabola è stata superata in ogni Paese, compreso il nostro, con una tv terrestre che si rinnova, che si moltiplica, che si arricchisce e recupera ovunque e un satellite che incomincia ad arrancare ed ha fermato la sua crescita. Con un satellite a pagamento che è e rimarrà un’offerta importante ma facoltativa e accessoria e la vecchia tv terrestre ringiovanita nella sua versione digitale che svolgerà in modo ancora più ricco e completo la sua funzione di servizio per tutte le fasce di utenza.

 

E chi è il protagonista di questo cambiamento? Sono in tutta Europa i broadcaster di sempre insieme a qualche nuovo soggetto a cui si dà il più grande benvenuto. Sono loro che innovano offerte e moltiplicano contenuti e  riconfermano con decisione la storica leadership. Questa è la vera novità, è il vero cambiamento. Altro che una tv generalista sulla via dell’esaurimento e del declino. Altro che broadcasters tradizionali vecchi, desueti e spompati. E’ la novità di una tv generalista che si presenta di fronte al suo pubblico per svolgere e riconfermare il suo ruolo di  protagonista.

 

E’ con questa consapevolezza che dovremo affrontare gli switch-off dei prossimi mesi ad Aosta, a Torino, Trento, Bolzano, Roma, Napoli. Accreditando ancora di più il digitale terrestre come tv di tutti e per tutti, superando ogni equivoco, confusione e incertezza, anche tra gli utenti, rispetto a quale sia l’unica porta di ingresso per accedere gratuitamente ai contenuti televisivi per tutti. E’ questa la linea che vedrà le nostre aziende protagoniste di nuove iniziative già nelle prossime settimane.

 

E ancora vale la pena sfatare un ennesimo luogo comune che ci trasciniamo dietro dall’inizio di questo processo, un luogo comune su cui ancora qualcuno continua a insistere e che spero possa essere definitivamente archiviato. Sto parlando di quell’asserto tutto ideologico secondo cui l’ambiente digitale italiano sarebbe un sistema chiuso, un affare per i soliti noti che si prefigge in modo furbesco di mantenere di fatto nel digitale le medesime posizioni raggiunte nel vecchio ambiente analogico. Forse ci si dimentica che proprio grazie al digitale terrestre sono entrati nel settore tv operatori che si chiamano Gruppo Espresso, Hutchinson Wampoa, DFree e Airplus.

 

Che esistono canali nazionali gestiti da soggetti come La Repubblica, Class Editori, la Conferenza Episcopale Italiana , BBC, Universal, Walt Disney. Che importanti gruppi editoriali hanno recentemente annunciato il lancio di dodici canali. Forse ci si dimentica che l’Italia è l’unico Paese Europeo che ha imposto ai grandi gruppi televisivi la cessione del 40% della propria capacità trasmissiva a soggetti terzi e che, grazie a questa misura, nuovi soggetti come il canale per bambini K2 o il nuovo canale ABC del Consorzio Alphabet avvieranno le trasmissioni prossimamente. E’ forse venuto il momento di dirlo forte e chiaro: il sistema televisivo italiano, proprio grazie al digitale terrestre, è diventato uno dei più aperti d’Europa. Non c’è alcun inganno per mantenere le posizioni acquisite, come d’altra parte gli stessi dati di ascolto della Sardegna dimostrano in modo eloquente. C’è solo la sana competizione da parte di soggetti vecchi e nuovi, la capacità e la volontà di misurarsi sul mercato attraverso l’intelligenza di sapersi rinnovare ancora una volta, per competere sulle offerte e sui contenuti, così come peraltro abbiamo sempre fatto in questi decenni.

 

Se mai c’è stato, non è più insomma questo il momento della pazienza. Per la prima volta non è più il tempo delle promesse future ma del presente. Non è più il tempo delle potenzialità virtuali ma del reale. E’ questo il tempo dell’azione e dell’impegno. E anche quello delle nuove idee e delle nuove proposte. Siamo pronti ad accettare questa sfida per riconfermare anche in questa fase il nostro ruolo da protagonisti? Siamo pronti ad affrontare l’ingresso nel mondo digitale televisivo di questi milioni di cittadini italiani ed europei nei prossimi tre anni? Siamo pronti ad accettare le fasi che porteranno più del 30% degli italiani, oltre 6 milioni, nel digitale già da quest’anno? Siamo pronti ad affrontare gli switch-off della Val d’Aosta, del Piemonte, del Trentino e dell’Alto Adige, del Lazio e della Campania previsti per i prossimi mesi? Siamo pronti a fare di Roma la prima capitale digitale d’Europa? Si può fare?  Se a Torino dicevamo “il futuro è chiaro” il presente adesso lo è ancora di più.

E allora io dico: si può, si deve fare.

 

Ma ci sono ancora altre facce del cubo che devono andare a posto. Sono quelle facce a cui lavoreremo sin dalle prossime ore.

 

Una prima faccia riguarda l’Europa e le attenzioni che, in particolare la Direzione Concorrenza , sta rivolgendo al digitale terrestre italiano. Con una visione ancora influenzata da pregiudizi non si è infatti voluta risolvere una pendente procedura di infrazione, nonostante  il tempestivo intervento legislativo del Governo abbia sostanzialmente risolto tutti i rilievi della Commissione. E in nome di tale procedura pendente, si è avviata con Bruxelles una intensa attività di negoziazione da parte del  Governo e dell’Autorità che sta dando i suoi frutti proprio in questi giorni. Si sta profilando, come ci ha detto il Presidente Calabrò, una sorta di gara per l’assegnazione di alcuni multiplex nazionali sulla base del diritto comunitario. Sia chiaro, le imprese sono attente e sensibili a questi richiami. Ma non siamo disponibili in nessun modo a mettere in discussione gli investimenti sostenuti per costruire le reti di trasmissione né il metodo positivo costruito dal  Ministero, dalla Autorità e dalle imprese e che vedrà alcuni dei presenti già oggi pomeriggio al tavolo per la pianificazione del Piemonte. Si, dunque, anche a nuove procedure europee. Nessun rallentamento del  processo però, né alcuna rinuncia ai principi e al metodo fin qui seguito e, soprattutto, alle legittime istanze delle emittenti.

 

Una seconda questione riguarda la emittenza locale. In questi anni le tv locali sono state considerate  a volte come “l’anello debole del sistema” se non addirittura  come un peso da trascinare. Tutto sbagliato. ciò che è avvenuto in Sardegna con la più convinta partecipazione di tutte e 16 le emittenti locali dalla più importante alla più piccola, dimostra esattamente il contrario. La piena e convinta partecipazione della emittenza locale ha la medesima importanza e dignità di quella delle emittenti nazionali. In questi mesi sono testimone dell’impegno dimostrato dalle due associazioni in DGTVi, e soprattutto di quanto si sia modificato l’atteggiamento delle tv locali passate da un sentimento iniziale di ostilità e diffidenza ad un coinvolgimento attivo che ha consentito il raggiungimento di risultati di sistema, come nel caso della pianificazione delle frequenze, che senza le tv locali non sarebbe stato possibile. Emittenti locali che sono chiamate oggi a due grandi sfide. Quella che abbiamo già richiamato sul piano dei contenuti e delle offerte attraverso le quali rafforzare ancora di più il legame con il territorio e sfruttando appieno le potenzialità del digitale.

 

La seconda sfida, soprattutto in questa fase, è quella che riguarda il superamento delle rivalità territoriali. A Roma, a Napoli e a Torino si devono sapere ripetere, magari con formule diverse dai Consorzi come ad esempio le associazioni temporanee di impresa, le positive esperienze dei Consorzio Sardegna e Valle d’Aosta Digitale riunendo unitariamente tutte le tv locali operanti in quelle specifiche aree. Se così non sarà, se non si riusciranno a superare i contrasti locali di sempre, bruceremo la possibilità di svolgere un’azione coordinata sul territorio, in grado peraltro di raccogliere quei finanziamenti indispensabili per le stesse emittenti.

Anche in questo caso si può fare. La Sardegna e  la Valle d’Aosta ce lo hanno dimostrato.

 

Ancora. La piena operatività di Tivù. Abbiamo tutti una convinzione: senza un soggetto come Tivù i singoli broadcaster non possono affrontare tutti i passaggi che ci aspettano. Mi riferisco all’offerta satellitare gratuita che consenta tra pochi mesi di integrare il servizio terrestre per quel 4/5% di italiani che non possono e non potranno ricevere in altro modo l’intera offerta televisiva. Mi riferisco alla Guida Elettronica ai Programmi e all’ordinamento automatico dei canali che rappresentano un elemento indispensabile per affrontare gli switch-off del 2009. Elementi che, come sappiamo, dovranno passare attraverso un accordo tra tutti gli operatori, sotto la guida delle istituzioni, ma dovranno anche essere materialmente realizzati e gestiti. E da chi se non proprio da Tivù? Mi riferisco alla necessità di fornire gli indispensabili strumenti di comunicazione sul territorio, a partire dal call center del Ministero delle Comunicazioni, che così bene ha funzionato, sino alle catene di elettronica di largo consumo che dovranno essere in grado di fornire informazioni corrette e comprensibili alla portata delle centinaia di migliaia di utenti che si presenteranno già nei prossimi mesi. Tivù dovrà presidiare questo processo conferendo al digitale terrestre la visibilità che è talvolta ancora scarsa, troppo scarsa, per sostenere la domanda che verrà prodotta. In questa chiave è un dato estremamente positivo la prossima adesione a Tivù, che annunciamo in questa Conferenza, oltre che di Rai, di Mediaset e di Telecom Italia Media, che l’hanno fondata, anche delle associazioni di tv locali Aeranticorallo e FRT. Un’adesione alla quale mi auguro ne seguiranno altre per costruire un soggetto ancora più autorevole, ancora più rappresentativo, ancora più al servizio dell’intero sistema.

 

Un’ulteriore faccia del cubo alla cui risoluzione stiamo lavorando riguarda gli aspetti relativi agli standard tecnologici dei ricevitori digitali, decoder o tv integrati che siano. Sono elementi che riguardano noi tutti come utenti, come consumatori.  Ad esempio l’alta definizione, che rappresenta un elemento strategico di diffusione del digitale terrestre e che grazie all’accordo con HD Forum Italia è ormai alla vigilia di un lancio su vasta scala in ogni area di switch-off.

Ma mi riferisco anche ad un’altra questione. Già quest’anno nel nostro Paese tra decoder e tv con ricevitori integrati è presumibile che saranno venduti oltre 9 milioni di pezzi. Un processo fortemente accelerato anche grazie al fatto che tra novanta giorni diverrà obbligatorio per tutti i televisori avere già all’interno un ricevitore digitale. In un anno sarà praticamente raddoppiato il normale e fisiologico mercato domestico. La questione è: quali caratteristiche devono avere questi ricevitori e soprattutto i tv integrati?

 

Garantiranno davvero di essere adatti a ricevere ogni programma in chiaro o a pagamento e ogni servizio interattivo (compreso ad esempio l’ordinamento dei canali), di potere assicurare un minimo di evoluzione e crescita del sistema? Nella costruzione di questo processo industriale abbiamo trovato dei compagni di strada preziosi. Alcuni li avete visti, sono gli sponsor di questa Conferenza e colgo l’occasione per ringraziarli. Altri hanno comunque firmato con noi i contratti per la adesione alla iniziativa del bollino DGTVi: si tratta di imprese che rappresentano il 90% del mercato italiano dei decoder e il 75% di quello dei televisori. Ebbene in questi anni abbiamo difeso strenuamente un modello italiano che oggi è ancora il più evoluto d’Europa: non solo consente la ricezione di trasmissioni criptate per la tv a pagamento e, in questa chiave un grande successo (oltre 300.000 vendute negli ultimi mesi del 2008) hanno avuto i moduli che consentono di inserire le carte direttamente negli apparecchi tv. Ma anche, tra non pochi scetticismi all’interno delle nostre stesse aziende, abbiamo difeso la interattività del sistema e dunque la necessità di inserire non solo nei decoder ma anche nei tv integrati quei pezzi di software e hardware che consentano di navigare tra i diversi contenuti, di rendere la televisione interattiva.

 

Sarebbe infatti un errore drammatico distribuire apparecchi che precludano agli utenti la possibilità di accedere a servizi che sicuramente nasceranno, cresceranno e si svilupperanno già nei prossimi mesi. Sarebbe un errore drammatico dovere costringere gli stessi utenti a cambiare di nuovo il televisore magari solo fra un paio di anni. Ebbene colgo l’occasione di questa Conferenza per lanciare una sfida ai nostri amici produttori: di fronte all’impegnativo calendario che ci attende voglio chiedere a tutti che sia proprio il 2009 l’anno entro il quale il processo di standardizzazione dei televisori sia compiuto e cioè che entro i prossimi dieci mesi vi sia solo un bollino blu che dica agli utenti definitivamente e in modo chiaro “questo televisore è pronto in modo completo al passaggio al digitale con tutti i programmi e tutti i servizi: potete fidarvi”. Si tratta di un grosso impegno, ne sono consapevole, ma sostenibile di fronte  alle dimensioni forse irripetibili che il mercato annuncia. Ciascuno sarà libero di aderire. Ma questa  strada noi la percorreremo comunque perché la riteniamo giusta e corretta a tutela e a garanzia dell’interesse generale.

 

E un’ultima faccia del cubo a cui lavorare riguarda le risorse che sosterranno questo processo. Intanto le risorse pubbliche devono accompagnare il sostegno alle fasce deboli della popolazione ma anche finanziare le campagne di informazione a livello locale. In ogni Paese si destinano centinaia di milioni di Euro ogni anno a supporto di questo processo, il nostro non può e non deve essere da meno. Tutti sappiamo quanto il Sottosegretario Romani si stia battendo per individuare, pur in una fase economica così complicata, tali finanziamenti. Sa Romani e sa il Governo che senza tali fondi difficile, se non impossibile, sarà portare a compimento questo processo anche per l’effetto moltiplicatore che queste risorse generano per l’intero sistema. Ma parlare di risorse significa anche parlare di mercato. Un mercato, quello italiano, che se è leader europeo per le risorse derivanti da tv a pagamento sul digitale terrestre è ancora debole, troppo debole sul piano della raccolta pubblicitaria riferita alla nuova piattaforma digitale. Le ottime potenzialità, anche in termini di ascolto, possedute dai nuovi canali digitali devono essere utilizzate per raggiungere, anche in termini di raccolta pubblicitaria, il livello degli altri Paesi europei.

Ma c’è un altro aspetto da scoprire e valorizzare oltre alla pubblicità: si tratta del mondo dei servizi che può essere davvero un elemento esplosivo di crescita per il nuovo ambiente del digitale terrestre. Insieme al canone, alla pubblicità, ai ricavi ottenuti dalla tv a pagamento si potrebbe davvero aprire un nuovo mercato, per veicolare a gruppi di utenti, a target mirati, alle grandi platee servizi appositamente realizzati per loro. Attraverso l’interattività del digitale, finora assolutamente sottovalutata, in questo processo possono coinvolgersi anche le pubbliche amministrazioni che potrebbero trovare per la prima volta proprio nel media a maggiore diffusione, la televisione, quello strumento utile per veicolare contenuti e servizi necessari agli utenti, ai cittadini.  Persino a quelle fasce più deboli dell’utenza che non hanno ancora accesso ad Internet. E’ questa la missione di diverse esperienze locali, come abbiamo visto ieri, così come del canale Ted dedicato al mondo della sanità. E’ questa la missione del nuovo canale ABC che nasce con l’obiettivo di mettersi a disposizione delle grandi aziende private e degli enti pubblici che devono educare e formare così come di un altro progetto che sta partendo a Roma, in occasione dello switch-off, che ha l’obiettivo di realizzare un canale televisivo fortemente interattivo di promozione e vendita dei biglietti di tutti gli eventi culturali, musicali e teatrali. La pubblicità potrebbe così non essere più l’unico vettore per finanziare i programmi ma invece gli stessi servizi potrebbero determinare nuovi format, idee e modelli per nuovi contenuti. Un mondo nuovo si è aperto e chi editorialmente e imprenditorialmente  saprà approfittarne potrà scrivere una nuova pagina nella evoluzione della televisione e dei suoi potenziali meccanismi innovativi con i quali attrarre risorse. Ancora una volta: si può fare, lo stiamo facendo.

 

In conclusione, il passaggio al digitale è un grande processo collettivo a cui partecipano piccole e grandi imprese, istituzioni e amministrazioni nazionali e regionali, associazioni, utenti e consumatori. Un processo collettivo una delle cui ricette di successo è stata quella di avere saputo stare insieme, di essere riusciti a farlo. E’ forse la prima volta che questo succede nella storia del settore televisivo: insieme il servizio pubblico, le grandi emittenti private e quelle meno grandi, le emittenti locali, tutte le aziende.

Così come faremo ad esempio con lo spot nazionale presentato ieri in anteprima e che sarà trasmesso già dalle prossime settimane, per la prima volta, da tutte le emittenti su tutte le proprie reti.

Siamo riusciti a stare insieme. Non hanno vinto per una volta quelle pur naturali tendenze all’autosufficienza e al volere o sapere fare da soli.

Insieme si può fare. E si può fare meglio.

 

Il digitale terrestre si è rivelato un percorso positivo, una sorta di catalizzatore e di moltiplicatore, come ha detto il presidente Marcegaglia, soprattutto in un momento in cui c’è bisogno di processi innovativi per superare e affrontare la crisi economica in cui versa il nostro Paese. Un processo industriale in cui sono coinvolti tutti e non più unicamente i broadcaster ma anche le pubbliche amministrazioni, le decine di aziende piccole e grandi che si stanno misurando con il nuovo ruolo di editore e di produttori di contenuti e servizi. Quelle che stanno costruendo e distribuendo gli apparati di ricezione, le migliaia di punti vendita che li commercializzeranno. Tutte quelle società che stanno realizzando le reti di trasmissione e tutte quelle che saranno coinvolte nei processi di comunicazione e di assistenza all’utenza. Un processo in cui si respira aria di innovazione, di nuove idee, di nuovi mercati, di nuove offerte. Una sfida tutta italiana: con un’aria di rinnovata e sana competizione tra nuove e vecchie aziende, grandi e piccole. Un’aria che fa bene al sistema, che fa bene al nostro Paese.

 

Per questo, a conclusione, devo ringraziarvi. Devo ringraziare i soci di DGTVi, tutti, che hanno condiviso ogni passaggio spesso anche rinunciando alle proprie specificità, i consiglieri attuali e quelli passati a partire da Piero De Chiara che ha guidato l’associazione con l’impegno e la passione che conosciamo. Devo ringraziare la mia azienda che mi ha consentito di lavorare davvero a tutela di tutti, ma soprattutto voi, uomini e donne che con diversi ruoli, responsabilità e funzioni siete i protagonisti di questo processo. Da chi lavora nella pubblica amministrazione e nelle istituzioni a chi sul digitale ha effettuato la propria scommessa imprenditoriale, da chi ha responsabilità manageriali a chi, a diverso titolo, in questi anni ha partecipato a questa avventura. Anche rispetto agli entusiasmi e alle delusioni, alle partenze e alle fermate degli scorsi anni, alle speranze e alle incertezze che tutti abbiamo vissuto fino a ieri. Anche per voi, ve lo assicuro, niente è come prima.

 

Grazie allora a tutti quanti voi per esserci, per l’impegno dimostrato e per quello che continuerete a dimostrare. E’ infatti solo attraverso l’impegno di ognuno di noi che è possibile il successo di tutti.

Di tutti noi, delle nostre imprese ma soprattutto del nostro Paese.

 

  

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