Cnipa – Consip: con il RIM l’ICT pubblico fa le prove di federalismo cooperativo

di di Giorgio Sebastiano |

Italia


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Se il ministro Brunetta, dopo aver dato la caccia ai fannulloni, volesse dedicarsi anche a cercare quelli che, al contrario, una PA migliore “si può fare”, non dovrebbe fare molta strada, al massimo un centinaio di metri.

   

La “prova generale” di una Pubblica Amministrazione fatta di cooperazione, interazione, condivisione, è andata in onda Mercoledì scorso presso il Palazzo del Cnipa dove, in partnership con il vicino Cnipa, la presentazione del “RIM – Risorse per l’incident management”, una suite di prodotti per la sicurezza delle infrastrutture aderenti all’SPC, il Sistema di Pubblica Connettività che da novembre scorso ha mandato in pensione la vecchia Rupa.  

  

“Oggi – ha esordito Renzo Flamini, direttore Infrastrutture IT di Consip – abbiamo dato una risposta concreta al progetto di sinergia tra le pubbliche amministrazioni per portare tutte le PA a potenziare la loro organizzazione, i loro sistemi che presidiano la sicurezza informatica”.

“Oggi – ha proseguito Emilio Frezza, responsabile Area infrastrutture del Cnipa – per la prima volta si sono riuniti tutti i responsabili della sicurezza delle PA centrali ed hanno condiviso strumenti e metodologie di lavoro per far fronte alla grande responsabilità del trattamento dei dati del cittadino, come previsto peraltro dal codice dell’amministrazione digitale”.

  

L’obiettivo è quello di operare affinché le varie componenti delle PA centrali e locali possano interagire in un ambiente interoperabile che consenta una gestione condivisa e sicura dei dati custoditi nei vari sistemi informatici non sia più solo un teorico dovere previsto nel codice dell’amministrazione digitale.

  

Per raggiungere questo obiettivo però non basta dotarsi di un’infrastruttura tecnologica anche se la più grande rete pubblica d’Europa. La novità è nel tentativo di trasformarla in miniverso per una vera e propria community pubblica, una “Second life” per la condivisione di servizi, applicazioni, protocolli, standard, per raggiungere il massimo risultato in termini efficienza della PA al minor costo non tagliando gli investimenti ma eliminando tutte le duplicazioni, le inefficienze, gli sprechi.

 

Un valore aggiunto necessario, perché l’Spc è una sistema “federale”, obbligatorio per le amministrazioni centrali e gli enti pubblici nazionali, non lo è per le PAL. 

L’adesione comunque non comporta perdite di autonomia.

“Chi aderisce al sistema – spiega Flamini –  mantiene inalterata la propria autonomia; anzi, rafforza il proprio ruolo grazie alla condivisione di informazione preventiva e nel fornire il valore aggiunto della propria competenza”. Le prime ad aderire sono le Regioni Emilia Toscana, Umbria, Lombardia, Puglia; l’adesione può comunque essere attivata dai singoli comuni come dagli enti pubblici.

  

La prova, al di la delle parole, è nel software presentato, una serie di prodotti liberi da licenze ed open source, il cui codice sorgente è stato quindi messo a disposizione di tutti gli utenti della Rete che, se lo vorranno, potranno diventare parte attiva del processo di miglioramento contribuendo al miglioramento o all’implementazione del software. Partecipazione che si può tradurre anche nella parte “groupware” per la condivisione delle problematiche inerenti la sicurezza dei sistemi informatici.

  

Insomma, se si vuole, si può fare. Ora la palla passa a chi ha il dovere, a questo punto, di dimostrare di saper trasportare efficienza e federalismo dai programmi elettorali al fornire servizi efficienti al citadino che, a questo punto, se sarà ancora obbligato a fare il fattorino di se stesso nell’interazione con la PA, saprà con chi prendersela.