Regolazione e reti televisive: un ossimoro tutto italiano

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L’articolo che segue, a firma di Fabio Bassan, è tratto da la-rete.net (www.la-rete.net), il nuovo sito che intende sostenere il dibattito sulla società dell’informazione in Italia.  

Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 si attendeva il blow-up delle telecomunicazioni: dal riassetto di Telecom Italia allo scorporo della rete; dalle strategie sulla telefonia fissa di Vodafone alle mosse dei nuovi proprietari di Fastweb; dalle corse di Tiscali, preda e predatore alle fluttuazioni internazionali dei proprietari di Wind. I movimenti evidentemente ci sono ma i rumori sono ancora attutiti; si attendono novità rilevanti per i prossimi mesi, che saranno decisivi per il sistema (in un senso o nell’altro).

 

Passi importanti si registrano invece nel settore televisivo, in cui si stanno sfruttando alcune potenzialità, mentre altre sono decisamente tramontate. Il gioco del bicchiere dipende in larga misura dall’arco temporale preso in considerazione.

Le occasioni sono state colte, per quanto era possibile, nel breve-medio periodo; sono sfumate invece quelle che avrebbero creato valore nel lungo periodo. La miopia stavolta, ma sembra questa una costante nel settore televisivo, ha colpito gli operatori di mercato.

 

Partiamo dalle brutte notizie.

 

Il fallimento riguarda l’ipotesi di un accordo tra gli operatori in relazione alle infrastrutture di rete, diretto a garantire un passaggio veloce e non traumatico al digitale. L’accordo, che avrebbe potuto assumere varie vesti giuridiche (un range ampio che va dal cosiddetto operatore unico a un accordo tra tower companies appositamente scorporate) e avere ad oggetto diversi livelli delle infrastrutture di rete, avrebbe garantito a ciascun operatore di trasmettere in digitale ogni programma (canale) con un’unica frequenza su tutto il territorio nazionale.  

Con ciò (tra l’altro), da un lato si sarebbero superate le attuali asimmetrie relative alla copertura: le differenze oggi sono sia sul piano quantitativo (pochi operatori coprono l’intero territorio, sia questo nazionale o locale, su cui sono abilitati a trasmettere) sia qualitativo (esistono, come è ormai riconosciuto per decreto, frequenze di serie A, coordinate sul piano internazionale, e frequenze di serie B, prive di tutela; il mix varia per ciascun operatore modificando a volte significativamente il valore dell’asset).

 

Dall’altro, lato la razionalizzazione avrebbe generato il cosiddetto dividendo digitale, che avrebbe consentito l’uso delle frequenze liberate dalle reti televisive per fini ulteriori e meritori (anche, eventualmente, non profit). 

L’assenza di un accordo ampio tra gli operatori, presupposto logico oltre che giuridico di un intervento dell’Amministrazione, ha reso vane le speculazioni sui vantaggi di una simile soluzione. E’ difficile peraltro (sebbene, teoricamente non impossibile) che ciò avvenga sul campo, regione dopo regione, secondo lo schema della conversione al digitale.

 

Fallita la rivoluzione di sistema, che spettava al mercato, si tratta ora di utilizzare alcuni strumenti di cui dispone l’Amministrazione, compatibili con la nota pronuncia della Corte di Giustizia che si è espressa (gennaio 2008) in via pregiudiziale sul caso Europa 7, riconoscendo in astratto la non compatibilità con il diritto comunitario di norme che procrastinano sostanzialmente sine die la cessazione della trasmissione di emittenti autorizzate a trasmettere solo in via transitoria.

Tra i surrogati della concorrenza diretti a prevenire l’ennesimo fallimento del mercato, c’è l’aggiudicazione della gara bandita per l’uso di alcune frequenze adespote. Lo strumento utilizzato e le modalità adottate sono meritevoli, anche se in concreto si pone più di un problema sul piano tecnico.

Certo, in ogni caso i risultati concreti non potranno che essere limitati, e le questioni vere – sul piano tecnico, economico e giuridico – restano irrisolte.

 

La partita dunque è tutta da giocare.

 

Si tratta di capire se l’interesse pubblico alla razionalizzazione del sistema in funzione di un uso più efficiente dello spettro non debba prevalere sugli interessi di parte, e quali strumenti di soft law prima ancora che di hard law sia legittimo adottare a tal fine.

In fondo, la regolazione ha accompagnato in questi anni l’evoluzione tecnologica nelle telecomunicazioni fisse e mobili, garantendo un tessuto connettivo anche in fasi di forte discontinuità di mercato; alcuni degli strumenti già sperimentati con successo sarebbero utili in questa fase nel settore televisivo.  

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