2° Seminario Bordoni: Leonardo Chiariglione è intervenuto sui DRM, ‘Necessari paradigmi giuridici e tecnologici per difendere la proprietà intellettuale’

di Flavio Fabbri |

Italia


Leonardo Chiariglione

Secondo appuntamento con i Seminari Bordoni. Dopo l’incontro con Francois Rancy sul tema centrale dello spettro, è la volta di un altro nodo cruciale su cui confrontarsi: il Digital Rights Management (DRM) ovvero la gestione dei diritti dei contenuti digitali.

Ospite d’eccellenza Leonardo Chiariglione, colui che il Time pochi anni fa inserì tra i dieci uomini più influenti nel mondo di internet.

Quindi personaggio azzeccato e tema centrato in questo secondo appuntamento promosso dalla Fub – Fondazione Ugo Bordoni che si è avvalsa del supporto tecnico-organizzativo dell’Isimm.

   

Opinioni e posizioni diverse hanno animato un confronto vivace e carico di aspettative, proprio in considerazione della presenza attesissima di Leonardo Chiariglione e del suo nuovo progetto interdisciplinare: Dmin.it.

   

CEO di Cedeo.net, padre di Mpeg2 e Mpeg4, di Mp3, ovvero dei principali standard tecnologici che hanno segnato la rivoluzione nei contenuti digitali e della loro diffusione in rete, Leonardo Chiariglione ha spiegato perché è necessario un DRM armonizzato e standardizzato, italiano e europeo, capace di coniugare diritti del consumatore e diritti dell’autore, valorizzando il ruolo dei soggetti intermedi della catena del valore.

   

Apertura dei lavori affidati, come consuetudine a Maurizio Décina, Presidente della Fondazione Ugo Bordoni, che è immediatamente entrato nel vivo: “…i progressi tecnologici permettono la proliferazione dei contenuti digitali, anche senza alcun controllo né consenso dell’autore o di chi ne detiene in modo legittimo i diritti di proprietà intellettuale; ne consegue che questi legittimi proprietari ne rivendichino una tutela…ed in tale contesto le tematiche legate al DRM diventano cruciali….“.

   

Ma parlare di DRM non è semplice, perché non tutte le posizioni sono univoche, anzi, se da un lato è indiscutibile il diritto a difendersi di un autore, dall’altro l’adozione di misure troppo severe contro abusi di ogni tipo rischia di colpire indiscriminatamente anche coloro che vogliono fruire dell’opera correttamente e nel rispetto della legge: un rischio che minaccia il cosiddetto fair use.

   

L’aumento di vincoli e di leggi può quindi creare scompensi sia da un punto di vista giuridico che economico, perché alla fine è sempre il mercato la piazza in cui si decidono le sorti della storia moderna e questa è in pieno fermento.

   

Chiariglione non ha perso tempo, come è nel suo stile: “…il problema del Rights Management non è della nostra epoca, questo viene da lontano, da molto lontano. Da sempre c’è stato qualcuno che ha dato vita a un prodotto, il quale ha generato un valore e quindi una proprietà da difendere. La società è cresciuta nel corso del tempo con la diffusione di questi prodotti, sempre più complessi, sempre più carichi di attese, fino alla grande diffusione odierna con un altissimo valore intellettuale intrinseco che tutti noi condividiamo. Da qui discende il bisogno sempre più forte di intermediari e quindi di paradigmi giuridici e tecnologici che trovano spazio nel DRM…“.

   

Parlare di Rights Management significa ripercorrere la storia degli ultimi 2000 anni almeno, naturalmente con precisi riferimenti recenti quali la Convenzione di Berna (1886), la nascita dell‘ISO 2108 nel 1970 da cui l’ISBN (International standard book number), il Copyright Act del 1976 o la nascita delle Creative Commons nel 2001, per poi giungere al Rights Enforcement. Una lista non esaustiva di atti giuridici e economici con altissima ricaduta sociale, esattamente ciò che Chiariglione, facendo eco alle parole introduttive di Maurizio Décina, sottolineando come la riproducibilità tecnica delle opere d’ingegno ha generato una confusione giuridica ed economica su cui bisogna fare ordine.

“…Viviamo nell’era digitale, dove tutto è digitale, dai contenuti più ricchi, all’accesso in rete…. Questo determina una guerra tra chi genera i contenuti e chi li utilizza, tra chi li difende con la forza e chi ne fa oggetto di sabotaggi sistematici. Il Right enforcement genera una reazione uguale e contraria, non è una soluzione ma solo una risposta momentanea al problema del Rights Management. Il DRM è stato pensato come un sistema di prodotti e servizi IT che si prodiga nella distribuzione di questi e al loro controllo in termini di proprietà degli stessi da preservare. Al tempo dell’analogico si viveva nella ristrettezza dei contenuti, dei canali e della loro diffusione, con dei costi altissimi. Oggi viviamo come detto nell’era digitale, dell’abbondanza, nell’ubiquità, nel “qui e subito”, con dei costi molto più contenuti. Ma come si gestisce l’abbondanza, come si controlla la proliferazione in assenza di leggi e come si interviene senza ledere i diritti di ciascun attore in campo? La legge deve seguire lo sviluppo tecnologico? O è condannata a prendere atto a cose avvenute?…“.

   

Domande senza una risposta precisa queste di Chiariglione, ma dalle quali partire per delle riflessioni più articolate: “… provate a toccare una piattaforma tecnologica e avrete a che fare con schiere di avvocati. Solo che, se ci guardiamo attorno, è innegabile la diffusione di Mp3, Napster, e di networks P2P e questo vuol dire che la società come il mercato è sempre più frammentata e complessa e un intervento in enforcement sarebbe molto dannoso, con risultati non credibili…occorre muoversi su più piani:economico, sociale, normativo, guardando sia agli autori che ai consumatori, per giungere ad un corretto livello di gestione dei diritti che tenga conto delle diverse piattaforme tecnologiche. Il DRM di cui parliamo è una tecnologia pensata per gestire gli interessi degli aventi diritto, creando una catena del valore che assegni a ciascun attore un ruolo ben definito e che rispetti i profili legali. Ciò che oggi genera frustrazione nel consumatore, l’utente finale, è l’esistenza di DRM autocratici, autoreferenti, creati su misura, in un certo senso ‘privati’…Vogliamo creare antagonismo tra DRM e free contents? Questo è il tipo di sensazione insidiosa che si avverte a tratti e che non aiuta a trovare la giusta via e cioè quella della razionalità e dell’interoperabilità…“.

   

“… Una scelta razionale“, continua Chiariglione spiegando ciò di cui abbiamo bisogno, “…che incentiva la creazione, genera contenuti, gestisce l’abbondanza, asseconda lo sviluppo tecnologico, non è intrusiva, comprende i bisogni del consumatore finale e la sua voglia di sperimentare il digitale mediatico, ma soprattutto, è una scelta di standardizzazione, flessibile e disponibile ai cambiamenti …“.

   

Il problema è che lo standard non è univoco e i costi necessari per l’adozione di uno standard piuttosto che di un altro sono pesanti in termini di riconoscimento di brevetti. Come scegliere allora lo standard che meglio di altri soddisfi la catena del valore?

   

“… Interoperabilità“, spiega Chiariglione, “significa scambio di’informazioni su file attraverso protocolli con specifiche aperte e che creino interoperabilità. La soluzione che stiamo cercando deve riprendere l’impostazione dell’armonizzazione, anche se più complessa nel tempo perché chiede di essere riconosciuta da più soggetti. Per i right holders la cosa più importante è accedere alla catena del valore, fare parte della transazione, quella in cui gli intermediari, grazie ai costi bassi dovuti alla standardizzazione tecnologica hanno visto aumentare la competitività e le manovre sulla ripartizione dei profitti. Quindi parliamo di flessibilità della catena del valore che significa anche maggiori benefici per il consumatore finale …“.

“… Un DRM armonizzato significa di fatto per il detentore dei diritti proteggere il contenuto e accedere più facilmente alla catena del valore, per gli intermediari poter contare su costi più bassi di gestione del sistema e per gli utenti finali la libertà di scegliere tra un’infinità di fonti e di costi diversi. Praticamente l’intento originario da cui mosse il Digital Media Project nel 2003, in base al quale si auspicava che le tecnologie fossero integrate con tutti i loro componenti e standardizzate come nel caso dell’Mpeg e del suo DR le cui componenti/tecnologie erano: il digital item, il digital item identification, DRM tool management, rights expression language, righits data dictionary, event reporting…“.

  

Quindi di soluzioni ce ne potrebbero essere molte, come nel caso del software Chillout reference, in realtà una libreria virtuale da cui si genera catena di valore ad esempio. Uno strumento che unito a quelli sopra indicati ci porta dritti al concetto di Digital Media e di Dmin.it (www.dmin.it) tanto cari a Chiariglione: “… tutto ciò che ci circonda è digitale o lo potrebbe essere a breve, perché tutto è contenuto digitalizzabile, se trasportato su network digitali e processato su dispositivi programmabili. Il Dmin ha cercato fin da subito di trasformare ogni cosa in un flusso di dati digitali e di massimizzarlo, proprio in termini di DRM dei media, di network access e online payment system. Un’idea che punta dritta al giusto equilibrio tra il diritto degli operatori di fornire servizi tramite tecnologie che meglio supportano i loro interessi e il diritto dei consumatori di accedere ai servizi con un minimo livello di interoperabilità. Per delineare questo punto di equilibrio bisogna però considerare l’area di intervento, i relativi paesi e policy, da cui poter creare un mercato omogeneo di 500 milioni di persone che è la nuova Europa e, nel contempo, rigenerare l’industria di un continente oltre che di un paese…“.

   

Chiariglione sottolinea che “… Dmin.it è una grande comunità di utenti, admin.action, che sta implementando le applicazioni Chillout e selezionando tecnologie adatte come P2P iDRM, VHS 2.0, idDRM, iPTV. Solo che bisogna prima partire da un livello nazionale, ovvero creare uno standard locale per un mercato come il nostro di 35 milioni di utenti, per dimostrarne utilità e accessibilità e poi cercare l’Europa, così come è stato gradualmente ad esempio per il GSM che poi ha conquistato il mondo.…“.

   

Quindi, da una parte il nostro mercato, dall’altra l’Europa.

Ma siamo così sicuri che ci sia ancora margine per discutere di economia e società in termini di ‘noi’ e ‘loro’?

Alcuni interventi in sala hanno proprio posto l’accento su questo ritorno di fiamma di esclusività tecnologica e legislativa, anche se Chiariglione si affretta a fugare ogni dubbio riguardo la sua posizione di europeista convinto: “… l’Europa è un punto fermo per tutti, un mercato enorme di persone, servizi e prodotti in continua crescita, ma bisogna sempre ricordare che i flussi di tecnologia e dati sono globali quanto le regolamentazioni sono locali, ciò significa che l’Europa continua a mantenere inalterate le sue peculiarità culturali e politiche interne ad ogni stato membro“.

In seno alla Comunità…“, termina Chiariglione, “…non c’è una volontà convergente, non c’è un’attitudine alla condivisione e la possibilità di sviluppare in Italia una nuova fase di standardizzazione per il DRM sarebbe davvero una situazione auspicabile da cui partire per coinvolgere poi l’Unione Europea nel suo complesso …“.

   

Un lungo intervento quello di Leonardo Chiariglione che ha sollevato molti quesiti e ha consegnato molte certezze.

Proprio nella Seconda Sessione del Seminario, moderata da Fernando Bruno del Ministero delle Comunicazioni, si è cercato di porre a confronto le imprese, i rappresentanti dei consumatori e gli esperti del settore, creando un confronto tra differenti posizioni.

Ma quanto occorre al sistema un modello di governante?

Bruno non ha dubbi: “… è internet che chiede regole più ampie, quindi ha bisogno di governance. Le regole che abbiamo sono molto restrittive qui in Italia, anche se diverse dagli Stati Uniti in termini di privacy, ma è ormai chiaro, anche alla luce dell’intervento di Chiariglione, che non bastano e bisogna valutarne l’adeguatezza. Il DR enforcement più che una necessità reale è stata una reazione delle majors ai flussi di comunicazione massivi degli ultimi dieci anni per riappropriarsi di quelle properties che generano profitti. Che i titolari di diritti debbano essere tutelati non c’è dubbio ma il P2P è un fenomeno culturale planetario e non necessariamente un modello di business. Si chiede quindi un DRM più flessibile che eviti l’atrofizzazione del mercato e l’inibizione del consumatore. C’è poi il tessuto delle PMI, delle Università, dei Centri di Ricerca, dei Centri di Eccellenza, una vasta platea di interlocutori che chiede di essere ascoltata. Senza tralasciare – ha concluso Bruno – che la Costituzione italiana garantisce l’informazione come accesso e conoscenza, quindi anche P2P e Open Source…“.

  

A chiamare le istituzioni in campo è anche Flavia Barca dell’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli, la quale chiede: “… uno Stato che si impegni, che si muova, anche come interlocutore, in grado di trovare un nuovo canale comunicativo tra generatori di contenuti e fruitori…Il fruitore finale, il consumatore, è sempre meno soggetto alle strategie di marketing, che infatti hanno vita breve. Ragion per cui tutti gli attori in campo sono attraversati da una corrente destabilizzante in cui bisogna mettere ordine con nuovi interventi da parte del legislatore“.

   

Anche Franco Visintin del SMPTE chiede “… un intervento legislativo forte perché forti sono le pressioni sui DRMs e considerando che tra la teoria e la pratica esiste un gap enorme, in quanto il DRM non è uno strumento assoluto, questo intervento si dovrà misurare con la privacy, l’autocrazia dei regolamenti e delle Majors che devono difendere capitali giganteschi …“.

   

In un certo senso, anche la posizione di Microsoft Italia per voce di Alberto Masini ha sollecitato un intervento del legislatore, ma rispondendo a Chiariglione, il problema è posto in un contesto più grande: “… pensare più in grande può essere già un punto di partenza da proseguire con l’armonizzazione delle richieste, dove il DRM nasce da una collettività e da una voglia di condivisione che la stessa Comunità Europea deve supportare in vista di uno standard adeguato e da tutti riconosciuto…“.

   

Parallelamente, non si può negare come esista uno scontro di interessi tra generatori di contenuti e fruitori, ma anche tra i consumatori bisogna fare distinguo importanti. Per Mauro Vergari di Audiconsum: “… c’è chi paga tanto e caro e non vuole ledere diritti a nessuno e c’è chi poi di soldi non ne ha e non cede di fronte all’attrazione di avere un prodotto nuovo a ogni costo, utilizzando vie non legali. Resta di fatto che DRM troppo rigidi creano una reazione uguale e contraria, anche perché di contenuti si parla tanto ma della loro qualità non parla mai nessuno…“.

   

Un punto d’incontro tra un DRM non restrittivo e le libertà dei fruitori, assieme a una certa garanzia che le ricadute positive risalgano lungo tutta la catena del valore è stato l’auspicio espresso da Francesco Graziadei della Luiss Guido Carli.

Diversa la posizione di Luca Balestrieri della Rai, il quale invita tutti a riflettere sulle motivazioni reali dello scontro intorno al DRM, “… tra gestori di contenuti e gestori di piattaforme, perché se la piattaforma acquista contenuti e li controlla direttamente, chi controlla la piattaforma? È sulla catena del valore che bisogna focalizzare l’attenzione ridistribuendo diritti, da chi produce contenuti fino a chi ne fruisce…“.

   

Posizioni trasversali dunque da parte dei diversi attori attorno a un focus che comunque appare chiaro: il DRM è un freno o uno sviluppo per l’economia e la società dell’informazione?

Paolo Talone della Fondazione Ugo Bordoni, che è intervenuto subito dopo l’intervento mattutino di Chiariglione non ha dubbi: “… nella situazione in cui ci troviamo non bisogna perdere altro tempo, serve una legislazione chiara e ordinatrice in grado di tutelare i diritti relativi ai contenuti digitali. Per governance si può intendere uno schema legale o normativo che leghi i diversi attori fra loro, attribuisca responsabilità e assicuri remunerazioni. Per far questo ci sono alcuni strumenti da tempo collaudati, come il fingerprint, stringa di bit associata al file che ne assicura l’identificazione, o il watermark, insieme di informazioni latenti nel file. L’importante è che si assicuri un equilibrio tra la tutela delle opere e il loro accesso. Quindi bisogna pensare a DRM caratterizzati da limitatezza temporale per aumentarne l’aderenza giuridica, finalizzati alla diffusione di conoscenza e rispettosi della centralità dell’utente. Da questi punti nasce la volontà da parte della Comunità Europea di lanciare una Consulta pubblica con lo scopo di promuovere azioni tese a favorire lo sviluppo di modelli di business innovativi e la fornitura in rete di servizi basati su contenuti creativi, proprio ciò di cui oggi si evidenza scarsezza e relativa mancanza di procedure per l’attribuzione di diritti …“.

“… Un sistema di DRM è lettera morta“, conclude Talone, “se non si accompagna ad un sistema di governance e un ‘Trust Model’, cioè uno schema legale/normativo che leghi gli attori tra loro, in un modello di condivisione e armonizzazione delle richieste “.che permetta l’affidabilità concreta della catena del valore. Ciò che noi auspichiamo è che il termine management significhi sempre più gestione e non solo protezione …“.

   

Allegati:

 

Pensieri ed azioni per un’economia sostenibile dei media nella società 

di Leonardo Chiariglione 

 

DRM e modelli di business a confronto: quali possibilità di sviluppo per una piattaforma aperta?
di Flavia Barca

L’enigma del DRM
di Franco Visintin

 

Le tecniche di tutela dei diritti nei contenuti digitali

di Paolo Talone – Giuseppe Russo

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