IPv6: Vinton Cerf, ‘necessaria una rapida migrazione verso il nuovo protocollo’ per garantire il futuro di internet

di Alessandra Talarico |

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Vinton Cerf

L’allarme arriva da Vinton Cerf, uno dei ‘padri fondatori’ di internet: la versione 4 del Protocollo IP (IPv4) sta mostrando i propri limiti in termini di capacità di indirizzamento, tanto che entro il 2010 potrebbero non esserci più indirizzi disponibili.

A fronte della notevole crescita di internet e dell’evidente scarsità di indirizzi, appare dunque quanto mai urgente accelerare il roll out dell’IPv6, in grado di offrire una quantità pressoché illimitata di indirizzi per i nodi di rete.

 

L’IPv6 – standardizzato già da 10 anni e in corso di sperimentazione in Giappone e in Corea – si presenta come la naturale evoluzione della versione precedente, ma, secondo gli esperti, vi sono anche freni di varia natura che ne rallentano il cammino, come ad esempio la compatibilità con le attuali strutture di rete. E’ necessario dunque portare l’IPv6 ovunque e favorire la graduale conversione dell’IPv4, per permettere a tutti i dispositivi abilitati di connettersi in rete.

 

Secondo Cerf, quindi, i service provider dovranno implementare urgentemente la nuova versione del protocollo, che renderà possibile la diffusione di nuovi contenuti e servizi, ma non tutti i player sono d’accordo sui vantaggi dell’IPv6.

 

Secondo Mario Morelli di Fastweb, ad esempio, “la transizione è certamente possibile, ma presenta dei costi importanti e sono necessari attenti piani per la migrazione e la coesistenza di IPv4 e IPv6”.

Riguardo poi ai costi da sostenere da parte degli operatori, “non ci sono – secondo Morelli – ritorni di investimento immediati e inoltre, a livello tecnico,  non è semplice gestire il NAT”, (Network Address Translation), una tecnica usata per sostituire nell’intestazione di un pacchetto IP un indirizzo, sorgente o destinazione, con un altro indirizzo.

 

La ragione di questo ‘slow start’ dell’IPV6 da parte degli ISP, è inoltre da attribuire, secondo Cerf al fatto che i provider sostengono che la domanda del cliente del mass market è ancora molto bassa.

 

Cerf ha sottolineato che quando si esaurirà la capacità di indirizzamento dell’IPv4, internet non cesserà di funzionare, ma la gente che chiederà un indirizzo non potrà averlo.

Prevenire, insomma, sarebbe sempre meglio che curare, perché se internet non supporterà l’IPv6, non avere un indirizzo IPv4 equivarrà a essere tagliati fuori dalla rete.

 

La prospettiva dell’IPv6 appare dunque inevitabile, anche se manca ancora un business case in grado di dare il là a una partenza decisa dell’IPv6 che, una volta implementato, permetterà l’offerta di servizi sempre più ricchi, incluso internet mobile. 

 

Nel corso degli anni, sono stati sviluppati diversi meccanismi per superare le limitazioni di indirizzamento dell’IPv4. L’IETF (Internet Engineering Task Force) si è posta questo problema fin dall’inizio degli anni “90, avviando un’attività di ricerca per la specifica di un protocollo IP di nuova generazione, che superasse le limitazioni dell’attuale versione.

Dopo una serie di proposte che hanno contribuito alla definizione dei requisiti per il nuovo protocollo, nel 1994 si è compiuta la scelta del candidato a sostituire l’attuale IPv4, che è stato denominato, appunto, IPv6.

 

Da allora è stato fatto molto lavoro: le specifiche hanno raggiunto un elevato grado di maturità, si può contare un numero notevole di implementazioni del protocollo, tra le quali quelle dei maggiori costruttori di router.

 

Certamente la novità più importante introdotta dal protocollo IPv6 è l’adozione di uno spazio di indirizzamento su 128 bit contro i 32 bit di IPv4.

La disponibilità di indirizzi più lunghi, oltre a garantire un margine di crescita pressoché illimitato, consentirà di dare alla rete Internet una struttura più flessibile ed efficiente di quella attuale.

 

L’introduzione del nuovo protocollo dunque, appare cruciale per il futuro dell’ICT, soprattutto alla luce di fattori quali l’aumento vertiginoso previsto dalle comunicazioni ‘machine to machine’, l’aumento dei giochi con concorrenti in rete, il superamento del ‘digital divide’.