TDT: De Chiara all’Ue, ‘Preoccupazione legittima, ma rischiamo di danneggiare gli investimenti e rallentare i risultati raggiunti’

di Raffaella Natale |

Italia


Antenne radioTv

Piero De Chiara di DGTVi si è detto sorpreso del parere motivato, inviato della Commissione Ue all’Italia affinché la normativa in materia di radiotelediffusione venga resa conforme con il quadro normativo comunitario relativo alle comunicazioni elettroniche.

Il presidente dell’associazione, che riunisce Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, Dfree, Frt e Aeranticorallo, ha dichiarato che non comprende il richiamo di Bruxelles al criterio, che non è fissato in nessuna Direttiva, secondo cui i broadcaster dovrebbero usare frequenze digitali solo nella misura necessaria per la ritrasmissione dei vecchi canali analogici.

 

“Gli operatori italiani – ha commentato – hanno in questi anni investito in nuove reti digitali al di sopra delle medie europee, spinti da una normativa che ha fissato gli obblighi di copertura digitale per la Rai, e ha prorogato l’autorizzazione per i privati nazionali e locali a condizione di dotarsi di una rete digitale”.

Aggiungendo che “Gli operatori principali sono inoltre obbligati ad affittare il 40% della capacità trasmissiva a canali indipendenti, scelti non da loro ma dall’Autorità per le Comunicazioni: questa norma avanzata rispetto al contesto europeo consente l’ingresso anche di nuovi fornitori di contenuti che non vogliano sobbarcarsi l’onere dell’acquisto e costruzione di una rete propria”.

 

De Chiara ha spiegato che, “…accanto alle reti digitali esercite dalle imprese esistenti, sono inoltre entrati, da quando si sono avviate le trasmissioni in digitale terrestre, tre nuovi operatori nazionali di rete che prima mai erano entrati nel settore televisivo (Dfree, l’Espresso e La3): i fatti dimostrano che il passaggio al digitale determina una apertura non solo nel mercato dei canali, ma anche in quello delle reti a nuovi capitali nazionali e stranieri”.

Per il presidente di DGTVi, “Si deve far di più, meglio e più in fretta; ma in alcuni passaggi il parere della Commissione dimostra una scarsa conoscenza o comprensione della realtà italiana”.

E ha concluso sostenendo che “La preoccupazione dell’Ue, affinché la televisione digitale sia più concorrenziale di quanto non lo sia stata quella analogica e la richiesta di rimuovere i diritti speciali ed esclusivi che ancora permangono nella normativa italiana, sono legittime; la lettera di Bruxelles prospetta però sviluppi che rischiano di danneggiare gli investimenti e di rallentare drammaticamente i risultati non disprezzabili sinora raggiunti nel nostro percorso verso il digitale”.

 

La Ue ritiene che la normativa italiana che disciplina il passaggio dalla tecnica di trasmissione terrestre analogica a quella digitale introduca restrizioni ingiustificate alla prestazione di servizi di radiotelediffusione e attribuisca vantaggi ingiustificati agli operatori analogici esistenti.  

 

La situazione attuale, si legge nella nota Ue, per quanto riguarda le trasmissioni in tecnica analogica, dove solo un numero ristretto di operatori è in grado di competere nel mercato dei servizi di radiotelediffusione, rischia di riprodursi nel settore della televisione digitale terrestre, il che significa continuare a offrire minori possibilità di scelta ai consumatori italiani.

Bruxelles ha ricordato anche che la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora nel luglio del 2006.

“Qualora le autorità italiane non prendano le disposizioni necessarie per conformarsi al parere motivato entro due mesi dal suo ricevimento, la Commissione può decidere di deferire l’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee”.

 

E ha aggiunto che “…Dopo aver ricevuto la lettera di costituzione in mora, le autorità italiane hanno elaborato un disegno di legge inteso, tra l’altro, a modificare la normativa in vigore in materia di radiotelediffusione. Il disegno di legge è attualmente all’esame del Parlamento italiano, che tuttavia non lo ha ancora adottato”. 

“A quasi un anno dall’invio della lettera di costituzione in mora, quindi, l’Italia non ha ancora notificato alcun concreto provvedimento inteso a rimediare alle questioni su cui la Commissione ha formulato le sue riserve”.

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