Lo scenario competitivo nelle TLC dopo le liberalizzazioni: la ‘rottura’ della catena di valore e le sfide della contaminazione

di di Enrico Manca (Presidente Isimm) |

Riportiamo di seguito l’intervento di Enrico Manca, presidente ISIMM, al Convegno ‘Lo scenario competitivo nelle TLC dopo le liberalizzazioni: nuovi assetti distributivi e nuovi operatori virtuali’,  13 giugno, sala delle conferenze di Piazza Montecitorio

Italia


Enrico Manca

Oggetto dei lavori odierni sono le liberalizzazioni, che possono rappresentare per l’industria delle telecomunicazioni un’opportunità per espandere ulteriormente il mercato delle comunicazioni mobili, che molti giudicavano ormai saturo.

Dal punto di vista teorico esiste, com’è noto, una netta contrapposizione tra “modelli” alternativi: il modello della competizione basata sulle infrastrutture e quello della competizione sui servizi; il modello dell’integrazione verticale e quello della totale dis-integrazione. Modelli che devono poi fare i conti con la realtà. Scegliere un modello in maniera ultimativa equivale a voler far rientrare quanto si muove nel mondo reale all’interno di uno schema concettuale che, per quanto complesso, rimane pur sempre una semplificazione – una virtualizzazione – del multiforme universo reale che ci circonda (“ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne contempli la tua filosofia, Orazio”, W. Shakespeare).

 

Nello specifico, le telecomunicazioni ereditano dal loro passato analogico un modello verticalmente integrato. Prima dell’esplosione delle tecnologie digitali e dei circuiti di commutazione a pacchetto (Internet Protocol) era la soluzione economicamente più conveniente. La rete coincideva in tutto e per tutto con il servizio – le chiamate vocali. Solo misure esterne, che rispondevano a criteri di benessere pubblico, intervenivano a limitare il controllo dell’operatore sulla totalità degli elementi della catena del valore. E’ il caso, negli Usa del 1982, della forzata divisione del “Bell System” in sei distinte società regionali per il traffico locale – le “Baby Bell” – e una – AT&T – per le chiamate a lunga distanza.

 

A partire dagli anni Novanta e a seguito della diffusione della tecnologia digitale, oltre agli interventi del Regolatore, sono le medesime ragioni economiche che portano a interrogarsi sulla tenuta del modello verticalmente integrato. La convergenza con l’informatica, settore dove da tempo si è operata una distinzione tra hardware e software, ha infatti reso concettualmente possibile la separazione del servizio dalla rete, divenuta “neutrale” rispetto al contenuto. Le reti trasportano dati – bit – e la voce non è che uno dei possibili contenuti che queste possono veicolare in formato digitale. In particolare, le Next Generetion Networks (NGN), non fanno altro che accelerare il cambio di paradigma. L’NGN infatti consente l’integrazione dei servizi su un’unica piattaforma di rete, separando di fatto l’infrastruttura di trasporto da quella dedicata all’erogazione dei servizi.

  

Ma questa caratteristica, al di là del profondo valore di innovazione tecnologica, ha un effetto dirompente a livello industriale. Di fatto determina la “rottura” della catena del valore dell’operatore TLC, che si spezza in tre blocchi: infrastruttura di rete, sviluppo ed erogazione dei servizi, rapporto con il cliente.

 

In altre parole, per un’azienda di tlc l’integrazione verticale, da soluzione tecnicamente necessaria, diventa un’opzione. Ma non per questo dovrà essere sposata da tutti gli operatori o imposta dal Regolatore.

I recenti interventi del Governo e dell’Autorità di Garanzia hanno provocato dei cambiamenti non secondari nel settore delle comunicazioni mobili. Nell’ambito di una generale riforma in senso liberale dell’economia, il Decreto “Bersani” ha disposto l’annullamento dei costi di ricarica per le carte telefoniche, mentre l’Agcom ha invitato gli operatori radiomobili ad aprire le proprie reti a soggetti terzi che, pur non disponendo di frequenze assegnate in proprio, si presentano ai consumatori – cittadini, imprese e PA – come gestori, ancorché virtuali, di servizi di comunicazioni mobili.

Entrambi i provvedimenti intervengono sul controllo della filiera verticale da parte degli operatori ed entrambi rispondono a criteri pubblici (trasparenza e comprensibilità delle tariffe il Decreto Bersani, stimolo alla competizione l’Agcom).

 

Osservo che si è sviluppata una certa resistenza e ostilità da parte degli operatori, soprattutto per il provvedimento del Governo. Ostilità comprensibile, per quanto le ragioni pubbliche alla base dell’intervento abbiano un solido fondamento. Nel caso del Decreto Bersani, è stato notato che un intervento del genere non dovrebbe spettare al Governo ma all’Authority di settore; ed è innegabile che il mercato – tanto più se oggetto di puntuale regolazione – abbia bisogno di regole certe e che il rispetto dei ruoli tra le diverse Autorità pubbliche (Governo, Agcom e Antitrust) è un prerequisito imprescindibile.

Osservo che il superamento di un modello verticalmente integrato “puro” può essere interpretato come un’opportunità per far crescere il mercato dei servizi di comunicazione mobile. Un mercato oggi in Italia maturo – abbiamo più di una scheda a testa, neonati compresi – dove l’incremento del traffico vocale, a tariffe calanti, difficilmente garantirà gli abbondanti margini di crescita fin qui registrati.

Vorrei porre un interrogativo agli operatori: pensate siano maturi i tempi per prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di aprire la vostra base di clienti a servizi offerti da soggetti terzi, anche senza un preventivo accordo? Mi riferisco all’opportunità di fornire un accesso ad Internet in mobilità, favorendo la standardizzazione di soluzioni tecniche e finanziarie che permettano a fornitori indipendenti di proporre applicazioni e servizi agli utenti in mobilità, superando i modelli di business fondati esclusivamente sul walled garden. Effettivamente, se vogliamo che quote crescenti del prodotto lordo utilizzino le reti di comunicazione digitali per mettere in contatto domanda e offerta (dalla formazione alla sanità, dai servizi bancari al commercio elettronico, dall’informazione all’intrattenimento), è necessario rafforzare la domanda, permettendole di scegliere tra offerte concorrenti.

 

Quote crescenti di PIL vengono progressivamente attratte nella cornice infrastrutturale che gli operatori di Tlc mettono a disposizione. Ma l’intero settore europeo delle telecomunicazioni sta attraversando un vero e proprio paradosso: mai come oggi esse contribuiscono – in via diretta e indiretta – alla formazione e alla crescita del PIL e mai come oggi hanno visto un periodo in cui il loro coreBusiness – il traffico vocale – è in diminuzione continua.

Nel campo del fisso, l’incremento delle connessioni in banda larga può rappresentare un’alternativa alla perdita di ricavi delle linee telefoniche tradizionali; nel campo del mobile, dove il traffico vocale tende a stabilizzarsi a prezzi decrescenti, sarà necessario adottare strategie che portino al consumatore finale servizi a valore aggiunto, anche stimolando l’accesso alla rete Internet in mobilità.

 

Le dinamiche in atto comporteranno una diversa struttura del settore TLC dove, accanto all’operatore tradizionale, emergeranno nuovi soggetti focalizzati su specifici segmenti di mercato. La rottura della catena del valore, infatti, consente l’ingresso nel settore di soggetti provenienti da industrie diverse per l’offerta di servizi a valore aggiunto attraverso la piattaforma di TLC del carrier. E’ proprio questa aumentata possibilità di “contaminazione” tra settori che rappresenta la spinta nuova allo sviluppo di servizi innovativi, che possono fornire valore al cliente finale e nel contempo contribuire a massimizzare la redditività delle infrastrutture.

 

Questa può essere anche la chiave di lettura dell’ingresso nel mercato dei MVNO: si tratta di soggetti provenienti da settori diversi dalle TLC che utilizzano l’infrastruttura di rete dell’operatore per l’offerta di nuovi servizi, integrando applicazioni del proprio mercato di riferimento, focalizzandosi soprattutto sull’ultima parte della catena del valore, quella del rapporto con il cliente.

Questo sta già avvenendo in altri paesi (Regno Unito, Francia, Germania), dove abbiamo: gli operatori di rete, gli operatori di servizi (virtuali), i distributori di terminali e di SIM, i fornitori di terminali che distribuiscono in modo indipendente, le grandi catene distributive. Tutti soggetti che contribuiscono allo sviluppo del mercato in modo indipendente, accrescendone le caratteristiche di concorrenzialità.

In questo senso, l’ingresso degli operatori virtuali potrebbe rappresentare un’interessante novità.

Per gli operatori attuali, i nuovi entranti rappresentano un’opportunità – quella di ottimizzare l’uso della rete cellulare e di guadagnare nuovi segmenti di utenza. Ma rappresentano anche un rischio di cannibalizzazione: quello di vedersi erodere parte della propria base clienti dal partner virtuale.

In questo scenario può essere ripensato il modello dell’offerta wholesale degli operatori TLC, che da semplice interconnessione di altri carrier, può evolvere verso forme più articolate di accesso alla rete, in modo da consentire l’erogazione di servizi a valore aggiunto da parte dei nuovi “business partner”.

 

In conclusione, ritengo che vi siano le potenzialità per un’ulteriore crescita del settore ma ad alcune condizioni.

In primo luogo, occorre che vi siano delle regole certe, valide per tutti gli attori nel campo della convergenza, con una chiara divisione di ruoli tra Governo, Commissione Europea e Autorità indipendenti.

In secondo luogo, tali regole dovranno favorire l’apertura alla sperimentazione di soluzioni innovative da parte delle imprese fornitrici del servizio e dei clienti (siano essi altre imprese o siano consumatori finali).

 

Seguono proposte del Commissario Ue Viviane Reding

  • Penso alla neutralità del servizio per le frequenze assegnate agli operatori, ma anche all’incremento – nel quadro del digital dividend – della porzione di spettro non assegnato e destinato a usi condivisi;

  • alle dimensioni del mercato che, da nazionale, dovrà progressivamente assumere le dimensioni dello spazio comune europeo;

  • al rafforzamento della domanda (empowerment del consumatore), anche attraverso misure decise, come la totale portabilità del numero;

  • infine, penso a una riduzione delle misure regolatorie ex-ante – mantenendo ovviamente i controlli antitrust ex post – per favorire la disponibilità di servizi realmente convergenti, in grado di aumentare il beneficio per la domanda.

Queste sono le sfide che dobbiamo affrontare se vogliamo che il settore delle Tlc e, in generale dell’ICT torni a crescere a ritmi sostenuti, permettendo così al complesso della nostra economia di guadagnare in competitività e al nostro sistema politico-amministrativo di guadagnare in efficienza e in efficacia.

 

Consulta il profilo who’s who di Enrico Manca, presidente ISIMM

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