Ddl Gentiloni: Catricalà ribadisce, ‘Creerà asimmetria’. Il mercato pubblicitario strumento principe per alcune società. Non per Rai e Tv satellitari

di Raffaella Natale |

Italia


Antonio Catricalà

Continua a montare la polemica intorno alle dichiarazioni del presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che oggi davanti alle Commissioni riunite Cultura e Telecomunicazioni della Camera ha ribadito le proprie posizioni sul Ddl Gentiloni.

 

Le nuove disposizioni di riforma del sistema radioTv “presentano molte luci e poche ombre“. E’ il giudizio di Catricalà, il quale elenca i punti di forza e di debolezza del disegno di legge.

Tra i punti di forza, spiega il Garante, c’è il fatto che “…accelera il passaggio alle trasmissioni in tecnica digitale; risponde in linea di principio alla giurisprudenza della Corte Costituzionale sul pluralismo televisivo; risponde alle censure della Commissione europea; risponde all’esigenza di dare certezza e imparzialità alla rilevazione degli ascolti; promuove nuove modalità trasmissive come  la internet Tv su banda larga”.

Tra le ombre, Catricalà rileva che “…non è opportuna la definizione per legge della posizione dominante” e inoltre “…suscita perplessità il limite ai ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria”.

Per velocizzare il passaggio al digitale, Catricalà ritiene opportuno che “…le frequenze lasciate libere dagli operatori detentori di più di due emittenti irradiate su frequenze analogiche” siano “ridestinate alla tecnica digitale” e invita a “…una politica di incentivazioni degli acquisti dei decoder incentrata su apparecchi polivalenti”.

 

Catricalà torna poi a soffermarsi sulle controverse norme che riguardano l’apposizione di limiti del 45% alla raccolta pubblicitaria, sostenendo: se “…è vero che nessuno vuole colpire la capacità di crescita di un’azienda o il fatturato“, è anche vero che la misura che prevede limiti alla raccolta pubblicitaria di un operatore “…risulterà asimmetrica, perché il mercato pubblicitario è un mercato maturo, che cresce solo dell’1% e nel quale se si perde una quota di mercato occorrono vent’anni per recuperarla”.

Così il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà ha spiegato, le sue critiche alla parte del Ddl Gentiloni di riassetto del sistema televisivo che prevede.

“…Per Mediaset – ha proseguito Catricalà – la pubblicità è fonte principale di finanziamento e il mercato pubblicitario è strumento principe per alcune società. Non per  la Rai che ha anche il canone e neanche per le Tv satellitari”.

 

Riguardo al digitale terrestre, il presidente ha sottolineato che è vissuto “come una punizione“, e invece è “una grande opportunità” che “risolverà anche l’anomalia italiana“, precisando che “…non c’è sufficiente coscienza negli italiani sui vantaggi di una tecnologia che non riesco a spiegarmi perché non prenda piede”.

Ribadendo che la tecnologia digitale consente di moltiplicare il numero di canali disponibili, aumentando la possibilità di offerta e superando “…una delle maggiori criticità per la realizzazione di un assetto più plurale“, Catricalà ha osservato come “…tale nuova tecnologia appare sicuramente funzionale a un miglioramento della condizioni dei mercati interessati sia da un punto di vista strettamente economico, sia sotto il profilo di tutela del pluralismo”.

 

Ma nel testo del Ddl Gentiloni, ha precisato, resta poco chiaro “…se il limite previsto riguardi tutti gli operatori televisivi, inclusi quelli che intendano veicolare i contenuti su piattaforma satellitare o internet, o solo quelli che vogliano avvalersi del digitale terrestre”.

“Coerentemente con una visione di tutela del pluralismo che consideri tutti i soggetti in grado di influenzare l’opinione pubblica e quindi gli operatori attivi su tutte le piattaforme trasmissive – ha continuato Catricalà – la norma dovrebbe esplicitamente riguardare anche i soggetti attivi tramite tecnologie diverse da quella terrestre”.

 

Nella relazione del presidente dell’Antitrust, c’è anche una notazione di carattere terminologica. Secondo Catricalà non si deve parlare di “posizione dominante” quando si parla di soggetto che supera il limite previsto dalla norma, come è scritto nell’articolo 2 del disegno di legge in questione.

E non lo si dovrebbe fare perché questa espressione “mutuata dal diritto della concorrenza, in realtà nel contesto del Ddl in esame, ha un significato e una funzione completamente diversi”.

Infatti – ha scritto il presidente dell’Authority – per consolidato orientamento del diritto antitrust comunitario e nazionale la posizione dominante è “…quella situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato, ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori”.

 

Catricalà ha sottolineato, quindi, che ai fini dell’individuazione di tale indipendenza di comportamento, e quindi di una posizione dominante, “…non è sufficiente rilevare un determinato livello di quota di mercato, come sembra fare il Ddl in questione, ma è necessaria un’analisi approfondita caso per caso di tutta una serie di elementi ulteriori, quali ad esempio l’esistenza di barriere all’ingresso di nuovi operatori o il potere contrattuale degli acquirenti”.

Inoltre – ha ricordato il presidente dell’Authority – la posizione dominante “…può essere detenuta da più di un soggetto, quando l’indipendenza di comportamento è propria di un gruppo di operatori che si comportano sul mercato come se fossero un soggetto unico”.

Mentre, invece, così com’è stata fatta, l’attuale formulazione dell’articolo 2, comma 1, del disegno di legge “…appare contemplare – ha detto Catricalà – solamente il caso della posizione dominante detenuta da un soggetto singolo”.

In un’ottica antitrust “…non appare comunque opportuna una definizione di posizione dominante normativamente stabilita, alla luce delle rigidità che potrebbero derivarne in sede applicativa, in particolare in un settore dinamico come è attualmente quello televisivo”.

Catricalà ha, quindi, precisato che “…va chiarito che definizioni normative imposte a fini diversi da quello di tutela della concorrenza non possono condizionare le valutazioni e gli interventi dell’Autorità’ in applicazione della normativa antitrust”.

E auspica, “ai fini della certezza del diritto“, che la locuzione “posizione dominante” venga cambiata con un’altra diversa, sia nel Ddl Gentiloni che nel Testo unico della radiotelevisione. Ad esempio cambiandola in “rilevante o preminente forza di mercato”.

 

Subito dopo l’audizione di Catricalà, l’opposizione ha ancora una volta chiesto al centrosinistra di ritirare il provvedimento e di accorparlo con quello della Rai.

“No a provvedimenti punitivi“, ha dichiarato Mario Landolfi, presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza sul sistema radiotelevisivo.

“…Questo Ddl del Governo prende una singola voce del mercato radiotelevisivo, quella della pubblicità, e fissa un tetto. Andando così a colpire uno solo dei soggetti fra quelli che vivono unicamente di pubblicità. È chiaramente un testo rozzo che non fa mistero di voler punire una singola impresa”.

“…Come si può dire che questo provvedimento ci avvicina al digitale – ha aggiunto Landolfi – nel momento in cui toglie risorse proprio a chi dovrebbe reinvestirle per rendere più avvicinabile il momento del passaggio generale a quel sistema di trasmissione. È un imbroglio che non ha né capo né coda. Tra l’altro l’intento punitivo da cui è animato poteva forse avere una logica negli anni ’80, ma oggi è completamente superato dall’Innovazione tecnologica”.

 

Sulla stessa linea Paolo Romani, vicepresidente del Gruppo di Forza Italia alla Camera e componente della Commissione Vigilanza Rai.

“Cos’altro deve succedere perché il Governo faccia un passo indietro e ritiri il Ddl Gentiloni? Oggi il Presidente dell’Antitrust ha smontato pezzo per pezzo la pseudo-riforma targata Unione dimostrando indirettamente che si tratta di un provvedimento illegittimo e iniquo“, ha commentato Romani.

“…Un provvedimento che, dietro il falso concetto di pluralismo – ha affermato – vuole colpire le realtà imprenditoriali sottraendo preziose risorse che vanno impiegate per lo sviluppo del digitale e mette in pericolo una sana crescita del settore radiotelevisivo. Un provvedimento per di più strabico che, mentre vorrebbe penalizzare aziende che sono patrimonio del Paese, chiude gli occhi davanti a monopoli che si stanno consolidando”.

“…E sono proprio le assurde critiche mosse dall’Unione a Catricalà – ha continuato l’esponente di Forza Italia -, un uomo che ha dimostrato di essere super partes nel suo ruolo istituzionale, non solo oggi ma anche nel passato, a confermare che il Ddl Gentiloni è solo una operazione politica per colpire il capo dell’opposizione”.

 

Dalla maggioranza, Sergio Bellucci, Responsabile del Dipartimento Comunicazione e Innovazione Tecnologica per il Partito della Rifondazione Comunista, ha sottolineato: “…Che il nostro Paese sia afflitto da una posizione dominante nel campo della televisione è scritto in tutti i libri di testo in centinaia di lingue. In Europa e nel mondo si parla del caso italiano per illustrare il monopolio nel campo della comunicazione e nel nostro Paese le Autorità preposte e quelle costruite ad hoc continuano a balbettare da oltre un decennio. È sempre più urgente varare una riforma e il coagulo di interessi che si evidenzia ogni volta che si annuncia anche solo un intervento transitorio dimostra tutta l’urgenza del caso”.

“Per queste ragioni – ha concluso Bellucci – la sentenza della Corte Costituzionale del 2002, quella che dichiarava l’assetto comunicativo del nostro Paese era antidemocratico, resta un monito (…) Serve una nuova normativa antitrust in grado di rimuovere i limiti al pluralismo esistenti che, almeno questa volta e in questo settore, vengono prima della libertà di posizione dominante”.

 

Marco Beltrandi della Rosa nel pugno, vicepresidente della Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, ha espresso “…massima stima e profondo rispetto per Antonio Catricalà, per il modo in cui ha svolto la sua attività all’Autorità, davvero encomiabile“. Ma, ha aggiunto, “…rilevo soltanto che nel merito di specifiche e puntuali questioni che erano state poste da me e da altri colleghi della maggioranza sul parere relativo al Ddl Gentiloni, nel corso dell’audizione di stamattina alla Camera, Catricalà non mi pare abbia risposto”.

“…Non una risposta è giunta sul perché in altri Paesi vigono limiti antitrust come il tetto alle risorse pubblicitarie contenuto nel Ddl Gentiloni – ha aggiunto Beltrandi – non solo a tutela del pluralismo, ma proprio a tutela del carattere aperto e competitivo del mercato (…) Infine nessuna risposta alla osservazione che un limite alla raccolta pubblicitaria – ha concluso Beltrandi – non limita necessariamente il fatturato di una azienda, visto che l’azienda può investire e rafforzarsi su altri mercati; nell’era della globalizzazione non esistono veri campioni nazionali forti solo nel proprio Paese”.

 

“…Sulle concentrazioni pubblicitarie, il Catricalà di oggi è lo stesso di un anno fa? All’epoca diceva cose diverse, mentre le sue parole dell’audizione non convincono. Non ha chiarito per quale motivo il tetto sarebbe sconsigliabile per aprire il mercato“. Lo dichiara il responsabile Informazione della Margherita, Renzo Lusetti, commentando l’audizione alla Camera del presidente dell’Antitrust.

“…A gennaio 2006, – ha spiegato l’esponente Dl – Catricalà diceva di non avere alcuna difficoltà ad ammettere che le concentrazioni rappresentate dal duopolio Rai e Mediaset in Italia, che raccolgono più del 90% della pubblicità, non esistono in altra parte in Europa e andrebbero ricondotte ‘entro confini più accettabili”.

“Oggi sembra avere cambiato idea, si schiera a difesa di Mediaset, come se fosse possibile aprire il mercato senza far dimagrire quello che si configura come un vero e proprio monopolio delle risorse pubblicitarie, e non spiega con quali mezzi intende aprire il mercato televisivo”.

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