Primi effetti del Ddl Gentiloni: il trasferimento di Rete4 sul digitale fa scivolare Mediaset in Borsa

di Raffaella Natale |

Italia


Paolo Gentiloni

Seduta in calo per Mediaset all’indomani dell’approvazione in Consiglio dei Ministri del Ddl Gentiloni, che riforma il sistema radiotelevisivo segnando il passaggio al digitale terrestre.

In apertura, il titolo dell’azienda Tv registrava la peggior performance del listino e arretrava dell’1,96% a 8,48 euro con scambi pari allo 0,24% del capitale.

Gli analisti di Centrosim spiegano che “Se venisse approvata in questi termini, la riforma avrebbe un impatto consistente sui conti di Mediaset, specie per effetto del trasferimento di Rete4 sul digitale“. Il canale, infatti, pesa per circa il 20% dello share complessivo delle reti Mediaset e la raccolta pubblicitaria è stimata in circa 450 milioni di euro.

“Buona parte di questa raccolta, insieme a quella della rete Rai, sarebbe probabilmente a rischio, considerato l’ampio intervallo di tempo (quasi 4 anni, se la legge venisse approvata tra 1 anno) tra il passaggio anticipato e quello generale fissato per fine 2012″ , spiegano gli esperti.

 

Tuttavia, aggiungono, “…l’impatto negativo dovrebbe essere parzialmente assorbito dall’incremento dei prezzi unitari per spot (la raccolta sarà riassorbita in parte dagli altri canali analogici) e dal ricavato riveniente dalla cessione delle frequenze”.

 

Parla di “…buona riforma, (…) prima di tutto perché pone rimedio a un vulnus non solo tecnico ma anche giuridico, rilevato sia dall’Autorità garante per le comunicazioni sia dalla Corte Costituzionale”, il premier Romano Prodi.

Mentre da Mediaset, fanno sentire il proprio dissenso: “…per anni sono state criticate leggi definite ‘ad personam’, adesso il Governo ne ha presentata una ‘contro un’azienda’ che appare tagliata su misura come vendetta politica”.

L’azienda giudica duramente il Ddl che definisce “…un disegno senza respiro di sviluppo, basato su interventi contingenti che appaiono ispirati da una prospettiva retrograda. E tutto questo è ancora più nocivo in una fase di mercato in cui i media mondiali sono scossi da un profondo e repentino cambiamento. Confidiamo che il dibattito parlamentare restituisca credibilità alla proposta”.

 

Pronta la replica di Gentiloni che si è augurato che Mediaset “si comporti come un’azienda. Non come un partito”. Il Ministro commenta poi che “…chi ha una posizione importante, direi dominante in un mercato, reagisce sempre con preoccupazione quando si aprono le porte alla concorrenza. Mediaset si sente insidiata e dice la sua. Lo capisco. Capisco meno la parte politica della sua nota”.

Gentiloni aggiunge: “…queste parole non suonano normali nei rapporti tra un’azienda e il Governo. Il governo non concede premi né realizza vendette. Un’azienda, a sua volta, farebbe bene a evitare prese di posizioni politiche e di parte”. Il Ministro chiarisce quindi che gli effetti della riforma Gentiloni sui suoi conti saranno limitati:

Il disegno di legge stabilisce “un criterio di definizione di posizioni dominanti nel campo della raccolta pubblicitaria televisiva“.

Sono posizioni dominanti – ha dichiarato lo stesso Ministro – quelle dei soggetti che superano la soglia del 45% delle risorse. Questi soggetti non diventano oggetto di multe e sanzioni, ma a loro si applica una diversa misura di riduzione dell’affollamento orario della pubblicità dal 18% al 12%. L’obiettivo di utilizzare questa misura antitrust, al contrario di quella sanzionatoria, ha un evidentissimo effetto redistributivo”.

 

La Legge Gasparri – sottolinea Gentiloni – stabiliva un divieto teorico alla raccolta delle risorse. Si limitava a dire che un editore non poteva raggiungere posizioni dominanti nel mercato della Tv. Punto. Noi invece fissiamo una soglia certa, stringente, importante”.

Se per pubblicità televisiva si intende quella nazionale e quella locale, in onda sulle Tv tradizionali come sul satellitare, Mediaset subirà arretramenti del 5-7% sugli incassi attuali. Poca roba. “I conti li fa il mercato, non il Governo. Certamente ci sarà una correzione rispetto all’attuale posizione dominante“.

 

Ma vediamo con ordine quali sono gli obiettivi che si pone il nuovo Ddl radioTv. Innanzitutto “…aprire il mercato delle risorse pubblicitarie e delle frequenze. Secondo obiettivo fissare un quadro di regole per il passaggio alla Tv digitale dal 2012, dare certezza al mercato con queste regole per TDT e per banda larga. Terzo intervenire per dare certezze e garanzie sulle rilevazioni degli indici di ascolto. Quarto rimuovere elementi della legge 112 che sono superati, su Sic e sulla Rai per la privatizzazione, viene infatti archiviata la quotazione in borsa della Tv pubblica. Questi quattro obiettivi si declinano in una serie di misure”.

 

Il Ddl prevede anche il trasferimento di una rete analogica sul digitale entro il 2009 per Rai e Mediaset senza attendere quindi il termine dello spegnimento dell’analogico previsto per il 2012. “E’ una misura che incentiva una migrazione, non una misura punitiva“, ha commentato il Ministro.

Nessun editore Tv potrà avere più del 20% della capacità trasmissiva sul digitale. “Il 20% – sottolinea Gentiloni – equivale sul digitale a 10-12 canali nazionali”.

Sul digitale ci sarà inoltre l’obbligo di separazione societaria (non proprietaria) fra fornitura di contenuti e operatori di rete.

Previsto che inoltre che l’Autorità per le Comunicazioni emani un regolamento per l’equivalenza di accesso dei servizi media all’interno delle infrastrutture della banda larga.

 

Sic e digitale terrestre sono due dei pilastri della Legge Gasparri che il Ddl Gentiloni punta in parte a scardinare. Su nuova governance e privatizzazione Rai, il ministro Gentiloni ha invece annunciato che nelle prossime settimane verranno presentate le linee guida di un Ddl sulla Rai.

 

Secondo quanto stabiliva la Gasparri. il Sistema integrato delle comunicazioni è il paniere in cui confluiscono tutte le risorse del mondo dei media e in base al quale vengono calcolati i nuovi tetti antitrust: nessun operatore può controllare ricavi superiori al 20%, limite che scende al 10% per Telecom Italia (unico soggetto a superare il 40% dei ricavi nelle tlc). A più di due anni dall’approvazione definitiva della Gasparri, l’Agcom ha finalmente calcolato, a giugno scorso, il valore del Sic: 21,567 miliardi per il 2004 e 22,144 miliardi per il 2005.

Per quanto riguarda il digitale terrestre, le precedenti disposizioni stabilivano che dal primo gennaio 2004, la Rai doveva coprire il 50% della popolazione con due blocchi di diffusione; entro il primo gennaio 2005 il 70%. Confermata la scadenza della legge 66 del 2001 per il passaggio definitivo al TDT: 31 dicembre 2006. Fino ad allora le concessioni analogiche (compresa Rete4) vengono prorogate. A fine 2005, però, il termine è slittato al 31 dicembre 2008. Rinvio anche per le cosiddette regioni pilota, Sardegna e Val d’Aosta, le prime a diventare all digital: da marzo 2006, si è passati rispettivamente al primo marzo 2008 e al primo ottobre 2008.

 

La Legge Gasparri aveva riorganizzato anche la Rai, prevedendo un Cda di 9 membri, in carica per tre anni e rieleggibili una sola volta. La Commissione di Vigilanza ne nomina 7 (con voto limitato a uno, cioè 4 alla maggioranza e 3 all’opposizione), mentre gli altri due, tra cui il presidente, vengono scelti dall’azionista Ministero dell’Economia. La nomina del presidente diventa efficace con il parere favorevole, a due terzi, della Vigilanza. Secondo la legge, questi nuovi criteri – applicati la scorsa primavera, con la nomina dell’attuale vertice – sarebbero dovuti diventare operativi tre mesi dopo la chiusura della prima offerta pubblica di vendita del capitale Rai, che sarebbe dovuta scattare entro quattro mesi dalla fusione della Rai in Rai Holding, che a sua volta avrebbe dovuto essere completata entro due mesi dall’entrata in vigore della Gasparri. Ma la privatizzazione è stata un niente di fatto. Altri punti della Gasparri riguardano le Tv Locali (ogni operatore può avere fino a tre concessioni o autorizzazioni in ogni bacino regionale, e fino a sei per regioni anche non limitrofe; il limite quotidiano di affollamento pubblicitario sale dal 35% al 40%, televendite comprese) e la tutela dei minori. In particolare, l’articolo 10 dà forza di legge al Codice di autoregolamentazione Tv-minori e prevede “adeguata pubblicità” per le sanzioni.

 

“Un parto da elefante”, la definì scherzando l’allora ministro Maurizio Gasparri il 29 aprile 2004, giorno dell’approvazione definitiva. E infatti la legge 112 ha dovuto affrontare sei passaggi fra Camera e Senato, oltre 14.000 emendamenti (circa 5.000 in commissione e più di 9.000 in Aula), quasi 90 sedute in commissione e 44 in Aula e 410 voti a scrutinio segreto. Numeri che sintetizzano la lunga battaglia attorno a un provvedimento destinato a ridisegnare radicalmente l’assetto dei media modificando le leggi precedenti (la Mammì del 1990 e la Maccanico del 1997), dopo la mancata approvazione del ddl 1138 nella precedente legislatura.

 

La Gasparri apriva al futuro e garantiva, grazie al digitale terrestre, l’ingresso in campo di nuovi operatori e l’aumento del pluralismo. Per l’opposizione, era cucita su misura degli interessi dell’allora premier Silvio Berlusconi. Non a caso l’Unione ha fatto della riforma della Gasparri uno dei punti di forza del programma di Governo e delle ipotesi di modifica si è iniziato a parlare fin dalle prime settimane della nuova legislatura. A spingere in questa direzione, secondo il ministro Paolo Gentiloni, anche l’Unione Europea, in particolare con la lettera di messa in mora inviata di recente al Governo italiano, in particolare sui rischio che il vantaggio accumulato da Rai e Mediaset nel mercato della Tv analogica si trasferisca anche sul digitale.

 

L’ex Ministro delle Comunicazioni adesso presidente della Commissione di Vigilanza, Mario Landolfi, ha definito il Ddl Gentiloni “…una legge contra personam”.

Siamo in presenza di una controriforma rispetto alla legge Gasparri che invece ha recepito il dato della modernità e della convergenza – dice Landolfi – Con il Ddl Gentiloni si fanno invece dei passi indietro. La maggioranza di governo è ancora ossessionata dal duopolio mentre gli studi più recenti ci dicono che nel 2008 le famiglie con la televisione tradizionale scenderanno da 14 milioni a 9 milioni, altri 5 milioni di italiani quindi si doteranno di una piattaforma digitale satellitare o terrestre e il mercato dei ricavi televisivi sarà distribuito per il 33% a Mediaset, 31% alla Rai e 29% a Sky. Non c è più quindi un duopolio. Oggi si fa una legge contra personam , si perde di vista quello che è invece lo sviluppo tecnologico e i reali interessi del Paese”.

 

Riferendosi alle accuse di “banditismo” rivolte da Berlusconi alle nuove disposizioni, il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Enrico Letta, ha dichiarato: “In Parlamento ci aspettiamo una discussione parlamentare e un confronto su questo testo”.

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