Magnolfi (DS), ‘L’Italia Digitale che vogliamo: più infrastrutture e servizi a valore aggiunto, rinnovamento della PA e sostegno alle imprese’

di di Raffaele Barberio |

L’opinione dell'On. Beatrice Magnolfi sulle strategie di sviluppo per il settore IT in Italia e sul Rapporto Italia Digitale 2010, redatto dall’Advisory Board di Key4biz

Italia


Beatrice Magnolfi

Key4biz ha intervistato Beatrice Magnolfi, Responsabile Dipartimento Innovazione e Qualità delle Pubbliche Amministrazioni del Gruppo DS.
In questa veste, le abbiamo chiesto alcune valutazioni sul programma del suo schieramento sui temi dell’innovazione, per la realizzazione di una ‘Italia Digitale’ compiuta.

Quali strategie adottare per rendere le ICT un concreto strumento di sviluppo? Come ampliare la crescita infrastrutturale dell’Italia in termini di estensione della rete a banda larga e di introduzione di nuove applicazioni e tecnologie? Quali nuove politiche d’investimento possono renderci più competitivi? E quali gli interventi prioritari sull’eGovernment? Infine, come distribuire le competenze a livello governativo nel campo dell’Innovazione?

K4B. Alcune settimane fa i DS hanno presentato i 10 punti del programma per l’Italia digitale. Come Responsabile del Dipartimento Innovazione e Qualità delle Pubbliche Amministrazioni lei è stata tra gli ispiratori del documento. Può illustrarcene i punti più rilevanti?

  

R. Con i “10 punti” abbiamo voluto sottolineare l’esigenza di una visione “di sistema”. La rivoluzione ICT è un’onda di cambiamento pervasiva, che non può essere affrontata con interventi-spot o con politiche settoriali. Dalla scuola alla Pubblica Amministrazione, dalla Ricerca alle politiche industriali, ciò che serve è un grande disegno, perché le delusioni di questi anni ci hanno insegnato che l’economia della Rete, dinamica e inclusiva al tempo stesso, non è un prodotto spontaneo del mercato.
Come scriveva Nicholas Negroponte già nel 1995 “l’informatica non riguarda più solo i computer, è un modo di vivere”. Per questo la politica deve occuparsene con un progetto complessivo e, soprattutto, con la determinazione necessaria per non farlo rimanere un libro dei sogni.

 

 
K4B. L’obiettivo dei DS è di proporre un piano per usare l’ICT come strumento di sviluppo. Cosa si intende?

 

R. Tutti ormai citano il deficit di Innovazione dell’Italia come la principale causa della crisi. Il concetto di Innovazione è molto ampio e certamente va al di là delle tecnologie, ma è ovvio che senza sviluppo tecnologico non c’è nessuna innovazione.
L’ICT è la tecnologia che fa da detonatore per tutte le altre innovazioni, il fattore abilitante per introdurre competitività nel sistema. L’Italia ne ha bisogno come il pane.

Io vedo una stretta correlazione fra la crescita 0,0 rilevata da Bankitalia e il mercato italiano IT che è sostanzialmente fermo. Per capirlo, basta guardare ai paesi del nord-Europa: mentre l’Italia sprofondava dal 23° al 45° posto del Networked Readiness Index (NRI), Irlanda, Finlandia e Svezia hanno superato i livelli di crescita degli USA; vuol dire che investire in ICT è un propellente per l’intera economia.

 

 

K4B. Uno dei punti chiave per realizzare l’Italia digitale è l’intervento nelle infrastrutture. In particolare, nella banda larga, l’Italia presenta dei tassi di crescita importanti nella diffusione degli accessi, ma la copertura non arriva all’intero territorio nazionale. Qual è la soluzione per estendere la copertura, estensione della rete, nuove tecnologie…?

 

R. Nei nostri convegni (quelli che si occupano di ICT sono ormai una compagnia di giro…) c’è sempre qualcuno che dice: il problema non è la Banda Larga, il problema sono i servizi a valore aggiunto. Ok, sono d’accordo.
E’ evidente che, senza servizi, le famose “autostrade digitali” servono a poco. Ma in un paese che soffre di un così grave ritardo nelle infrastrutture materiali, sarebbe imperdonabile accumulare un gap tecnologico anche nelle reti immateriali. Oggi la Banda Larga è una rete con troppi buchi, e la mappa del divario digitale segue un andamento assai più frastagliato del tradizionale divario nord-sud. Basta leggere i dati di Between: solo le città capoluogo e circa 200 comuni non capoluogo sono raggiunti dalle grandi dorsali e anche l’ADSL copre solo il 76% del territorio, con uno standard già insufficiente per aprire il mercato dei servizi avanzati.
Secondo me, la situazione dipende dal fatto che abbiamo sia gli svantaggi del monopolio (ad esempio sull’ “ultimo miglio”) sia quelli della privatizzazione (i gestori investono solo dove c’è un ritorno sicuro). Bisogna intervenire perché, di questo passo, milioni di italiani rischiano di rimanere esclusi.
Noi proponiamo di liberalizzare in maniera meno timida e reticente di quanto si è fatto finora le piattaforme “senza fili” (Wi Fi e Wi Max), e di promuovere la copertura nelle aree disagiate con incentivi all’aggregazione della domanda e utilizzando la leva fiscale (ad esempio per sostenere gli investimenti da parte di reti integrate di imprese). Occorre anche capire meglio cosa ha concretamente fatto la società Infratel e se è uno strumento che serve allo scopo.

 

 
K4B. Tra gli obiettivi per la modernizzazione dell’Italia, si dà un rilievo particolare all’eGovernment. Come valuta ciò che è stato sin qui fatto? Quale è la sua opinione sull’eGovernment e quali a suo parere gli interventi prioritari?

 

R. Il Ministro Stanca non deve prenderlo come un fatto personale quando dico che l’e-Gov in questi anni ha avuto solo una funzione cosmetica. Le risorse -ereditate dall’Ulivo- sono state disperse “a pioggia” su troppi progetti, spesso ripetitivi e tutti di front office; i servizi online sono aumentati, ma con una bassa intensità d’uso. La verità è che, se non riparte il processo di riforma della pubblica amministrazione, si rischia di applicare l’informatica alle storture burocratiche.
Usare l’e-Gov per cambiare i processi, per reingegnerizzare il back office, applicare l’innovazione tecnologica all’innovazione amministrativa, che in questi anni si è bloccata: semplificazione e trasparenza sono le nostre priorità. Serve un grande progetto di condivisione degli archivi e delle banche dati fra i vari pezzi della pubblica amministrazione, altrimenti i cittadini e le imprese continueranno a peregrinare da un ufficio all’altro.
Serve un grande sforzo per la trasparenza e il controllo della spesa pubblica: l’informatica c’è, ma i conti non tornano, sono tutti disallineati fra loro, non si riesce a monitorare i flussi di spesa in tempo reale, senza aspettare il Conto annuale, che arriva quando è troppo tardi. E poi la sanità e la giustizia civile: sono i servizi di base, che rendono moderno un paese, al tempo stesso più giusto e più competitivo.

 

 

K4B. Lei ha più volte denunciato che, in Italia, l’investimento pubblico in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) è ancora troppo basso rispetto ai maggiori Paesi europei. Quali sono gli interventi necessari per portare l’Italia a livello di altri Paesi europei?

 

R. La Pubblica Amministrazione è un grande volano per dare ossigeno al settore e anche per qualificare il mercato, aprendolo di più alla concorrenza e facendo crescere la dimensione d’impresa.
Aitech-Assinform ha ragione a denunciare un’eccessiva tendenza alla creazione di società pubbliche a livello locale, ma occorre distinguere fra i grandi poli (ad esempio quello piemontese), che fanno da traino alle imprese private e sperimentano modelli di eccellenza per la P.A., e le società che hanno come unico scopo l’effettuazione delle gare in house.

Però anche le imprese devono fare un salto di qualità per corrispondere alle esigenze vere della P.A. Inoltre, lo Stato deve promuovere politiche industriali di settore. Le imprese ICT in Italia sono in media troppo piccole, per lo più concentrate nei servizi e incapaci di competere sullo scenario internazionale.

Io non sono fra coloro che gridano alla “colonizzazione” come a una tendenza da combattere: ben vengano le grandi multinazionali americane, con i loro centri ricerche, che concorrono a disseminare cultura ICT. Ma dobbiamo anche far crescere un’industria italiana ICT. Molti treni sono passati (a cominciare dall’Olivetti), ma in questo settore ne partono ogni giorno di nuovi, in particolare nel software, che potrebbero concorrere al salto di qualità necessario al Paese.

Le politiche pubbliche devono essere mirate a questo, con strumenti automatici di sostegno allo sviluppo, non c’è nessun motivo perché la creatività e l’intraprendenza italiane non si esprimano nell’industria del software e dei contenuti digitali.

 

  
K4B. In occasione della presentazione dei 10 punti per l’Italia digitale dei DS, lei ha criticato il governo Berlusconi per aver creato dei “consumatori digitali” e non dei “cittadini digitali”. Può spiegarci la differenza?

 

R. Ho anche parlato di politica del gadget, che negli ultimi tempi si è trasformata nei saldi di fine stagione: qualche sconto sui computer agli studenti e agli insegnanti, qualche abbonamento ADSL a basso costo alle famiglie, una valanga di decoder (240 milioni di euro) che non servono a nulla se non a vedere le partite su Mediaset. Il Governo ha perfino buttato 7,2 milioni di euro per propagandare nelle nostre case i suoi contributi.

Tutte le ricerche dimostrano che nell’ICT l’unica cosa che non manca in Italia è la propensione al consumo individuale. Se vogliamo sostenere i consumi, è molto più serio affrontare l’ emergenza del paese, ovvero il basso investimento ICT da parte delle piccole imprese, che soffrono di un vero e proprio analfabetismo digitale. Come si fa a far tornare competitiva l’industria manifatturiera se le PMI non sono capaci di incorporare gli strumenti e soprattutto la cultura dell’innovazione?

Quanto al digital divide, c’è stata una certa enfasi iniziale solo sui progetti internazionali, ma non si è combattuto il divario interno, che è territoriale, generazionale e sociale. Nella società della conoscenza, l’ICT è il vero passaporto per l’inclusione e il diritto di accesso alla Rete non basta affermarlo in linea teorica. Serve la cultura digitale, servono le risorse umane per diffonderla, l’India e la Cina ci fanno concorrenza anche nel numero degli ingegneri, noi soffochiamo i giovani con inutili barriere corporative che impediscono l’accesso alle professioni informatiche. Bisogna cambiare rotta al più presto.

 

 

K4B. A chi spetta il governo dell’Innovazione? Allo Stato, agli Enti locali…? Pensa ad una cabina di regia?

 

R. L’Innovazione non può essere un vagone in più, ma è la locomotiva dell’azione di governo. Romano Prodi lo ha affermato al nostro convegno del 16 marzo a Milano, l’unico momento dell’intera campagna elettorale che i partiti dell’Unione hanno voluto dedicare, tutti insieme, a un’iniziativa programmatica.
L’assetto istituzionale del nuovo governo dovrà rappresentare questa centralità. Faremo tesoro dell’esperienza deludente della destra: l’Innovazione ha bisogno di strumenti forti, un Ministero senza portafoglio che non ha poteri reali né sui processi della P.A. né sulle politiche industriali rischia di essere un vaso di coccio, soprattutto se manca, come è mancata in questi anni, una forte regia unitaria. Le Regioni e gli Enti locali hanno un ruolo fondamentale, infatti hanno investito sull’ICT più dello Stato centrale. Per questo è necessario un compiuto “federalismo digitale”. Ad esempio, bisogna riempire di contenuti i CST e aiutare i piccoli Comuni a fare sistema.
E’ anche necessario governare ascoltando gli stakeholder, attraverso un organismo di dialogo trasparente: ad esempio il Forum nazionale per la società dell’Informazione.
 

 
K4B. Qualche giorno fa Key4biz ha diffuso l’executive summary del Rapporto Italia Digitale 2010 redatto dall’Advisory Board, che sarà discusso pubblicamente a fine aprile. A quali dei punti espressi nel documento darebbe priorità?

R. Ci sono molti punti di contatto con il progetto dei DS, sia nella diagnosi molto preoccupata, sia nelle proposte.
Apprezzo l’importanza che viene data al sistema formativo e alla creazione di nuovi skills: Internet non elimina la centralità delle risorse umane, che sono il vero motore dello sviluppo. Inoltre mi piace l’idea dell’integrazione fra Università, imprese e Istituzioni locali: nel nostro progetto abbiamo parlato di “ecosistema digitale territoriale”: nella patria dei distretti industriali, il modello dello sviluppo locale per creare innovazione diffusa è uno strumento cardine anche per il terzo millennio. L’Italia digitale è una rete di territori, i luoghi hanno grande importanza anche nell’economia immateriale.
Infine, concordo sull’esigenza di mettere a fuoco strumenti di finanziamento adeguati: bisogna creare fiducia negli investitori, incoraggiarli ad investire nel futuro e non solo nel mattone e nelle rendite. Questo è un altro grande compito del nuovo governo dell’Unione.

 

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